neuroscienza

Piccole deduzioni intorno alla neuroscienza

in Approcci Educativi by

Optare per una didattica dell’incoraggiamento e della solidarietà. Ce lo dice la neuroscienza!

Qualche lustro fa, quando frequentavo la Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS), nel corso di un insegnamento nell’ambito della neuroscienza, il docente ci spiegò che l’attenzione aveva una durata che, di norma, non si estende oltre i tre quarti d’ora.

Anche per questo motivo le lezioni universitarie hanno da tempo istituito il cosiddetto “quarto d’ora accademico” (svelato l’arcano!). Di tale informazione scientifica pare che la scuola non se ne sia fatta nulla, salvo qualche tanto luminoso quanto isolato esempio che occasionalmente si intercetta dalle cronache.

Solo pochi anni fa, frequentando la “Giornata Scientifica” del Polo M.T. Bozzo dell’Università di Genova, il prof. Francesco Benso, già docente di Psicologia Fisiologica, PsicoBiologia e Psicologia dell’Attenzione presso l’Università di Genova, discettava su un particolare tipo di attenzione, quella concentrata, informando l’uditorio del fatto che questa poteva essere sostenuta in media per cinquanta secondi.

Naturalmente portati per la distrazione

La conseguenza è piuttosto evidente: siamo strutturalmente distratti. Se la scuola prendesse atto di questo, interverrebbe in due modi:

  • il primo è quello metacognitivo, giacché la consapevolezza di questo fatto consente a ciascuno di strutturare strategie di rientro nel setting didattico senza colpevolizzazioni o autocommiserazioni, che più che essere inutili sono dannose in quanto minano il senso di autoefficacia.
  • Il secondo è di tipo didattico, nel senso che si favoriranno setting d’aula che consentono maggiore interazione, ad esempio quelli di tipo cooperativo, giacché questo è intrinsecamente motivante e consente di riprendere l’attenzione sul focus del gruppo con maggiore frequenza e naturalezza (anche col contributo dei compagni, ad esempio, nel cooperative learning una figura è “orientata al compito” e a questo riporta il gruppo).
Chiedere il controllo su qualcosa di incontrollabile: un esempio personale

Lo scrivente è un soggetto allergico e, in casi di esposizione ad allergeni primaverili, frequentemente capita di starnutire. La cosa produce enorme fastidio alla consorte che se ne lamenta in continuazione, pur non avendo alcun controllo sul fenomeno. In occasione di una gita domenicale, mi trovavo in auto con detta consorte (lei era alla guida) e mentre ascoltavo canzoni del gruppo preferito della figlia, cercavo di leggere i testi stampati nel cofanetto dell’album.

Ad un certo punto siamo entrati in galleria e le ho detto: “Amore, scusa, puoi uscire dalla galleria? Non riesco a leggere!”. Ci siamo fatti una risata. Sadicamente ho ripetuto il cliché altre volte fino a quando mia moglie mi ha apostrofato: “Non fai più ridere!”. A questo punto le ho fatto notare come la situazione fosse identica a quella degli starnuti.

Le chiedevo di fare qualcosa sulla quale non aveva alcun controllo e la sopportazione in merito a fatti del genere non poteva che evolvere secondo la seguente parabola: divertimento e riso, indifferenza, fastidio. Pur avendole dimostrato le mie ragioni con un’esperienza vissuta, la conseguenza non è stata ahimè affettuosa.

Conclusioni

Ho dedotto dall’episodio una considerazione di tipo didattico.

Mi pare infatti che sia evidente che la didattica razionale sia inefficace per motivi di ordine neuroscientifico. È il nostro cervello, il nostro hardware, ad essere così. L’insegnante ha sempre ragione per infinite buone ragioni, ma questo non basta ad educare, a convincere, a instradare le studentesse e gli studenti entro direzioni consone.

Per questo occorre la massima attenzione alla relazione, ai vissuti, alle emozioni, come ci ha insegnato Daniela Lucangeli. Possiamo insegnare razionalmente in ambito accademico avanzato, ma non entro contesti formativi infantili, adolescenziali e, in tutta sincerità, credo, persino adulti. Per questo, se vogliamo raccogliere migliori risultati professionali, non dobbiamo ridicolizzare gli aspetti affettivi e occorre dirigersi verso una didattica dell’incoraggiamento e della solidarietà. Parola di neuroscienza.

Foto di copertina by DeepMind su Unsplash

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