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Una riflessione sul ruolo dei dirigenti scolastici

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Non è raro imbattersi in commenti negativi o addirittura offensivi ai danni dei dirigenti scolastici. Ma se da un lato soddisfare le esigenze dell’intero corpo insegnante è molto difficile, dall’altro non dobbiamo cadere nella facile generalizzazione.

In passato era già stato affrontato, su OcchioVolante, il tema dei dirigenti scolastici (lo trovate qui). Torno però volentieri sull’argomento, dal momento che sui social non è raro imbattersi in commenti di insegnanti che si scagliano contro i dirigenti scolastici. Ad esempio, recentemente, mi sono imbattuto in questo:

Salvo rarissime eccezioni, i dirigenti scolastici sono dei pazzi esaltati. Il loro ruolo andrebbe ridimensionato di molto.

Bisogna riflettere su questo genere di aggressività che, naturalmente, in qualche caso può anche essere stata generata da inneschi meschini. Questo perché i dirigenti scolastici e le dirigenti scolastiche italiane sono poco più di ottomila e pensare che siano tutti perfettamente adeguati è aspettativa statisticamente piuttosto ingenua.

È utile ricordare che tutti i presidi sono stati insegnanti. Ma è pensabile che siano così tanti quelli criticabili in questo modo?

È difficile che sia così, ma si tratta di un fenomeno che si spiega facilmente. Ogni dirigente scolastico è sottoposto alla critica di un intero collegio dei docenti (oltre che di quello del personale ATA, degli studenti e delle studentesse e delle famiglie). È ovviamente impossibile soddisfare le aspettative (e in qualche caso gli interessi) dell’intero corpo insegnante ed ecco che, se anche una percentuale esigua di questo è in significativo disaccordo con il dirigente scolastico, si manifesta sul campo un confronto pubblico tanto vivace quanto impari sul fronte del numero delle forze retoriche che si affrontano (ad esempio in rete).

Un cinque per cento di docenti in disaccordo con la dirigenza, quale che sia l’origine del disaccordo, produce una proporzione di otto contro uno. Quantitativamente Golia contro Davide.

Esiste poi un fenomeno curioso, specie nel mondo della scuola. Coesiste nell’insegnante una doppia natura. Quella del professionista riflessivo che gode di quella che è nota come “libertà di insegnamento” e quella del dipendente. Parimenti nel dirigente scolastico c’è una doppia natura. Quella del coordinatore didattico impegnato nel dare un’impronta unitaria e omogenea alla scuola e quella del “capo ufficio”.

Non di rado ci sono scontri incrociati tra questi diversi piani. Ci può quindi essere un confronto causato da una diversa vision sulla politica della scuola, nella quale il confronto è sostanzialmente tra il collegio dei docenti e il dirigente scolastico; oppure, ci può essere uno scontro tra un docente inadempiente sul piano dei doveri del dipendente che, tuttavia, quasi inevitabilmente si trasformano in ritorsioni contro il dirigente nel dibattito interno alla scuola.

La tutela della riservatezza

Un esempio classico è quello del docente che ha subìto un procedimento disciplinare, diciamo ad esempio perché “ritardatario cronico”. In collegio, questi sistematicamente gioca un ruolo contrastivo non già per convincimento didattico o tecnico o finanche politico, ma per evidenti motivi di tipo emotivo.

In questo caso si tratta di una umana interferenza tra i diversi aspetti dei reciproci ruoli che tuttavia produce una distorsione. Il dirigente scolastico è tenuto alla tutela della riservatezza e non può svelare questo elemento che, non di rado, è la vera causa delle infinite polemiche fomentate da qualcuno.

Ci sono poi elementi che pongono il dirigente scolastico contro alcune aspettative, anche consolidate, dell’intero collegio, ma che sono legate a norme di legge. Pur esplicitando queste norme, non tutti hanno l’onestà intellettuale di accettare le cose per quelle che sono. L’obiezione più frequente in questi casi è la seguente:


Nella scuola tale, si fa in questo modo.

Per quanto esposto, evidentemente, in quella scuola c’è un dirigente scolastico che si espone alle critiche del proprio direttore generale o che ritiene più utile glissare sulla norma per non affrontare un organo collegiale che evidentemente disistima non ritenendolo abbastanza professionale. Tuttavia, di questa timidezza, potrebbe doverne rispondere in sedi diverse da quella del Collegio dei Docenti.

La differenza di vision

L’elemento più gravoso da gestire del fenomeno, tuttavia, è legato alla differenza di vision che si può manifestare tra il dirigente scolastico e il collegio dei docenti; ma anche il bilanciamento dei poteri, non sempre del tutto chiaro, giacché, formalmente, al dirigente è imputato il ruolo organizzativo, mentre il collegio ha potestà nella progettazione didattica.

