Metodo Waldorf-Steiner: dove dita abili producono abilità di pensiero
Il Waldorf-Steiner, metodo pedagogico della funzione armonizzante tra il proprio io e il mondo esterno
Dopo avervi fornito qui alcuni elementi del Montessori, passiamo in rassegna il metodo Waldorf-Steiner, dal nome dell’antroposofo e scienziato austriaco – collaboratore anche di Goethe – che lo teorizzò nella prima metà del ‘900.
Premessa della pedagogia Waldorf-Steiner è che ogni essere umano vive 3 diversi aspetti dell’esistenza:
- ESTERIORE: percepibile attraverso i sensi;
- INTERIORE: condito di esperienze personali, attraverso il quale si relaziona col mondo esterno e si esprime nei pensieri, sentimenti, atti;
- quello in cui, nella sua individualità, si esprimono ideali e contenuti patrimonio dell’intera umanità;
Inoltre, il Waldorf-Steiner parte anche dalla considerazione dello sviluppo umano come interazione, all’interno di ogni persona, tra l’organismo ereditato e l’Io, nucleo essenziale di ogni individuo che mira ad esprimersi appieno.
Queste premesse costituiscono le fondamenta di un processo educativo che ha una funzione principalmente armonizzante, perché visto come sostegno all’individuo in evoluzione su due aspetti:
- aiutare il bambino a far sì che la sua corporeità diventi sia uno spazio abitativo idoneo ad accogliere la sua interiorità, che una porta aperta sul mondo;
- sostenere il bambino durante il suo apprendimento su come utilizzare al meglio la sua corporeità, nel suo rapporto con il contesto sociale, culturale e ambientale.
Anche il metodo Waldorf-Steiner è generalmente adatto a tutti ma, più del Montessori, viene adattato progressivamente ad ogni situazione, in base al temperamento dei bambini presenti.
I quattro tipi di temperamento infantile riconoscibili
- Malinconico, in cui prevale l’importanza dell’io con una fragilità fisica e carenza di appetito;
- Collerico, proprio dei bambini iperattivi che sfidano il pericolo per ottenere ciò che vogliono;
- Sanguinico, caratteristico dei bambini molto nervosi, che compiono più azioni contemporaneamente;
- Flemmatico, proprio dei bambini tranquilli a cui piace bere e mangiare, e che iniziano a camminare tardi.
Il nostro obiettivo: elaborare una pedagogia che insegni ad apprendere, ad apprendere per tutta la vita dalla vita stessa.
La pedagogia Steineriana cerca dunque di riconoscere, coltivare e portare a manifestazione le potenzialità di ogni bambino, rispettando i tempi della sua evoluzione fisica ed interiore.
Parallelamente allo sviluppo delle conoscenze, per Steiner è fondamentale sapere come si evolvono le facoltà dell’animo umano: volere, sentire, potere.
L’attività motoria, la fantasia, l’espressività, la creatività, l’iniziativa, sono per Steiner fondamentali nel percorso di apprendimento, ma oggi sono per lo più sacrificate; questo porta inevitabilmente ad un impoverimento dell’esperienza, pregiudicando la formazione di una sana capacità di iniziativa autonoma.
Ecco perché, nella pedagogia steineriana, le materie intellettuali e quelle artistiche/manuali hanno pari dignità: perché “dita abili producono abilità di pensiero”.
Gli educatori sono chiamati ad eseguire con i bambini giochi ritmici con le dita sulla serie di brevi versi, e ad insegnare le tabelline a passo di marcia o battendo le mani a ritmo .
Così facendo i bambini sono stimolati ad esprimere le proprie abilità con soddisfazione personale, interessandosi a quelle dei compagni. Questo rende viva l’esperienza di armonia del gruppo classe, perché uguale attenzione viene data alla maturazione sociale.
L’organizzazione in settenni
Il percorso delle scuole basate sul metodo Waldorf-Steiner è diviso in settenni. Aspetto fondamentale è che l’educatore sia lo stesso, per ogni ciclo.
