La paura è un’emozione funzionale, ovvero serve e insegna, è importante averne esperienza. E autori e illustratori conoscitori d’infanzie ben sanno tutto questo…
La paura è un’emozione funzionale, ovvero serve e insegna, è importante averne esperienza: per riconoscere il limite, per imparare a non farsi del male quindi a proteggersi da situazioni che potrebbero essere dannose per sé stessi, per gli altri, fisicamente e non solo. Attiva l’istinto di sopravvivenza per sé e per i propri simili. Mette in moto la capacità di agire esattamente come quella di darsela a gambe, dove per fuga si intende anche solo lo scansarsi, l’evitare di mettersi nei guai. Tutti ne comprendiamo l’importanza e gli adulti dovrebbero permetterla senza paure altre. Inoltre ai bambini piace sperimentarne un po’ proprio per quella reazione neurofisiologica che scatena e che porta all’urlo, al riso sfrenato, a grattarsi nervosamente, ad agitarsi, a mordicchiarsi le unghie o ad abbracciare stringendo fino a strizzare il proprio fratello, la propria sorella o il proprio orso. Mentre sul polso martoriato di mamma e papà è inutile soffermarsi. Possiamo starne certi, la paura aguzza soprattutto l’ingegno!
La paura è un’emozione funzionale: è importante per riconoscere il limite, per imparare a non farsi del male quindi a proteggersi da situazioni che potrebbero essere dannose per sé stessi, per gli altri, fisicamente e non solo
Prendiamo Yasmina per esempio, in Cosa fanno le bambine, capolavoro di psicologia sull’infanzia per immagini scritto e illustrato da NikolausHeidelbach. Yasmina aspetta un film e per farlo si prepara: sdraiata a terra in una camera vuota in penombra. Accanto a lei un vero e proprio arsenale la circonda: un coltello, un’accetta, fionda e proiettili, una forchetta e un pelapatate, una forchettone da arrosto , una mannaia e un martello. Nulla la sorprenderà, alla fuga preferisce l’attacco e la paura Yasmina è pronta a farla a fette! Per contro Quirino se la fa sotto la controparte di psicologia maschile in Cosa fanno i bambini è decisamente più umana e scendere in cantina, da solo, alla sola luce sinistra di una lampadina pendente dal soffitto, è come attraversare il bosco di Cappuccetto rosso in una notte buia e tempestosa appunto.
Della paura, dei racconti che mettono un po’ quel brividino lungo la schiena e che magari strappano anche un piccolo urlo dalle bocche di chi nella storia c’è proprio caduto, il momento migliore è quello del rilascio, di quando capita l’antifona il fiato, a lungo trattenuto nei momenti di maggiore suspence, può essere rilasciato con un sonoro quanto onomatopeico fischio – pfiuuuuuu… scampato pericolo! Ci si può finalmente rilassare che anche l’oscuro in fondo può non essere così buio e misterioso!
il momento migliore è quello del rilascio, di quando capita l’antifona il fiato, a lungo trattenuto nei momenti di maggiore suspence, può essere rilasciato con un sonoro quanto onomatopeico fischio
Autori e illustratori conoscitori d’infanzie ben sanno tutto questo e col libro nero, di pagine e copertine, sanno altrettanto bene di far inorridire mamme, papà, educatrici e maestri, il cui mento al cospetto di tanto buio si farà appuntito e giudicante che le paure – e i pregiudizi – non basta una vita per superarle! Ben consci però di sollecitare quel brividino proprio con quel profondo e sinistro nero, comunque e sempre inusuale per i libri dell’infanzia, che spalanca occhi pieni di domande e di aspettativa e che sembra proprio sussurrare vieni piccolino, apri questo libro, entra in questo buio,bù! Che siano lucidi o opachi all’interno celano sorprese inaspettate: incontri paurosi, rumori sospetti come di uno che cerca di non fare rumore, che di soppiatto si è intrufolato in casa tua quatto quatto. E se non si intrufolano topolini o il Grotlyn possiamo stare certi che c’è un Rinofante sul tetto!
ma c’è anche la paura che nasce dal sentirsi lontani e soli
Differente la paura raccontata da Davide Calì e Isabella Labate in Tre in tutto dove la paura affrontata non è quella del mostro senza gambe e senza braccia che, volendo muoversi lo stesso, si spinge in avanti con i denti, o di un delinquente che procede furtivo zigzagando per il parco nella notte nera o di uno strano rumore sul tetto: come di animali enormi e pesantissimi che danzano e saltellano intorno al comignolo, no quella descritta da Davide Calì e incredibilmente illustrata da Isabella Labate é la paura che nasce dal sentirsi lontani e soli. Lontani dalla propria famiglia, dalla propria terra. Quella paura dalla fervida immaginazione che ricama sulle parole dei grandi e che ai bambini, lontani da quelle cose che a forza di chiamarle col proprio nome fan parte di te, si trovano a dover affrontare il pentolone che al nord i bambini se li mangiano o ci fanno il sapone dove tutto anche se ha la stessa forma di casa ha un aspetto sinistro e uno scopo terrificante. La paura, reale e quotidiana, dei bambini che dopo la guerra affrontavano il nord, dal sud devastato e povero, per essere nutriti, aiutati, istruiti per poi tornare un po’ più in forze ed affrontare un mondo dove l’infanzia doveva rimboccarsi le maniche.