La discrezionalità tecnica

Quella che si chiama “discrezionalità tecnica” assegnata al collegio dei docenti dalla vigente normativa, tuttavia dovrebbe muoversi entro il binario della professionalità e quando così non è (ad esempio per risibili motivazioni), non è chiaro ad alcuno quale potrebbe essere il risultato di un diniego ad ottemperare da parte del dirigente giacché oltre alla Legge c’è anche la giurisprudenza e la magistratura che si esprime anche in maniera differenziata.

Ovviamente è una mera illusione che un organismo di più di cento persone possa manifestare una conoscenza completa dei documenti di cui bisogna tenere conto per un parere informato, ma gli organi collegiali sono ancora quelli degli anni settanta giacché il testo unico della scuola, pur essendo del 1994, riporta il testo dei vecchi “decreti delegati” con un copia e incolla.

Il ruolo del collegio dei docenti

Il ruolo del collegio dei docenti, in teoria, sarebbe tecnico, si diceva. Deve infatti decidere di didattica, ma la sua veste plenaria rende di fatto impossibile una discussione di tipo argomentativo in quanto al termine dell’ostensione degli elementi necessari per prendere decisioni informate si può fare spallucce e votare in maniera incoerente con quanto appena enunciato.

Nel mestiere di un dirigente scolastico, molto spesso le decisioni sono obbligate, ma un organismo collegiale fatica a capire che la collegialità non dà il potere assoluto, ma deve restare nell’alveo delle possibilità tecniche del ruolo.

Nascono così, a mero titolo di esempio, proposte di “mozioni contro la guerra” che spesso sono persino condivisibili, ma non nel potere dell’organismo (e dovrebbero essere demandate all’Assemblea Sindacale). Più discutibili sono tutte le limitazioni che il collegio pone ad operatività didattiche, ignorando il diritto all’istruzione.

Una riforma degli organi collegiali

La riforma degli organi collegiali è quindi urgente. Occorre infatti espellere dal sistema di gestione della scuola quella vena di autoindulgenza che, ad esempio, impedisce di deliberare vincoli sulla formazione che, teoricamente, è “strutturale, obbligatoria e permanente”, ma che non lo diventa nel momento in cui chi è investito di stabilire quale e quanta formazione fare, non fa che elaborare delibere generiche perché quelle stringenti non trovano una maggioranza.

Provi il lettore, in quasi cinque lustri di “autonomia scolastica”, una buona prassi che abbia messo una scuola all’attenzione pubblica per quell’innovazione che apre a pratiche diverse (“è consentito tutto ciò che non è vietato”, disse il Ministro Berlinguer alla fine del secolo scorso).

Se il lettore non fosse “uomo o donna di scuola”, la risposta potrebbe mancare per poca frequentazione, ma proviamo a fare questa domanda ad un amico, ad una vicina di casa, ad una qualsiasi conoscenza personale del mondo della scuola. Si otterrà un sorpreso o imbarazzato silenzio.

L’abolizione dei voti numerici

Ne propongo, tuttavia, una io: la sperimentazione di un liceo romano che ha abolito i voti numerici in itinere. Qual è quindi la possibile soluzione? Innanzi tutto occorre riconfigurare il lavoro del Collegio dei Docenti per commissioni deliberanti. In seno a queste si otterrebbero due risultati. Il primo è che nelle medesime convergerebbero le persone tecnicamente competenti su un dato argomento.

Il secondo è che in quel tavolo il livello argomentativo risulterebbe più pregnante, giacché sarebbe impossibile nascondersi nell’anonimato di un voto collettivo che, in quel contesto, diventerebbe palese. Il fatto che dette commissioni debbano essere deliberanti è conseguenza legata all’esperienza di questi lustri di autonomia non praticata.

Già oggi il Collegio dei Docenti lavora per commissioni, ma tutte le volte, prima della plenaria, si domanda: “Ma questo passa in Collegio?” e, naturalmente, si configura in funzione di aspettative pragmatiche che non possono che essere al ribasso.

Paradossalmente, la vera riforma non può che consistere nel rendere il ruolo tecnico del collegio dei docenti di tipo consultivo, passando il ruolo deliberante al consiglio di istituto, trasformato in consiglio di amministrazione allargato ai portatori di interesse delle scuole, cosa assolutamente urgente nell’ambito degli istituti tecnici.

Dico “paradossalmente” perché un Collegio dei Docenti che fornisca pareri tecnici seri, deve essere in grado di motivarli e questi diventerebbero più pregnanti e impossibili da aggirare se le argomentazioni fossero ineccepibili, cosa che sarebbe nel caso di parere consultivo (altrimenti non avrebbe senso fornirle).

È esattamente quel che succede a livello nazionale nel Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione che esprime pareri obbligatori (c’è giurisprudenza sul tema), ma che possono essere accolti o no dal Ministro di turno. Evidentemente, laddove non fossero accolti, sarà necessario argomentare la loro confutazione o fornire spiegazioni del caso che, nel caso delle scuole di oggi, potrebbero essere espresse dal dirigente scolastico o dal consiglio di istituto.

Foto di copertina LinkedIn Sales Solutions su Unsplash

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