Questo perché è necessario che si sviluppi uno speciale rapporto di fiducia con i bambini. Il maestro deve scendere come persona in mezzo ai bambini, farsi esempio, e seguirli, conoscerli, guidarli, orientarli: educarli.
Lo sviluppo del percorso
1° SETTENNIO | GIARDINO D’INFANZIA
Il bambino impara, da gesti, parole ed espressioni, a parlare, a camminare, a pensare, a “dire “io” a se stesso. In questa fase è importante evitare stimoli troppo intellettuali, mentre è importante l’organizzazione dell’ambiente intorno a lui, che deve essere curato e ricco di fantasia, immagini e, soprattutto, gioco.
Il gioco è infatti il lavoro più serio: è giocando che i bambini riproducono ciò che accade intorno a loro, e dunque è proprio il gioco che pone la premessa per la futura comprensione del mondo.
2° SETTENNIO | SCUOLA DELL’OBBLIGO
In questa fase del suo percorso didattico, il bambino ricerca il rapporto col mondo e con chi lo abita, e dunque è molto importante l’educazione dei sentimenti.
Ecco perché il maestro verrà affiancato da insegnanti specializzati nelle singole materie, che sapranno sempre unire l’aspetto della pratica a quello della formazione cognitivo-intellettuale. Nel processo di apprendimento, che passa attraverso l’azione, tutto deve essere coinvolto: testa, mani, cuore!
Strumento importante è l’Attestato descrittivo, una sorta di pagella senza voti che descrive i vari aspetti del bambino, nello sviluppo globale delle sue capacità.
3° SETTENNIO | SCUOLA SUPERIORE
Qui troviamo insegnanti maggiormente specializzati, così da rispondere più efficacemente al bisogno di conoscenza e relazione dei ragazzi adolescenti.
Gli obiettivi sono:
- Educare all’autonomia, alla creatività, al senso di responsabilità;
- Allenare al pensiero autonomo, attraverso una reale comprensione;
- Offrire sempre arte e cultura, perché ogni uomo è un artista: il rapporto con l’arte – in ogni sua forma – nobilita la quotidianità e crea riserve di forza;
Qui è possibile trovare una serie di appuntamenti legati alla pedagogia Steineriana, filtrati per città e argomento; qui è disponibile un elenco di seminari di formazione sul metodo Waldorf-Steiner, per insegnanti; infine qui una lista di proposte di lettura per approfondire questo metodo pedagogico.
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Giochiamo con i ritratti scomposti
Una galleria di ritratti scomposti piena di tanti personaggi fantastici ed emozioni!
Chissà quante volte ci è capitato di imbarazzarci un po’ davanti all’obiettivo quando stavano per farci una foto. Anche se siamo disinvolti, non è scontato prendere subito confidenza con l’occhio fotografico, specialmente se siamo i soggetti di ritratti, di immagini che dovrebbero quindi coglierci a pieno e, in qualche modo, metterci al centro di un ideale palcoscenico, davanti a tutti.
Chi siamo quando veniamo fotografati?
Siamo un po’ noi e un po’ no. Siamo quello che abbiamo voluto mostrare e quello che non siamo riusciti a nascondere. Siamo quello che, a volte, nemmeno sapevamo di essere… ma che il fotografo ci ha rivelato.
Il ritratto fotografico non è solo un genere, è il frutto di un certo tipo di sguardo rivolto verso l’altro, a caccia di espressioni e peculiarità che rendano quel volto interessante. Quando guardiamo il ritratto fotografico di uno sconosciuto ci viene spontaneo iniziare a immaginare chi sia, che gusti abbia, cosa stia provando in quel momento. Iniziamo a familiarizzare con un’intimità immaginata, proprio come faremmo col personaggio di una storia.
Con la nostra ormai consueta pratica di mix tra disegno e fotografia, proveremo questa volta a giocare coi ritratti, mettendoci in scena come veri e propri personaggi, e lasciando che il disegno ci aiuti ad abbandonare le inibizioni e soprattutto a suggerire nuove storie.
