“L’isola. Una storia di tutti i giorni” di Armin Greder letto da studenti di una 3B meccanici a quattro classi della primaria. Dice l’insegnante: quando hai tante perplessità loro ti stupiscono sempre. E danno il meglio
La mia 3B meccanici non è mai stata esattamente una classe di lettori. Però. Un peró c’è sempre. Quando Sara Moretti mi ha detto “Quest’anno leggono loro” era ottobre e stavamo preparando l’edizione di Libriamoci 2017. Abbiamo partecipato tutti gli anni, ma sempre riflettendo su letture fatte da altri per noi ad alta voce e poi scrivendo da esse. Quindi la proposta di Sara pareva un azzardo. L’idea di farne lettori ad alta voce per i bambini della primaria mi sembrava affascinante e sfidante allo stesso tempo. Così abbiamo deciso di provare.
La scelta del testo, a lungo discussa, è ricaduta su uno degli albi più complessi e toccanti che abbia mai letto : “L’Isola” di Armin Greder. Un albo per chi lo conosce altamente coinvolgente, quelli che ti portano a schierarsi: o di qua o di là. Condividendo il progetto con i ragazzi con il solito brain storming sono emerse molte perplessità.
«non siamo capaci prof! Mica siamo al Liceo!» o «Ma che gli diciamo ai bimbi? Noi meccanici!» E via di questo passo. Non mi scoraggio facilmente e così abbiamo proseguito. Poco tempo, tanto da lavorare.
Non tutte le immagini erano adatte
Il primo nodo lo hanno sottolineato e risolto i ragazzi. Non tutte le immagini erano adatte. «Si spaventano, prof!»: hanno capito subito la potenza delle immagini che colpiscono più delle parole. Hanno quindi deciso di farne una scelta da montare in un video che sarebbe stato proiettato su un telone bianco. Si sono domandati come far restare inalterato il plot senza perdere in potenza espressiva. Ecco il mio primo successo didattico: discutere di un libro con un compito autentico. Nulla di meglio per crescere lettori. Discutere e negoziare significati, questa volta addirittura significati da trasmettere ad altri. Non poi così semplice.
La lettura ad alta voce è molto difficile, se ben fatta. Veicola la comprensione profonda e deve essere curata nei particolari
La lettura ad alta voce è molto difficile, se ben fatta. Veicola la comprensione profonda e deve essere curata nei particolari. Abbiamo optato per un coro ( gli isolani), una voce narrante (come nel testo), una voce dissonante ( il pescatore). Cominciavo a vedere occhi curiosi e interessati.
La lettura immersiva dell’albo ci è servita per negoziare significati sul testo. Gli studenti come sempre hanno notato particolari a me invisibili. Abbiamo molto lavorato sul rapporto testo immagini, sulle connessioni con altri testi ( “Il fazzoletto bianco” di Viorel Boldis o il libro “Via dalla pazza guerra” di Alidad Shiri ). Abbiamo affidato ruoli da svolgere, abbiamo discusso scelte registiche. Non dico sia tutto filato liscio. Chi lavora in un istituto come il mio sa bene quanto l’incostanza nella frequenza e la scarsa abitudine a prendere decisioni autonome siano nemiche di attività del genere. Renderli protagonisti ha costi alti in termini di gestione della classe e di disciplina. I miei studenti come io spesso amo dire sono veri e non fingono. Nemmeno nei rapporti con i loro docenti. Sono quello che sono, si palesano subito, ti sbattono in faccia il loro “essere diversi” prima che glielo possa ricordare tu. Io li amo proprio per questo.
La mancanza di autostima e di fiducia è così alta che i ragazzi si censurano da soli. Più facile rinunciare che mettersi in gioco
Il giorno prima dell’appuntamento fissato l’incertezza ha iniziato a serpeggiare. Chi lavora negli Istituti Professionali sa come sia difficile programmare interventi e spesso l’ imprevedibile possa accadere. La mancanza di autostima e di fiducia è così alta che i ragazzi si censurano da soli. Più facile rinunciare che mettersi in gioco.
«Domani non vengo prof!»
«Che ci andiamo a fare?»
«Inutile! Mica è una lezione… io salto»
Io non perdo mai la pazienza. Argomento con calma. Non minaccio, ma cerco di motivare. È il mio modo di stare in quella scuola.
Io non perdo mai la pazienza. Argomento con calma. Non minaccio, ma cerco di motivare. È il mio modo di stare in quella scuola
La mattina aspettavo i ragazzi con la collega Elena Faravelli, che mi ha sempre sostenuto, alla fermata del bus. Non c’era nessuno. Alle 8,30 ora dell’appuntamento nessun ragazzo appariva all’orizzonte. Ero stremata. Che figura avremmo fatto? Come me la sarei cavata? Alle 8,40 hanno cominciato ad arrivare alla spicciolata. Chi in motorino, chi in autobus. Tutti. Sono venuti tutti. Con gli sguardi sornioni di chi non voleva darmela vinta, abbiamo affrontato la performance.
Quando hai tante perplessità loro ti stupiscono sempre. E danno il meglio
Quando hai tante perplessità loro ti stupiscono sempre. E danno il meglio. Seri, organizzati, precisi. Avevano il materiale e hanno fatto tutto alla perfezione. Sì si sono gestiti autonomamente. Le colleghe della primaria avevano i lucciconi. Pure io ed Elena. Erano stati veri e credibili. Ma il meglio doveva ancora venire. Non avevamo programmato nulla ma i miei studenti si sono divisi nelle quattro classi della primaria ( due quarte e due quinte) per rispondere alle domande dei bambini. E che domande! Profonde e serrate sul testo. E i ragazzi a rispondere ed argomentare.
Perché bruciano la barca?
Perché lo chiudono nella porcilaia?
Loro rispondevano seri e compiti spesso facendo domande a loro volta (come faccio io con loro) per indurre ragionamento. Avevano perfettamente non solo inteso il messaggio del libro ma erano in grado di replicarlo.
Avevano perfettamente non solo inteso il messaggio del libro ma erano in grado di replicarlo
Infine le chicche. Chi siete? Perché sei nero? Che lingua parli? La loro “diversità” a me ormai invisibile invadeva il campo prepotentemente. Non hanno fatto una piega. Hanno dato nomi, storie, luoghi. Hanno pronunciato frasi nella loro lingua. Hanno riso molto.
Rachid bengalese :«Studiate bambini, non fate come me! Potevo fare il Liceo!» ( ma io dico sempre che loro frequentano il Liceo del lavoro!). Klaudio, albanese fiero:«Ricordate da dove venite sempre! Le origini sono importanti! Non dimenticate la vostra lingua!». E uscendo :«Vi aspettiamo a scuola! Venite preparati!»
Giugno, esame per la qualifica triennale di manutentore meccanico. Domanda del presidente di commissione: Qual è stata la più bella esperienza del triennio a tuo avviso?. In 18, credo, su 20 hanno risposto “L’isola ad alta voce”. Son soddisfazioni. Grazie a Sara Moretti di Teatro21 e alla prof.ssa Elena Faravelli.
Tutte le immagini fanno parte dell’albo illustrato “L’isola. Una storia di tutti i giorni” di Armin Greder, Orecchio Acerbo editore, 2008