valutazione scolastica

“Prof, quanto mi ha dato?”. Parliamo di valutazione.

in Scuola by
Ormai giunti alla fine della scuola è il momento di parlare di valutazione, alla quale forse si da troppa importanza

La frase inerente alla valutazione che dà il titolo a questo articolo è un frammento di conversazione che ho captato una mattina mentre andavo a lavorare. L’ho intercettata mentre attraversavo un gruppo di studenti e studentesse alla stazione, di età compatibile con quella di una scuola secondaria.

Immagino che fossero convenuti in quello spaziotempo per un’uscita didattica. Nel fugace transito, ho colto questo passaggio che ha dato la stura a fiumi di considerazioni sulla valutazione che hanno affollato la mia mente per giorni e che ora cerco di sistematizzare in questo intervento.

Vediamo (e ascoltiamo) quello che vogliamo vedere (e ascoltare)

La prima considerazione è autocritica: vediamo (e ascoltiamo) quello che vogliamo vedere (e ascoltare). Lo dico perché in rete ho intercettato una massima attribuita a José Ortega y Gasset che ci ammonisce:

Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni.

E allora è bene che io stesso sappia che ormai note ragioni di origine neurocognitiva ci rendono consapevoli del fatto che ci soffermiamo su segnali che abbiamo la sensibilità di intercettare e chissà quanti altri ne ignoriamo di cui, probabilmente, dovremmo tenere conto.

Per questo è utile la discussione aperta che coinvolge la molteplicità delle vedute che portano alla nostra attenzione anche quello che non vediamo e che ci consenta di partire dai fatti, che non possono che essere accettati, quelli comodi e quelli scomodi, per costruire le teorie che li spiegano.

“Prof, quanto mi ha dato?”

Perché, mi sono domandato, la studentessa ha chiesto “quanto mi ha dato del tema?” e non altro? Quante volte abbiamo intercettato frasi del tipo: “Prof, ha visto che ho usato la concordanza a senso?” oppure “Le è piaciuta la metafora nelle conclusioni?” o, ancora: “Ha apprezzato l’ossimoro che ho escogitato?”.

Queste domande sarebbero sintomatiche di focalizzazione sul contenuto, sugli apprendimenti, sulle abilità e sulle competenze, cioè su quello che uno studente o una studentessa ha imparato, cercando gratificazioni dove è giusto che sia, e mostrerebbero attenzione e consapevolezza degli apprendimenti.

E invece no: “quanto mi ha dato?”. Peraltro neanche: “Prof, scommetto di avere preso sette!”? Sarebbe significativo di una qualche autovalutazione ai sensi della normativa vigente:

La valutazione … ha finalità formativa ed educativa e … promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.

(Art. 1, comma 1 del D.Lgs. 62/2017)
Ma lo scopo del “gioco” non è imparare?

Quando insegnavo, mi permettevo di chiosare con questa risposta:

Io non ti do niente, sei tu che prendi quello che è tuo!

Perché c’è un altro elemento drammatico in quella domanda e cioè il fenomeno della questua. Questa nasce dall’evidente esigenza dello studente di conseguire risultati formali che gli/le consenta di essere promosso. Capite bene che lo scopo del gioco, qui, è prendere la sufficienza, non imparare qualcosa.

E per prendere la sufficienza è anche utile avere buoni rapporti coll’insegnante e quindi “chiedere”, nel senso di “richiedere”, quindi di “chiedere per ottenere”. Forse, meglio chiedere “per piacere”.

Beninteso non sempre è così, capita che quando ci sia una differenza sociale usata dall’insegnante per negare il valore delle culture familiari dei propri studenti, il “chiedere per ottenere” può anche divenire sgraziato e fonte di ulteriori irrigidimenti.

Spostare il focus

Sarebbe la stessa cosa se riuscissimo a focalizzarci sugli apprendimenti e non sui voti? Sappiamo per esperienza che tutte le volte che presentiamo la correzione di un compito, le studentesse e gli studenti corrono a vedere la valutazione. Il resto non conta.