Al bando le espressioni fisse e imbarazzate, esorcizziamo la compostezza (soprattutto quella che siamo comunque costretti a praticare, restando a distanza di sicurezza in questi mesi) e cimentiamoci nei ritratti scomposti! Ci trasformeremo in facce completamente nuove, ci mescoleremo i connotati, li ridisegneremo letteralmente per interpretare un ruolo nuovo e posare senza paura davanti alla macchina fotografica o al cellulare dei nostri compagni.
Non è la prima volta che vi invito a indossare quella che, in fondo, è una maschera ma, se in precedenza abbiamo chiamato in causa le maschere tribali e il loro potere evocativo, stavolta ci sarà più utile pensare a quelle del teatro antico.
Dal teatro greco al teatro Noh giapponese, le maschere avevano il compito di rappresentare le emozioni dei personaggi per renderli riconoscibili e leggibili anche a una certa distanza. Che ci fossero dietro uomini o donne non aveva più importanza, il personaggio diventava il fulcro assoluto dello sguardo, tragico o comico che fosse. Nel teatro giapponese addirittura era il modo in cui la luce ricadeva sui profili intagliati della maschera a generare le sfumature della messa in scena.
Come creare le nostre maschere
Proprio come nel teatro, anche nel nostro caso sarà importante esagerare quando affronteremo il primo step ovvero disegnare su uno o più fogli, con un pennarello nero, i connotati dei nostri personaggi. Esatto, non disegneremo maschere complete ma paia di occhi, compilation di labbra, collezioni di nasi: potete dedicare un foglio A4 a ogni pezzo (un foglio per gli occhi, un foglio per le labbra, uno per i nasi).
L’accortezza sarà non disegnarli troppo piccoli perché dovranno sovrapporsi ai nostri (se invece esagerate coi volumi, l’effetto sarà molto divertente!).
Vi lascio qualche foglio disegnato da me che potete stampare e usare per fare delle prove, se non sapete da dove cominciare. Occhi mostruosi, occhi dolci, occhi pazzi, labbra felici, bocche boccacce, nasi importanti, becchi adunchi…
Si potrà decidere anche di disegnare e poi fotocopiare, mescolare e infine distribuire casualmente i fogli con cui giocheremo. I singoli elementi andranno poi ritagliati (non è necessario essere troppo precisi, l’effetto finale sarà un po’ cubista ma comunque efficace) e dovremo scegliere finalmente quali indossare!
Basterà un po’ di nastro adesivo di carta (delicato sulla pelle e comunque da tenere per pochi secondi) da arrotolare dietro ai singoli pezzi che andremo a posizionare sulla nostra faccia… alla cieca! Niente buchi per gli occhi, il rischio di attaccarci sul viso occhi storti e nasi sghembi farà parte del gioco. Sarà lo scatto fotografico a rivelarci quale personaggio abbiamo messo in scena dopo il nostro collage pazzo.
E adesso… fotografiamoci!
Ci si fotograferà a turno (o con la complicità dei grandi coinvolti) e il mio consiglio è di convertire poi le foto in bianco e nero: il bianco e nero neutralizza quanto resta dei nostri connotati reali e ci aiuta a concentrarci sulle forme e sui nuovi segni che il viso ospita. Ne uscirà una galleria di ritratti scomposti a cui dovremmo naturalmente attribuire nomi, titoli e didascalie che potranno poi diventare protagonisti di storie tutte da scrivere o di una mostra di classe.
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TWINS: il gioco per associare le immagini all’idem sentire.
Giovanni Lumini ci racconta TWINS, un gioco dove è importante associare le immagini all’idem sentire.
Parlando di Dixit sottolineavo il piacere di pensare le stesse cose di un compagno di gioco e di riuscire a capire quello che sta dietro a un suo ragionamento. C’è un bel gioco che, in modo totalmente diverso, ci mette di fronte alla necessità di NON essere originale, di NON pensare la cosa più strana, di NON fare l’associazione più sorprendente.
In TWINS (casa editrice Asmodee) vinciamo solo se riusciamo a pensarla il più possibile come gli altri! Come il più alto numero dei nostri amici e delle nostre amiche che giocano con noi.
