storia contemporanea

Il Museo di Ustica e quel bisogno di verità.

in Approcci Educativi by

Il Museo di Ustica è un’esperienza toccante che afferma il bisogno di verità su quanto accaduto nello scenario di guerra in tempi di pace, nei cieli italiani del giugno 1980.

Qui abbiamo parlato dell’importanza del visitare i musei per conoscere la (nostra) Storia, a maggior ragione se il lavoro che svogliamo è quello di insegnarla alle giovani generazioni.

E a proposito di musei – in questo caso meno battuti e frequentati – a distanza di 41 anni dall’incidente mi sono trovata a visitare il Museo di Ustica a Bologna, in Via di Saliceto 3/22, negli spazi che prima ospitavano i depositi dell’ATC.

L’ingresso del Museo di Ustica

La strage di Ustica: dopo tutti questi anni, ancora oggi non sappiamo con precisione cosa sia avvenuto in quei cieli, nella notte del 27 giugno 1980.  

O meglio, abbiamo importanti pezzi di verità ed una  sentenza del giudice istruttore Rosario Priore, il quale nel 1999 dichiarò che:

l’incidente al DC9 era occorso a seguito di azione militare di intercettamento.

L’aereo era stato dunque coinvolto in un’ azione militare, nel corso della quale un missile ne aveva causato la caduta: uno scenario di guerra in tempo di pace.

Chi ha realizzato il Museo?

Inaugurato il 27 giugno 2007, il Museo di Ustica è stato realizzato grazie alla determinazione dell’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica.

L’associazione è presieduta da  Daria Bonfietti (sorella di Alberto Bonfietti, una delle vittime), persona straordinaria che non si è davvero mai stancata di lottare per chiedere verità e giustizia.

Dal recupero del relitto al Museo

Dopo il ripescaggio, avvenuto soltanto alcuni anni dopo la strage, il relitto fu trasferito nell’hangar militare di Pratica di Mare, vicino Napoli.

Alla fine del lavoro inquirente, la carcassa dell’aereo sarebbe stata destinata al macero: una fine ingiusta agli occhi di coloro che si battevano per non spegnere i riflettori sulla vicenda.

Così, per mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica, nacque l’idea di metter su un difficile e delicato progetto.

Si decise, infatti, di organizzare un trasporto speciale; obiettivo:

riportare il gigantesco ammasso di rottami a Bologna, luogo da cui era partito senza più fare ritorno.

E lì giace oggi, dove è possibile visitarlo gratuitamente previa prenotazione, ciò che resta del velivolo.

L’installazione di Christian Boltanski

L’installazione all’interno del Museo di Ustica è opera del compianto artista francese Christian Boltanski. Recentemente scomparso, riesce con delicatezza a restituire il senso di opacità di tutta questa triste vicenda.

Oltre alle 81 vittime della notte dell’incidente, infatti, la vicenda si trascina dietro un’infinita catena di sofferenze e di misteri.

Basti pensare che almeno un’altra trentina di vittime, tra persone che avrebbero dovuto testimoniare al processo e altre informate sui fatti, hanno perso la vita in circostanza poco chiare.

Passeggiare intorno al velivolo…

Dentro al Museo di Ustica lo spettatore può camminare attorno al velivolo, percorrendo una pedana con appesi 81 specchi neri (a richiamare l’oscurità della vicenda), tanti quanti il numero delle vittime dell’incidente.

Sopra i resti del DC-9 sono appese anche 81 lampadine, che si illuminano e si affievoliscono senza sosta, a ricordare un respiro, o il battito del cuore.

La luce si affievolisce, ma mai si spegne, simbolo di una richiesta di verità che non perde mai forza, né mai si esaurisce.

Colonna sonora dell’istallazione è un “coro” di voci, trasmesso dagli altoparlanti collocati dietro agli specchi.

Frasi semplici che si sovrappongono, bisbigli che rappresentano lo spirito delle persone presenti sull’aereo.

Completa l’opera la presenza di nove enormi casse: ricoperte da teloni neri, contengono gli effetti personali delle vittime.

Scarpe, pinne, boccagli, occhiali, vestiti: per evitare il macabro effetto voyeuristico, Boltanski ha deciso di sottrarre alla vista tali oggetti.

La sala video

All’interno di una piccola sala video si può assistere alla proiezione di filmati e testimonianze riportate da agenzie giornalistiche e telegiornali.

Per prenotare la visita al Museo di Ustica, clicca qui.

Programmi di carattere storico: perché piacciono?

in Arte, Musica e Spettacolo/Storia e Filosofia by
Alessandro Barbero ma non solo: il boom della divulgazione dei programmi di carattere storico

Grazie anche alla presenza di una rete specialistica come Rai Storia, la divulgazione dei programmi di carattere storico sembra avere avuto negli ultimi anni un riscontro sempre maggiore, portando alla ribalta mediatica alcuni presentatori, primo fra tutti lo storico del Medioevo Alessandro Barbero, assurto a  vera e propria icona pop.