Essendo costretto a dare voti, nella mia esperienza di insegnante, li fornivo agli/le studenti/esse prima della consegna. Quando consegnavo i compiti, quindi, il voto era già noto e l’attenzione poteva focalizzarsi sulle correzioni, ma non posso testimoniare di grandi successi.

Auto-valutazione?

Ebbene, se invece consegnassimo i compiti con le nostre correzioni e la griglia di valutazione chiedendo alle studentesse e agli studenti di autovalutarsi alla luce di quella griglia? In fin dei conti, una griglia di valutazione è qualcosa che affronta un altro elemento rilevante della valutazione ed è la questione del voto come forma di potere, ampiamente dibattuta dalla pedagogia recente, ad esempio nei lavori, o più semplicemente nei post sui social network, di Cristiano Corsini e di Antonio Vigilante.

Il voto è potere!

Il voto è potere e il potere inquina la relazione. Se devo guardarmi dall’insegnante che potrebbe colpirmi con un’insufficienza, per quale motivo dovrei aprirmi a lui come faccio dal medico quando vado per farmi curare? Invero capita che ci siano pazienti che mentono al medico perché non vogliono l’amara medicina… Cosa pensiamo di queste persone? Semplicemente che sono dei poveretti ingenui e che pagheranno con la propria pelle le conseguenze di questo atteggiamento infantile. Ma temo che noi, nel mondo della scuola, costruiamo le condizioni per l’infantilizzazione dei/delle discenti.

L’importanza dell’ambiente di apprendimento

In fondo se forniamo una griglia di valutazione e la commentiamo assieme, un po’ di potere lo perdiamo, ma probabilmente ne guadagna la relazione, ne guadagna la configurazione neuronale del nostro studente che è liberata dalle sostanze prodotte dall’amigdala quando questa ci paralizza urlando: “pericolo! Pericolo!”.

E quando siamo nel pericolo, ci insegnano le neuroscienze, non si impara nulla. Ci si irrigidisce nella paura o si scatena una reazione di fuga perché l’amigdala ci dice: c’è un leone dietro a quel banano, scappa!”. Possiamo imparare con un leone dietro al banano? Provate a studiare le tabelline in una gabbia di tigri.

Eppure è l’ambiente di apprendimento che, anche inconsapevolmente creiamo. A volte sorprendendoci della diffusione degli attacchi di panico, dei disturbi alimentari, della fragilità di alcuni alunni e, quando va male, della loro oppositività o aggressività. Sta a noi leggere queste cose nella classe e cambiare la cose.

Per saperne di più: avevamo già affrontato il tema della valutazione in questo articolo.

Foto di copertina by Scott Graham su Unsplash

Il nuovo documento di valutazione nella scuola primaria

in Scuola/Zigzag in rete by

Con il giudizio descrittivo riferito a differenti livelli di apprendimento, la valutazione degli alunni mira a dare valore alle tappe dell’apprendimento

Abbiamo già avuto modo di parlare del tema della valutazione in questo articolo.

Con l’Ordinanza ministeriale N° 172 del 4/12/2020, i docenti della scuola primaria hanno dovuto pensare a nuove modalità per la valutazione della preparazione degli alunni.

A decorrere dall’anno scolastico 2020/2021, dunque, la valutazione (periodica e finale) degli apprendimenti è espressa, per ciascuna disciplina di studio, attraverso un giudizio descrittivo.

I 4 livelli individuati

  • AVANZATO: l’alunno porta a termine compiti in situazioni note e non note, mobilitando una varietà di risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità.
  • INTERMEDIO: l’alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in modo discontinuo e non del tutto autonomo.
  • BASE: l’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal docente, sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità.
  • IN VIA DI PRIMA ACQUISIZIONE: l’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il supporto del docente e di risorse fornite appositamente.

Tutto ciò mira a dare valore alle tappe dell’apprendimento, trattandosi di una vera e propria “valutazione in itere”: rigorosa, sistematica, non più oggettiva.