Come si gioca a TWINS
Aprendo una scatola di TWINS troviamo ben 156 carte con fotografie, fronte retro, per un totale quindi di 312 immagini complessive. In dotazione vi sono poi 8 set, in colori diversi, di 11 cartine numerate da uno a undici. Più un piccolo tabellone che riporta gli stessi numeri.
Ogni giocatore (fino a 8) prende uno degli 8 set colorati ed è pronto a giocare. Si gioca in 4 turni. Si inizia disponendo 11 immagini intorno al tabellone. In questo modo tutti possano vedere le immagini e il numero che corrisponde a ogni immagine.
A questo punto ogni giocatore userà le sue 11 cartine per “fare le coppie” unendo, senza far vedere agli altri, a due a due i numeri relativi alle immagini che ritiene stiano “bene insieme” per una sua idea di associazione. Ma dovrà stare bene attento – ed è qui che il gioco “svolta” e diventa molto molto interessante – a fare le coppie! Non solo secondo una sua idea personale od originale, ma piuttosto secondo quell’associazione che lui/lei ritiene più condivisa anche da altri.
Osservate la figura: potrei fare la coppia 2/7 in quanto entrambi giochi (e gli altri non possono non pensarla come me!), oppure 9/2 in quanto è la mano che lancia i dadi oppure anche 6/9 in quanto la stessa mano potrebbe tenere la torcia. Ah… ma la torcia crea luce e quindi potrebbe andar bene anche la coppia 6/11 insieme al prisma che scompone la luce… già, ma il prisma con l’arcobaleno mi ricorda il cielo e allora perché non 5/11? Sicuramente tutti penseranno che il 4 va con il 10: sono due animali, vero… ma quella specie di tenda su un prato uguale a quello dei cavalli non potrebbe farmi unire la 1 alla 4? Certo, ma la tenda è rossa come le ciliege e quindi anche la coppia 1/8 potrebbe essere considerata.
Mettersi nei panni dell’altro
Mettersi quindi nei panni degli altri e del modo più condiviso di intendere le immagini, nel più comune “idem sentire” possibile è la chiave per avere più punti e vincere il gioco.
Se io e altre 3 persone siamo d’accordo su una coppia, prenderemo 4 punti; se io sono l’unico ad aver fatto una coppia non prenderò nemmeno un punto ed è quindi fondamentale calarsi nei panni degli altri.
Quando tutti hanno fatto le coppie a faccia in giù, si comincia da un giocatore a svelarle e a segnare il relativo punteggio. Anche la carta che non viene accoppiata (sono infatti 11) potrà dare punti se questa esclusione è condivisa da altri.
TWINS è un bellissimo gioco da tenere nella propria ludoteca
TWINS è un bellissimo gioco da tenere nella propria ludoteca e da usare in classe dalla primaria alla scuola secondaria. Ed è anche un formidabile strumento di informazioni per gli insegnanti! Le dinamiche che si osservano nel gioco e la voglia inevitabile di “giustificare” le proprie scelte, creano una dialettica costruttiva e pregnante.
E’ molto comune ascoltare l’apprezzamento spontaneo per accoppiamenti, magari non condivisi, particolari o strani, che, pur non dando punti, rendono allegro e denso il momento di gioco. Si può con una sola scatola riuscire a creare più gruppi, coinvolgendo anche più di 8 ragazze/ragazzi, autocostruendosi le cartine numerate, essendo tantissime le immagini. Vi lascio con un’altra sfilata di immagini: provate a fare le coppie!
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Giochi collaborativi: team building ludico
Giovanni Lumini ci porta alla scoperta di 4 nuovi giochi collaborativi per la nostra ludoteca di classe.
Sia chiaro: si gioca per vincere e non “l’importante è partecipare”, come diceva Pierre de Coubertin. Non si gioca mai per partecipare. Porto sempre con me un discorso che Alex Randolph fece al termine di una sua lectio magistralis.
“Si gioca per vincere, ma giocando per vincere si impara a perdere…. e se si è imparato a perdere, si impara a vivere”.
