Rivedere i finali, edulcorare i toni: sulle fiabe il dibattito è ancora acceso. Ma sicuri che la risposta sia, semplicemente, farne a meno?
Quanti di noi si ritrovano a dover pensare ad un regalo per i più piccoli, indirizzandosi verso una libreria (in realtà speriamo in molti!)? L’equazione è, dunque, questa: stai per fare un regalo quindi pensi (anche) ai libri. Pensi (anche) ai libri, quindi ti vengono in mente i libri di fiabe, almeno, come dicevamo, per i più piccoli.
Fine dell’equazione e inizio dei problemi, quelli seri.
Tu dici: “compro un libro di fiabe” e ti sembra di aver chiuso il discorso, ma mica è vero. Ti ritrovi, piuttosto, immerso in un dibattito psico-biblio-politico-pedagogico sfrenato. Roba d’altri tempi, di quando si partiva dai libri e si arrivava ai massimi sistemi.
Ci sono le attrici (la Knightley e la Bell), per esempio, che hanno detto che loro mai e poi mai farebbero vedere una fiaba della Disney alle rispettive figlie. Ora, ad avercele davanti, uno avrebbe pure la tentazione di precisare che le fiabe non sono della Disney, ma che -semmai- la Disney ne ha fornito una lettura abbastanza edulcorata. E poi si dovrebbero leggere e non “vedere”, ma non stiamo qui a far gli intellettuali, che non va neanche di moda.
Poi mi sono ricordato di un saggio di Peggy Orenstein che in italiano suona un po’ come “Cenerentola ha mangiato mia figlia” e un pochino mi è sembrato di capire, Disney o non Disney. Nelle fiabe ti va tutto da Dio se sei un maschietto mentre, se sei una femminuccia, il massimo che puoi fare è andare a stanare un principe e sposartelo. Certo, non è il massimo. Ti può capitare di nascere brutto e sgraziato, guarda, una Bestia, ma comunque incontrerai una Bella che stravederà per te. Nelle fiabe i ragazzi hanno la vita comoda (a parte incontrare un drago ogni tanto), mentre le ragazze puliscono i pavimenti.
Da qui il dibattito psico-biblio-politico-pedagogico: basta con le fiabe diseducative, basta con i principi azzurri che non esistono e basta con le ragazze che da sole non possono farcela! Le fiabe sono state pensate centinaia d’anni fa, e che diamine! E giù, contro i tempi arcaici sessisti e maschilisti. Che detta così, poi, io sono pure d’accordo. Cioè, non sulle fiabe, ma sul fatto che le mie alunne ce la faranno, eccome, anche senza un maschietto-guida. Sono toste, le mie alunne.
Solo che le fiabe messe lì da una parte solo perché son vecchie, proprio non ce le vedo.
Prendi Cenerentola per esempio. La ragazza se ne sta a casa a pulire (ma va?) e aspetta il suo principe azzurro (ma va?) intanto ha delle sorellastre tra il cattivo e l’arrivista, supportate da una madre tra l’arrivista e il cattivo. Tutto perfetto, tutto diseducativo. A un certo punto arriva il principe e fa provare la scarpina alle due sorellastre. E che fanno, queste disgraziate? Vedendo che il piedone proprio non scivola, tagliano via le dita dei piedi e un pezzo di tallone. Almeno nella fiaba originale è così: mentre Cenerentola scoppietta di felicità, le sorellastre se ne vanno lasciando una lunga scia di sangue.
E allora, pensateci prima di buttare le vecchie care fiabe: sicuri che ne possiamo fare a meno? Non è che poi ci ritroviamo con generazioni future convinte che, per ambire a un pizzico di felicità, bastino un po’ di cattiveria, un tacco dodici che fa tanto elegante (anche se fa sanguinare dita e talloni) e arrivismo? Andiamoci piano. Mettiamoci tutti scarpe comode e leggiamo fiabe classiche: perlopiù sono ottimi racconti dell’orrore.