Lo scopo del nuovo metodo di valutazione

Se prima si mettevano a confronto gli alunni gli uni con gli altri, collocandoli di fatto in una scala gerarchica, adesso ciò che viene valutato è il  processo di insegnamento-apprendimento: così, si monitora costantemente il percorso dei bambini.

Il processo di valutazione, dunque, non verte più su una logica di misurazione prettamente numerica; è infatti orientato alla ricerca di percorsi personalizzati per ogni alunno.

Consente inoltre di rappresentare i complessi processi cognitivi/meta-cognitivi, emotivi e sociali attraverso i quali si manifestano i risultati degli apprendimenti.

Sotto la lente attenta della valutazione, è dunque il percorso di insegnamento/apprendimento messo in atto dal docente; grazie a questo, l’insegnante monitora l’efficacia delle sue proposte o le eventuali difficoltà della classe, in base al contesto.

Come raccogliere le informazioni relative all’apprendimento dei bambini?

Servono strumenti diversificati, da utilizzare durante lo svolgimento delle varie attività.

Il ruolo dell’insegnante adesso cambia: non solo parla e spiega alla cattedra, ma progetta le esperienze e le attività della classe.

In questa nuova veste, le domande che si pone sono varie e continue: quale progettualità voglio sviluppare? Cosa voglio far fare agli alunni?

Come sostiene Elisabetta Nigris, Responsabile del Gruppo di lavoro nazionale del Miur sulla valutazione:

Se vogliamo progettare per competenze, è necessario costruire un percorso con i bambini che gradualmente, attraverso il conseguimento di obiettivi sempre più articolati, conduca alle competenze

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La valutazione degli studenti, dalla DDI al futuro

in Approcci Educativi/Scuola by
Facciamo luce insieme su uno dei problemi più sentiti e attuali: la valutazione degli studenti, alla luce dell’attuale situazione scolastica

Nel generale scombussolamento della didattica provocato dalla pandemia e dal conseguente ricorso alla DDI, quello della valutazione degli studenti si è rivelato uno dei problemi più sentiti. Di sicuro è quello che più spesso finisce sui giornali, con tutto lo scalpore che ne segue, a dimostrazione delle tensioni che esso genera.

Molti docenti sono sul chi vive, e non per ragioni astruse. Se tra gli studenti l’abitudine di imbrogliare era già pervasiva quando di DaD o DDI non v’era il minimo sentore (tanto che Marcello Dei ha potuto scrivere un’intera monografia al riguardo: Ragazzi, si copia, figurarsi ora che le possibilità di controllo sono ridotte praticamente a zero.

È per questo che alcuni zelanti colleghi hanno concepito trovate insolite e crudeli quali l’obbligo di parlare bendati o di fissare la web cam senza interruzioni, a rassicurazione della genuinità delle risposte.

Si tratta di episodi che fanno cadere le braccia e che dimostrano una volta di più come talora la scuola italiana faccia una fatica assurda a reagire correttamente a problemi reali, finendo per polarizzare la discussione in opposte banalizzazioni: da un lato un atteggiamento alla “sorvegliare e punire” che non produce risultati (pur godendo di una legione di convinti fautori) e dall’altro la superficiale tolleranza di un fenomeno che viene ridotto a goliardia.

Forse è il caso di ritornare sui fondamentali e di ricordarci le ragioni e gli scopi della valutazione scolastica. Spero che tra docenti si sia tutti d’accordo sul fatto che la valutazione abbia principalmente due scopi (nessuno dei quali, sia detto en passant, può sopravvivere a imbrogli sistematici): rendere intellegibili i progressi fatti da uno studente e fargli capire dove e come può ancora migliorare.

In gergo specialistico, ma stranoto a tutti gli insegnanti, la prima è una valutazione sommativa, la seconda, la più importante nella scuola dell’obbligo, formativa.

Attraverso un voto (sommativo) facciamo capire quanto lo studente si sia avvicinato all’obiettivo che volevamo fargli raggiungere; attraverso un giudizio (formativo e spesso e volentieri discorsivo) gli facciamo una diagnosi.