8 minuti di quella lezione sono raccolti in questo video un po’ rovinato ma illuminante.
Tenendo presente questo, e la competitività che permea ogni azione ludica, da molti anni sono usciti sul mercato internazionale una serie di giochi che rientrano nella categoria “giochi collaborativi” o “ giochi cooperativi”.
In questi giochi lo scopo dei giocatori è quello di collaborare insieme al fine, non di partecipare, ma di vincere tutti insieme. Vincere e “sconfiggere” il gioco stesso, che farà di tutto per farci fallire. Strategie, conversazioni, scambio di opinioni: sono tutti elementi che entrano in questa tipologia di giochi. In alcuni casi, aiutano nella “costruzione di un gruppo”, nel rinsaldare o scoprire modalità di lavoro comune. Per questo in una ludoteca di classe i giochi collaborativi dovrebbero esserci, senza peraltro cadere nell’errore che tutti i giochi debbano esserlo.
Più di una volta sia nel lavoro di negozio sia negli eventi di formazione che conduco da anni mi è capitato di sentire o di cogliere da certi commenti che i giochi collaborativi sono i migliori, sono i “più buoni”, ma non è così. Come in tutte le cose sicuramente vi sono giochi collaborativi eccezionali e anche giochi competitivi bellissimi e “indispensabili” da avere.
Questa categoria di giochi spazia da giochi adatti ai bambini e alle bambine della scuola dell’infanzia fino a giochi per giovani e adulti, e quindi si possono trovare strumenti per tutte le classi.
“IL FRUTTETO”
Della ditta tedesca Haba è una sorta di capostipite che ha qualche anno fa festeggiato i suoi trent’anni di vita. È un gioco dai 3 anni in su, molto coinvolgente. Qui trovate un’illuminante recensione di Silvia, 4 anni, della durata di 17 secondi.
Si gioca lanciando un dato che ci dirà quale frutto raccogliere dagli alberi del frutteto (Pera=Giallo, Mela=Verde, Prugna=Blu, Ciliege=Rosso). Ma il Corvo è in agguato e, ogni volta che sul dado uscirà la figura del Corvo, comincerà a comporsi in un puzzle di 9 pezzi posizionato al centro della scena.
Se riusciamo a raccogliere tutta la frutta prima che il Corvo sia completato abbiamo vinto, altrimenti avrà vinto lui facendosi una bella scorpacciata.
Come si vede nessun bambino interpreta il Corvo: il Corvo è il gioco ed è contro di lui che dobbiamo collaborare. Una volta capito il meccanismo i bambini e le bambine possono sviluppare piccole strategie. Infatti la sesta faccia del dado rappresenta un cestino con il quale raccogliere due frutti invece di uno solo. Bisogna decidere insieme quali frutti raccogliere. In modo da evitare che un albero rimanga troppo presto vuoto e che i successivi lanci di quel colore siano inutili.
“POTOMAC
Un gioco recentissimo della ditta francese Djeco che presenta ai piccoli giocatori (dai 6 anni in su) il “problema” di traghettare 6 simpatici animali dal pascolo al bosco. Passando sul fiume con l’aiuto di una zattera e stando attenti al lupo che imperversa sulla sponda opposta.
Più complesso del gioco precedente e meno dipendente dalla fortuna del dado. Potomac invita i bambini e le bambine a trovare le strategie migliori per non lasciare indietro nessuno. Qui sicuramente si parla e di decide di più. Si cerca il modo migliore per evitare che il lupo “divori” un animaletto o che perdiamo giù dalla cascata entrambe le zattere che abbiamo a disposizione, nel qual caso abbiamo perso.
“INSOLITI SOSPETTI”
Questo è un gioco collaborativo, pluripremiato, inventato da un autore parmigiano Paolo Mori che inserisce, nel meccanismo tipico del gioco conosciutissimo “INDOVINA CHI?”, un elemento di soggettività.
Facendo leva su pregiudizi, in realtà ha il pregio innegabile, essendo un gioco in cui si parla molto, di smontarli e di evidenziarli. Una persona a turno è il testimone, colui che ha visto compiersi un delitto (di qualunque tipo, non è importante) e sa chi lo ha commesso.