Sul web il suo nome è tra i più gettonati, e per dare un’idea del livello di popolarità raggiunto dal medievista, basterà citare la pagina Facebook a lui dedicata: Alessandro Barbero noi ti siamo vassalli. Titolo simpatico, e assai eloquente! Per chi non conoscesse ancora l’illustre storico, ecco una proposta di libri da lui scritti.

Occorre in primo luogo rendere merito a tali programmi di carattere storico, capaci – anche e soprattutto attraverso l’ausilio delle immagini e dei filmati – di restituire agli eventi e ai periodi storici quella concretezza e quella realtà che tanto spesso sfuggono a chi si avvicina alla Storia, finendo poi per allontanarsi e non appassionarsi; questo, proprio a causa di quel limite di astrazione che caratterizza i testi e le spiegazioni degli stessi insegnanti nelle aule di scuola: parole, solo parole, dietro le quali non è sempre facile intravedere la realtà di uomini e tempi lontani ed immedesimarsi in essi.

Le immagini, dunque, ma non solo: conta, eccome, anche la capacità di appassionare che viene trasmessa da molti dei nostri divulgatori, ognuno dei quali si caratterizza peraltro per un proprio stile.

Da quello più enfatico di Barbero (enfasi che non dispiace, visto che nasconde a fatica la passione per la Storia!), a quello più cattedratico del nostro storico forse più famoso, Franco Cardini (ma anche il suo è un cattedratico positivo, sempre arricchito da un approccio umano e coinvolgente, mai pedante o professorale), a quello affabile e colloquiale – al tempo stesso avvincente – di Cristoforo Gorno, che con le sue Cronache dal Rinascimento  riesce a far toccare con mano il fascino e la meraviglia di quel periodo storico così ricco e misterioso.

Interesse per la divulgazione storica, e di questo non si può che essere soddisfatti: ma quali ne sono le cause?

Una, forse, risiede in quel certo livello di coinvolgimento che appare intrinseco alla Storia, specie quella contemporanea, nella passione (anche politica) che la riflessione sugli eventi più recenti porta spesso con sé (si pensi al tema del Fascismo o delle guerre mondiali), suscitando dibattiti e contrapposizioni talvolta anche molto accesi e non solo tra specialisti o appassionati: quante volte tra amici si è discusso non solo di sport ma anche di Storia, e spesso dividendoci anche di più rispetto al calcio? Quante volte, per citare un esempio non facile, si è ascoltata la lamentela di persone del Sud contro il Nord conquistatore, che avrebbe asservito ai propri interessi politici ed economici il Meridione d’Italia, fino a determinarne l’attuale, gravosa condizione? E quante altre si è dovuto ribattere al famoso ”Si stava meglio quando si stava peggio” di nostalgica memoria?

La Storia scalda, provoca discussioni e quindi interesse e forse questo accade perché – nonostante l’odierno appiattimento su un presente atemporale votato solo alle leggi della produzione e del consumo – affiora  più o meno consapevolmente la percezione che il passato sia un ponte col presente, un passato che va dunque indagato e chiarito per avere ragione dell’oggi: a questa esigenza i nostri programmi sembrano rispondere in maniera efficace, e con ampio merito risultano seguiti, tanto da far scaturire reazioni veementi di fronte all’ipotesi di chiusura del canale tematico per eccellenza, Rai Storia appunto, ventilata mesi or sono.

I dubbi e le ombre, quelli non mancano mai: un primo interrogativo riguarda quell’eccesso di spettacolarizzazione che talvolta si avverte e che rischia di far perdere la dimensione umana alla rappresentazione degli eventi e delle persone, a volte un po’ troppo somiglianti ad un grande film hollywoodiano, ad una narrazione che trascura il dolore e la fatica degli uomini di cui spesso le vicende storiche sono intrise e che talvolta la sua riproduzione mediatica rischia di opacizzare.

Un’altra domanda, forse più provocatoria, riguarda la onniscienza che alcuni divulgatori sembrano sottintendere, un dubbio che viene allorquando notiamo lo stesso storico presentare un giorno una puntata su Giovanna d’Arco e un altro una ricostruzione della battaglia di Stalingrado: si può essere così specialisti di tutto? Forse no, ma resta solo una domanda all’interno di un quadro nel quale le luci, per una volta, hanno la meglio sulle ombre.

Storia contemporanea, la grande assente (in)giustificata?

in STEM ed Esperienze digitali by
muro di berlino storia contemporanea
Una riflessione sull’insegnamento della Storia contemporanea, a scuola, di Valerio Camporesi, insegnante: le tecniche, i metodi, gli strumenti, ma soprattutto la passione. Perché se un insegnante è appassionato alla Storia, molto probabilmente, lo saranno anche i suoi alunni; la tecnica, come sempre, viene dopo, molto dopo.

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