La gestione del tempo nella scuola italiana
Qualche riflessione sulla gestione del tempo nella scuola italiana, soprattutto per quanto riguarda il tenere insieme la calma che serve all’apprendimento e il poco tempo a disposizione.
La gestione del tempo è diventato negli ultimi anni un argomento assai dibattuto e la divulgazione didattica ha cominciato a dare consigli sempre più pratici. A livello internazionale, i libri di studiosi e divulgatori come D. Lemov, T. Bennett o P. McCrea hanno fornito ai docenti molti spunti interessanti, con un’attenzione particolare alla meccanica delle interazioni di classe e agli intoppi che possono ingolfarla.
La massa di pubblicazioni, pur utili, è però esplosa fino a diventare quasi ingestibile. Con questo articolo vorrei quindi fornire una sorta di piccola bussola per il contesto italiano; per evitare di annaspare tra i temi e gli approcci più disparati, suggerisco di concentrarsi, almeno per oggi, su un obiettivo spesso da noi non adeguatamente considerato, ma nondimeno essenziale: come non perdere tempo in classe.
Come non perdere tempo in classe?
Si tratta di un problema che nelle scuole italiane è particolarmente spinoso. Il tempo è poco, gli studenti tanti, le cose da fare un’infinità. Il tempo si disperde in mille rivoli come acqua da un conduttura mal sigillata. Una riforma sistemica della routine scolastica sarebbe assai utile, ma in mancanza di un’utopica rivoluzione, sarà il caso di sfruttare al meglio quel che si ha.
Gestire bene il tempo significa guadagnare per le nostre classi qualcosa di preziosissimo: la calma. Parlo della tranquillità necessaria per ritornare su argomenti difficoltosi, seguire bene ogni singolo studente e dare modo a tutti di lavorare serenamente. Lo scopo di “efficientare” la vita di classe, infatti, non è fare tutto più freneticamente, ma meglio e più distesamente.
La perdita di tempo in classe è continua. Non penso solo agli scomodi cambi dell’ora, con i docenti che senza vere e proprie pause devono raccattare le loro cose, spostarsi e ributtarsi ogni volta su un nuovo registro elettronico.
Penso infatti anche al processo lungo e tedioso delle interrogazioni, o anche a tutto il tempo perso a richiamare all’ordine la classe (la gestione del comportamento meriterebbe in ogni caso un approfondimento a parte). A tutto questo si aggiungono il via-vai del bagno, le interruzioni per le varie comunicazioni e altre distrazioni che, interrompendo il filo della lezione, richiedono tempo ed energia per riprenderlo. Anche il fatto che le supplenze siano considerate ore vuote (quando la classe non viene direttamente fatta uscire da scuola) costituisce un’emorragia ingiustificata di tempo prezioso -e vi siamo fin troppo assuefatti.
Non è qui il caso di elencare tutti i possibili modi in cui si può risparmiare tempo. Voglio sottolineare soltanto che bisogna essere consapevoli di avere un problema strutturale di tempo. E’ appena il caso di rimarcare che la mancanza di tempo si trasforma immediatamente in un problema di qualità della nostra didattica, dato che la fretta si sposa assai male con l’apprendimento.
Un trucco “salvatempo”
Per non rimanere nel vago, però, voglio portare qui l’esempio di un trucco “salvatempo”, quello delle lavagnette personali, che mi viene da un insegnante inglese, David Didau. Portarle in classe ha chiesto qualche giorno di adattamento, non di più, e i vantaggi si sono rivelati notevoli.
Le lavagnette altro non sono, nella versione fai-da-te da me adottata, che buste ad anelli lucide con dentro un foglio bianco, da usare per scriverci sopra con un pennarello cancellabile da lavagna bianca. Il docente pone alla classe una domanda, gli studenti scrivono la risposta e sollevano la lavagnetta perché il docente la veda.
Il vantaggio rispetto al fare domande a singoli studenti scelti più o meno a caso è nella rapidità. Domande a singoli studenti se ne possono comunque fare (come nel caso di risposte troppo articolate per una lavagnetta), ma spesso questo vuol dire chiamare uno studente in difficoltà e attendere una risposta che potrebbe anche non arrivare, poi un altro, poi un altro ancora; significa perder tempo a richiamare quelli che risponderebbero senza alzare la mano oppure quelli che colgono l’occasione per distrarsi. Dettaglio non da poco, con le chiamate individuali si scopre la risposta soltanto di una persona, o di poche, e non di tutti.
Con le lavagnette tutti sono chiamati ad attivarsi, la concentrazione non si disperde, ogni studente gestisce il proprio tempo autonomamente (nei limiti del buon senso). Inoltre, cosa più preziosa di tutte, l’insegnante ottiene in maniera immediata una fotografia di come sta andando la comprensione in classe:
- Quanti hanno capito?
- Quanti no?
- Quali tipi di errore sono stati fatti?
Senza le lavagnette, il docente avrebbe avuto un quadro molto più vago delle difficoltà della classe o non le avrebbe percepite proprio. Rendendosene conto solo al momento della valutazione, sarebbe dovuto tornare precipitosamente indietro su argomenti già svolti. La perdita di tempo a quel punto è massiccia e corrisponde al momento in cui ci accorgiamo di essere, come dicevamo, drammaticamente indietro col programma. La lavagnetta, così banale, ci avrebbe salvato molto tempo prima.
Attenzione costante
Ogni docente può inventare i propri sistemi di gestione del tempo, o adattarne di vecchi alle proprie materie e alle proprie classi. Quel che importa è che rimangano costanti la tensione e l’attenzione al non disperdere quel ristretto patrimonio di ore e minuti che ci è dato perché è fin troppo facile ritrovarsi ad inseguire la propria stessa didattica. Si fa più fatica, gli studenti hanno più difficoltà e alla fine si rimane con un senso di amaro in bocca. Molto meglio organizzarsi prima e darsi modo di tirare il fiato. Non ce ne pentiremo.
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