Vi sono dodici sospettati, su altrettante carte che riproducono unicamente il volto fino al mezzobusto, sistemati in una griglia di 4 x 3, all’interno dei quali c’è anche il colpevole. L’indagine si svolgerà su domande comuni che vengono poste dagli altri giocatori al testimone, il quale risponderà secondo il suo modo di pensare/vedere/interpretare i sospettati in gioco. “Ha fatto gli scout?”, “ È appassionato/a di fumetti?”, “Vive da solo/a?”, “Possiede una macchina sportiva?”, “Parla a voce alta?”, sono alcuni esempi delle domande alle quali il testimone dovrà rispondere SI oppure NO senza aggiungere nient’altro e posizionando la domanda nelle colonne apposite.
Come si vede la risposta del testimone è del tutto soggettiva e basata esclusivamente sull’osservazione di una faccia e di qualche elemento accessorio (cappello, vestiario, orecchini, segni del volto). Scatta quindi la discussione fra gli altri che dovranno di volta in volta eliminare i sospettati, sperando di ragionare come il testimone che a sua volta deve indirizzare i giocatori verso il colpevole, poiché anche lui vince se questo viene individuato.
Molto interessante in questo gioco è osservare le dinamiche e le discussioni che sorgono: perché un personaggio che indossa un velo dovrebbe essere per forza religioso? Perché un uomo con un tatuaggio sicuramente non vive con i suoi? Perché una vecchia signora dall’aria un po’ dimessa dovrebbe usare necessariamente i mezzi pubblici? Parlare di pregiudizi e preconcetti aiuta a superarli. È un gioco che ho provato su tutte le età anche con bambini e bambine piccoli (5 anni) e ogni volta riserva sorprese e divertimento, soprattutto mettendo insieme adulti e ragazzi. In teoria può coinvolgere un numero illimitato di giocatori, se ad esempio la griglia dei sospettati viene proiettata su una LIM.
“JUST ONE”
Chiudo con l’ultimo arrivato, fresco vincitore del prestigioso premio Spiel des Jahres, premio di cui vi ho già parlato, edito da Asmodee Italia, che può coinvolgere fino a 7 giocatori. In questo gioco, a turno, dobbiamo indovinare una parola che gli altri giocatori sanno e che viene scelta ogni volta fra una lista di 5 parole.
Tutti i giocatori, tranne quello che è di turno, scrivono su un simpatico “cavaliere segnaposto” di plastica con un pennarello cancellabile, una e una sola “parola indizio”, senza mostrarla agli altri, per far indovinare la parola segreta. Ad esempio se la parola segreta è PITTORE, sul mio “cavaliere” posso scrivere PENNELLO oppure QUADRO oppure MONET etc. Il problema è però che nessuna parola indizio può essere uguale alla parola indizio che dà un altra persona e qui sta il segreto e la genialità del gioco. Prima di far vedere le parole al giocatore di turno infatti gli altri giocatori confrontano le parole indizio ed eliminano quelle identiche. Al giocatore di turno non resta che provare ad indovinare con gli indizi che restano.
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Idee da Essen: uno sguardo alla fiera del gioco da tavolo più importante del mondo
Spiel, a Essen, è la fiera del gioco da tavolo più importante al mondo: punto di riferimento fondamentale per operatori del settore e appassionati.
Essen è una città della regione Ruhr, Germania, nota per essere la città della Krupp, una delle industrie siderurgiche più note e longeve. Nonostante sia al centro di un polo industriale importantissimo, questo non le ha impedito di fregiarsi del titolo di Premio Capitale verde europea nel 2017. Per me Essen significa soprattutto Spiel Internationale Spieltage: la fiera del gioco da tavolo più importante al mondo.
