Sonia Coluccelli, insegnante e formatrice, riflette sul contenuto della lettera scritta da Galli Della Loggia al neoministro all’Istruzione Bussetti. Punto uno: la pedana.
Riprendiamo il contenuto della lettera scritta da Ernesto Galli Della Loggia all’indirizzo del neoministro all’Istruzione Bussetti e pubblicata sulle pagine del Corriere della Sera il 4 giugno, subito dopo la nomina del nuovo governo. Non c’è in queste riflessioni alcun intento di aprire una querelle con l’opinionista a cui già molti autorevoli esperti hanno risposto nei giorni successivi alla pubblicazione della lettera. Crediamo però sia interessante riflettere sui paradigmi che quelle proposte portano in sé, provando a leggere il modello culturale e pedagogico che esse veicolano ed esprimono. Vorrei quindi ringraziare l’autore di quell’articolo per aver posto sul tavolo questioni sostanziali, pur giungendo nel suo scritto a conclusioni su cui mi pare ci sia molto da dire. E proveremo a farlo.
Dalla lettera: “Reintroduzione in ogni aula scolastica della predella (ndr pedana), in modo che la cattedra dove siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale siedono gli alunni. Ciò avrebbe il significato di indicare con la limpida chiarezza del simbolo che il rapporto pedagogico — ha scritto Hannah Arendt, non propriamente una filosofa gentiliana, come lei sa — non può essere costruito che su una differenza strutturale e non può implicare alcuna forma di eguaglianza tra docente e allievo. La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche.”
Le predelle di cui si propone la reintroduzione hanno occupato buona parte dei commenti e delle risposte riservati a questa lettera e forse non è un caso che compaia proprio questa immagine piuttosto suggestiva al primo dei dieci punti in cui si articola la proposta: l’opinionista non è un ingenuo ma conosce le strategie della comunicazione. Tuttavia non è (solo) di queste pedane da tempo in disuso che qui vorrei scrivere, l’affermazione forte, quella che credo meriti maggiore attenzione è certo quella che viene messa in chiusura: La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche.
La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche.
Ci sarebbe davvero da chiedersi se abbiamo un’idea condivisa di quelli che nel calcio verrebbero definiti “i fondamentali”. A cosa serve la scuola, di cosa “è sede”? Pur essendo la scuola passata negli ultimi settanta anni da linee programmatiche diverse, espressione di differenti visioni non solo didattiche e pedagogiche ma anche sociali e culturali, credo sia sempre stato condiviso il principio di fondo per cui essa, sin dai primi gradi, debba essere luogo di alfabetizzazione alle pratiche di cittadinanza; è, questo, un pilastro essenziale di ogni documento, percorso formativo o linea di indirizzo per gli insegnanti dell’era repubblicana.
Nei Programmi per la scuola elementare dell’85 (33 anni fa!) un intero paragrafo della premessa era dedicato all’educazione alla convivenza democratica, con numerosi riferimenti al dettato costituzionale ed alle pratiche educative con esso coerenti. La visione proposta da quelle pagine non è ancora superata, né del tutto attuata, purtroppo.
La scuola come microcomunità, dunque, luogo che, soprattutto nella dimensione dell’istruzione pubblica gratuita e laica, permette di esercitare le competenze di relazione che possono definire la fisionomia della comunità futura.
Rileggo la proposta pubblicata sulle pagine del Corriere e mi chiedo dove, se non a scuola, possiamo insegnare ed imparare in modo concreto ciò che si intende per democrazia. Se non la si apprende esercitando da subito il rispetto per ciascuno come persona, sperimentandolo su di sé tanto da farne un’esperienza che può essere restituita e diventare pratica ordinaria, quando potrà diventare essa forma del pensiero di ciascun membro della nostra comunità di vita? Ci sarebbe poi da intendersi su cosa si intenda con questa parola spesso fraintesa e manipolata. Basta risolverla in una fittizia e pacificante idea di uguaglianza universale?
Mi piacerebbe citare i moltissimi e pedagogicamente preziosi passaggi delle Indicazioni Nazionali che articolano al meglio questo concetto, ma credo che valga ancora e sempre la pena fare riferimento alla nostra legge madre, la Costituzione. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Troverei molto curioso che questo articolo e quelli precedenti e successivi venissero letti e studiati in classe dall’alto di una predella. Non esiste, parlando di relazioni e di democrazia, uguaglianza tra nessun essere umano ed un altro, esiste piuttosto un principio di equivalenza, di ugual valore, di uguali diritti. A prescindere non solo da lingue, culture e religioni di appartenenza ma anche dall’età e dal ruolo. Il valore di un bambino è il medesimo di quello del suo insegnante. Diverse sono le responsabilità di cui sono investiti, le esperienze e le competenze che portano con sé, ma abitano la terra e quindi l’aula con la medesima dignità. Per questo motivo non è possibile pensare a reintrodurre un elemento che esprima significati diversi, predisporre un ambiente che dica altro, che assegni a qualcuno un valore diverso, segnalato dalla collocazione del suo posto a sedere.
Diverse sono le responsabilità di cui sono investiti, le esperienze e le competenze che portano con sé
Allora, se mai il ministro avesse occasione di leggere queste righe credo sarebbe utile, proprio rispetto al tema delle opportunità che l’ambiente aula può offrire per apprendere le pratiche democratiche, che più scuole potessero avere aule più ampie all’interno delle quali poter organizzare spazi per assemblee, consigli di cooperazione, cerchi di condivisione di idee e proposte. E che, come ci ricordano le Indicazioni Nazionali, quel processo di apprendimento di cui il bambino ed il ragazzo sono protagonisti e non fruitori non necessiti di cattedra ma di insegnanti capaci di rendere il sapere un bene comune, democraticamente.
Tutti gli articoli pubblicati di Sonia Coluccelli sui dieci punti della lettera di Galli della Loggia:
1 – a partir dalla pedana per parlar di democrazia
2 – tutti in piedi l’illusoria idea di obbligare al rispetto
3 – autogestioni: pretesti per non studiare o momenti formativi?
4 – fuori le famiglie dalla scuola? L’equivoco del genitore cliente
5 – riunioni e consigli, tra burocrazia e confronti necessari
6- Il mito delle scuole giapponesi, tra pulizie e responsabilità
7- Una scuola senza smarthone, falso vituosismo
8- Letture di ordinanza o diritti del lettore (e del docente)?
9- E se non parlassimo di gita, ma di viaggio?
10- Il nome della scuola: semplice lustro o scelta consapevole?
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