Il sistema di valutazione della scuola italiana è efficace nel perseguire questi obiettivi? In realtà, no. Il nostro è un sistema caotico che anche in assenza di pandemie fa danni in tutte le direzioni e scontenta tutti senza fornire dati utili.

Gli studenti vivono la valutazione con sospetto e ansia, i docenti con stress. Gli studenti non vogliono essere valutati e i docenti li inseguono con compiti e interrogazioni, sfinendosi reciprocamente.

Anche il più convinto sostenitore della docimologia italiana finisce per lamentarsi di “non avere il tempo di interrogare” o di dover fare i salti mortali per riuscire a mettere un voto agli acrobati delle assenze strategiche.

Si fa fatica a capire perché questo sistema così scombinato sia anche così inamovibile, ma non è un mistero. In parte c’entrano l’abitudine e la tradizione: la scuola fa parte del nostro panorama infantile in maniera così profonda che non immaginiamo possa cambiare. Dall’altro, c’è una funzione impropria di cui più o meno consapevolmente non sappiamo fare a meno, quello della “retribuzione”.

I voti sono premi e castighi che noi docenti gestiamo come fossimo occhiuti confessori o, peggio, censori. Molto spesso il voto altro non è che uno strumento di governo della classe.

La didattica digitale ha inferto dei pesanti colpi a questo gioco. Quand’anche non si abbia della valutazione scolastica l’opinione severa che ho illustrato e anzi la si trovi adeguata, bisogna riconoscere che è un gioco al quale per ora non si può più giocare. È necessario trovare delle alternative.

Se non possiamo impedire agli studenti di alterare la valutazione sommativa con l’imbroglio, sospendiamo la valutazione sommativa e posponiamola a quando sarà possibile farla davvero. Per adesso i voti non ci servono.

Ci serve piuttosto che gli studenti imparino qualcosa. Se pensiamo che gli studenti imparino qualcosa soltanto se continuamente minacciati di votacci, la mia proposta deve sembrare un non sense, ma bisogna anche riconoscere che raramente le minacce rimangono efficaci a lungo.

Proviamo allora a far così: durante la didattica digitale facciamo soltanto valutazione formativa, ricordando quanto più spesso possibile agli studenti che quel che si fa è in vista di valutazioni sommative serie, da svolgersi più avanti e in cui non sarà possibile imbrogliare. Invece di fare tanti compiti e interrogazioni con calendario e argomenti più o meno casuali, faremo fare tante esposizioni orali, relazioni, riassunti, simulazioni di esame, laboratori e lavori di gruppo, il tutto in preparazione di una prova uguale per tutti, ponderata, programmata ed elaborata per tempo, da tenere alla fine del quadrimestre o dell’anno. Intessute in tutte queste attività troveranno agevolmente luogo le valutazioni formative, quelle che entrano davvero nel merito dell’apprendimento.

In questo modo uno studente non è incentivato a trovare mezzucci per scappottarsi questa o quella prova di valutazione, ma a elaborare un metodo di studio di ampio respiro; il docente non deve andare a caccia di numeretti da raccattare alla bell’e meglio; si riduce a zero l’attualmente spropositata conflittualità per eventuali “ingiustizie” nella valutazione, che possono essere reali come inventate, ma che finiscono per essere inevitabilmente evocate se la valutazione si riduce a domande random fatte in momenti più o meno casualmente sparpagliati nell’anno scolastico.

La mia idea è che una volta fatto tutto questo, la didattica digitale possa procedere più spedita e tranquilla. I docenti penserebbero a insegnare, gli studenti ad imparare. Certo, sarebbe bello avere studenti maturi e motivati a prescindere da come vogliamo strutturare la nostra didattica, ma maturità e motivazione sono cose che si costruiscono e si insegnano anch’esse.

E avere un sistema valutativo funzionale, con risorse più ampie di quello attuale, che alla fine conosce solo prediche, minacce e qualche occasionale blandizia, di sicuro aiuta moltissimo.

Oppure possiamo continuare come abbiamo sempre fatto, e continuare a lamentarci degli studenti, senza neanche accorgerci di quanto siamo ripetitivi. A noi la scelta.

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