La fiera, aperta al pubblico e non solo agli operatori di settore, è una commistione di esperti, editori, designer, appassionati, nerd. Colpisce vedere intere famiglie che la frequentano, con l’unico straordinario e semplice scopo di condividere esperienze di gioco da tavolo. È una kermesse caotica, ricca di colori e rumori, di acquisti compulsivi e risate, e soprattutto di tante tante idee. Da quindici anni nel mese di ottobre mi organizzo con i miei più cari amici e partecipo. Ogni volta c’è sempre qualcosa di diverso, oltre ad esserci sempre qualcosa di molto familiare.
In questo articolo vi parlerò di alcuni dei giochi che ho provato e che potrebbero entrare di diritto nella nostra ludoteca di classe.
Dekalko
Partiamo con Dekalko, un simpatico party game nel quale dovremo rapidamente tracciare su un acetato trasparente i contorni di un’immagine/fotografia.
Successivamente saremo chiamati ad indovinare quali soggetti i nostri compagni di gioco hanno cercato di disegnare. Sembra semplicissimo, ma alla fine non lo è! Il gioco è molto stimolante perché obbliga a evidenziare in poco tempo degli elementi principali nell’immagine, che potrebbero essere cruciali per l’individuazione successiva. D’altro canto è un gioco in cui l’abilità nel disegno passa in secondo piano, è veramente alla portata di tutti. Consigliato anche a partire dalla prima classe della primaria. Il gioco arriverà in Italia nel 2020 grazie alla casa editrice ManCalamaro.
WordBank
Un altro bel gioco, in cui sono protagoniste lettere e parole, e che bene potrebbe essere utilizzato anche nello studio/gioco delle lingue straniere, è WordBank. Il gioco già disponibile grazie alla distribuzione della casa editrice Oliphante.
In WordBank sarà nostro compito trovare delle password per liberarsi di alcune ingombranti gemme che dovremo mettere in 7 casseforti, ognuna contraddistinta da una lettera. Più lettere riusciamo ad inserire nelle nostre password, più casseforti riempiamo e più gemme saremo in grado di scartare.
Le casseforti sono disposte in cerchio: questo ci obbliga a scegliere da quale lettera far partire la nostra password, decidendo se andare in senso orario o antiorario. Anche qui, come nei giochi presentati la scorsa volta, lessico e vocabolario la fanno da padrone. Infatti se si utilizza questo gioco con una lingua straniera diventa sicuramente importante conoscere lo spelling delle parole.
Obscurio
Concludo il mio excursus con Obscurio: un gioco collaborativo, interessante e piuttosto articolato (durata 30- 45 minuti), che riprende alcune modalità di gioco e dinamiche di Dixit.
Uno di noi è il Grimorio e deve guidare tutti gli altri verso l’uscita da una strana biblioteca, dando degli indizi sulla porta giusta da oltrepassare. I Maghi (il resto della squadra) cooperano per interpretare le carte indizio date dal Grimorio. Ma c’è un Traditore tra i loro ranghi, che deve cercare, senza farsi scoprire di rallentare e poi impedire l’uscita agli altri. Individuare elementi importanti nelle carte, osservare bene, collaborare, intuire: si tratta di un vero e proprio lavoro di squadra.
Obscurio è indicato per le ludoteche di classe della scuola secondaria di primo e secondo grado, è già in distribuzione da Asmodee Italia.
Quello che mi porto dietro di questa fiera è l’aver toccato, con le mani e con il cuore, l’idea che il gioco non è solo un passatempo. Il gioco è cultura.
La serietà con cui i bambini e le bambine affrontano un gioco che è ricco di regole ma anche di idee, è visibile anche a un osservatore disattento!Il gioco “mette in gioco” la parte migliore di noi: ci mette in relazione positiva con chi condivide con noi questa esperienza. E il gioco da tavolo lo fa con una naturalezza invidiabile.
Un salto a visitare SPIEL, a Essen, nel mese di ottobre, una volta nella vita, dovrebbero farlo tutti! Ve lo auguro con tutto il cuore!
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Concept: dalle icone universali alla parola che hai pensato tu!
Giovanni Lumini ci presenta Concept (ed. Asmodee): un gioco che coinvolge tutta la classe. Perché non usarlo i primi giorni di scuola?
