Gianluca Piola ci introduce alla differenza tra dolo e colpa partendo da un verso di una demo di Salmo del 1999. Abbiamo sempre la consapevolezza di commettere un reato?
“E’ solamente dolo e premeditazione”. Siamo nel 1999 e questo è il ritornello della demo Premeditazione e dolo del rapper Salmo realizzata con Bigfoot e Scascio (con i quali formava il gruppo omonimo, chiamato appunto Premeditazione e Dolo). Chissà se si sarebbero mai immaginati che sarebbe diventata spunto di dialogo per professori e studenti.
Di certo c’è che è molto importante tentare di comprendere cosa sia l’elemento soggettivo di un reato, ovvero la consapevolezza che la propria azione sia un reato e si determini o un danno a un bene o la sua messa in pericolo. Ma la consapevolezza delle reali conseguenze delle proprie azioni, non è sempre così scontata (la cronaca ce lo dimostra).
La base è ovviamente conoscere e comprendere la differenza tra il dolo e la colpa. Sappiamo tutti benissimo che intascarsi il portafoglio di un altro è un reato e determina un danno; il dolo è evidente (rubare senza farlo apposta sarebbe un po’ complesso da dimostrare, non trovate? Anche se… sicuri che ci mettereste la mano sul fuoco?).
Invece la colpa è un grado dell’elemento soggettivo più lieve: manca la volontà, ma si è posta comunque in essere un’azione contraria a una regola cautelare. Un esempio: un soggetto che guida ad alta velocità non lo fa perché vuole investire qualcuno (se così fosse ci sarebbe il dolo e verrebbe considerato omicidio volontario), ma semplicemente lo fa per abitudine, per sbadataggine, ecc…, tuttavia nell’istante in cui colpisce un passante che non conosce minimamente sarebbe assurdo non punirlo perché non lo ha fatto apposta e (nella mente del soggetto alla guida) “non voleva mica fare male a qualcuno”. In questo caso si viene puniti per lesioni colpose, ossia non per averle causate volontariamente (con dolo), ma per aver violato una regola cautelare (il Codice della Strada) che impone di mantenere una certa velocità in quel tratto di strada (se così avesse fatto, di certo le probabilità di cagionare le lesioni sarebbero notevolmente diminuite).
Ci sono però molte, moltissime situazioni in cui è oggettivamente complesso comprendere le conseguenze delle proprie azioni, soprattutto in ambito penale. Un test che sarebbe interessante fare a scuola riguarda un videogioco abbastanza noto tra i più giovani: Fortnite, che si fonda su account (i personaggi) connotati da varie skin (oggettistica di natura estetica). Esiste un mercato di vendita tanto degli account quanto delle skin per avere personaggi diversi ed esteticamente più piacevoli, particolari, belli. La vendita è molto semplice: bonifico o ricarica Postepay. Accade che qualcuno finga di vendere un account, riscuota la cifra stabilita e faccia perdere le proprie tracce senza portare a termine lo scambio. Non è una ragazzata, è un furto vero e proprio anche se la giustificazione è quasi sempre “non volevo mica fare male a qualcuno”.
Tra virtuale e reale spesso c’è un abisso. Potrebbe essere utile far fare una ricarica tra due compagni di classe, come se si giocasse a Fortnite e fingendo di avere un account da vendere. Nessuno in classe ovviamente è a conoscenza di tale transazione, poiché nessuno, salvo l’accreditante e il ricevente, hanno cognizione dello scambio. E se chi ha ricevuto il bonifico (per questo account Fortnite inesistente) invece a questo punto prendesse, davanti agli occhi di tutti, cinque euro dal portafoglio di colui che gli ha fatto il bonifico?
Ovviamente (è evidente e naturale) c’è una certa ritrosia a mettere la mano in un portafoglio, in più davanti a molti testimoni. Eppure in entrambi i casi si tratta di un furto: l’unica differenza è la consapevolezza di essere visti (beccati) oppure no, l’unica. Una questione sulla quale riflettere e discutere, no?