E se il primo giorno di scuola si giocasse? Ho una ludoteca in uno sperduto magazzino con tantissimi giochi. Un giorno mi sono detto: se questi giochi non li gioca nessuno che senso hanno? Ho superato la sindrome del collezionista e anche quella dell’accumulatore seriale. Ho deciso di inviare un “pacco di giochi” da tavolo ad alcune amiche insegnanti della penisola (c’è anche un maestro, ma vince la maggioranza!), attingendo alle riserve ludiche che custodivo con grande cura, quasi con devozione. Ma la devozione faceva morire i giochi: le scatole rischiavano di non essere più aperte da nessuno. Un po’ come alcuni dei libri che giacciono, intristendosi, sulle nostre biblioteche di casa e che forse nessuno risfoglierà mai.
E quindi ho preparato 5 scatole (con 10 giochi ciascuno) che sono arrivate in Sardegna, nelle Marche, in Emilia, in Piemonte. Ho pensato che, se l’idea è quella di far entrare il gioco a scuola, è bene e bello farlo entrare dalla porta principale. Quindi niente laboratori specifici, niente progetti appositi, nessun esperto ad hoc, ma usare il “latore” principale: l’insegnante, appunto. Le insegnanti a cui ho inviato i giochi ho avuto modo di conoscerle grazie al progetto del film Basta Compiti, e la loro sensibilità all’aspetto ludico dell’apprendere mi è apparsa conclamata.
Rita Gallo, maestra e formatrice di Torino, non appena ha ricevuto la scatola ha predisposto la classe per accogliere i giochi e, come potete leggere nel suo blog, ha attuato una metodologia affinché i giochi fossero rispettati, sentiti come propri e cominciassero ad essere i “primi mattoni” per creare una vera e propria “ludoteca di classe”, con la stessa identica dignità di una biblioteca, una ludoteca che appartenga prima di tutto ai ragazzi e alle ragazze.
Il gioco è uno straordinario strumento di apprendimento e i giochi da tavolo rappresentano una risorsa che gli insegnanti possono agilmente usare a scuola, con profitto, soddisfazione dei bambini e delle bambine e divertimento per tutti. È il primo giorno di scuola e la maestra si presenta in classe con … un gioco!
Il gioco è CONCEPT (casa editrice Asmodee): c’è un grande tabellone, attorno al quale ci può stare quasi tutta la classe e su questo tabellone ci sono tantissime “icone”, immagini universali, che rappresentano la possibilità di esprimere tutti i concetti del mondo, senza parlare, ma unicamente posizionando dei segnalini. Tocca a me far indovinare a tutti una parola… partiamo da quelle semplici. Prendo il segnalino “punto interrogativo” verde e lo posiziono sull’immagine che indica “animale”:
tutti i miei compagni e compagne sanno che si dovrà indovinare un animale, per l’appunto! Ma come spiegarglielo, come far capire loro quale animale è? Per far questo ci sono dei cubetti colorati che io comincio a mettere sulle immagini che mi possono aiutare.
Così prendo un cubetto verde e lo colloco sull’immagine dell’aeroplano (significa che è un animale che vola); poi prendo tanti altri cubetti verdi e li posiziono tutti sull’icona che significa “piccolo”. Siccome ne metto tanti, voglio dire che l’animale non è solo piccolo, ma è molto, molto piccolo. Infine per aiutare i miei amici prendo altri due cubetti verdi e li metto uno sul colore giallo e uno sul colore nero. E la classe esplode dicendo, quasi all’unisono, la soluzione! È stato facile, ma sarà altrettanto facile far indovinare: Balestra, John Lennon, Armato fino ai denti, Men in Black?
Sicuramente no, ma a quel punto potete usare quanti “sottoconcetti” volete, rappresentati dai segnalini “punto esclamativo” di altri quattro colori.
Concept, pluripremiato e vincitore del prestigioso premio As d’Or in Francia, ha anche una versione KIDS a partire dai 4 anni, tutta incentrata sugli animali e concettualmente (sic!) più semplice.
E voi che state leggendo, riuscite a risolvere il concetto, un po’ più difficile, qui sotto illustrato?
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