Tredici

Gli adolescenti hanno paura, anche di vivere, e la comunità educante dove sta?

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Una riflessione della professoressa Cinzia Sorvillo su paure e disagi degli adolescenti, tra fatti di cronaca, serie tv e pericolose sfide online

In questi giorni di fine anno scolastico, quando i docenti sono affastellati da scartoffie che parlano una lingua asettica e lontana dal reale, quando gli adempimenti finali, le medie e le virgole sembrano essere le uniche parole che echeggiano nelle sale professori, accade che in Olanda una ragazza di 17 anni abbia scelto di non vivere più. Noa e il suo lasciarsi andare ad Ade, dopo il rifiuto dello Stato a concederle l’eutanasia, dovrebbe generare in noi adulti (soprattutto in quelli che come me hanno a che fare ogni giorno con gli adolescenti) un turbamento immenso che però non dovrebbe arenarsi nello sconforto, ma tradursi in seria volontà di azione.

In un articolo uscito su Repubblica qualche giorno fa, quando ancora in Italia si parlava di eutanasia, il professor M. Recalcati ha posto una domanda a se stesso e a tutti noi: “Non è forse compito degli adulti contrastare in ogni modo – anche attraverso le Leggi – la spinta alla morte, sia essa quella della violenza sia essa quella dell’autodistruzione? Non è forse loro compito quello di testimoniare l’esistenza dello splendore del mondo nel pieno dell’atrocità del mondo?”.

Ovviamente a una domanda del genere tutti noi dovremmo rispondere ‘sì’, che noi adulti abbiamo il dovere di mostrare che anche dall’atrocità della vita può nascere quella ‘ginestra’ capace di portare bellezza dove la lava sterminatrice porta solo morte e deserto (Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi/I danni altrui commiserando, al cielo/Di dolcissimo odor mandi un profumo,/ Che il deserto consola. Leopardi, La ginestra)

E allora penso che qualche anno fa una serie tv andata in onda su Netflix, 13 Reasons Why, portava sullo schermo le tredici ragioni per cui Hannah Baker, un’adolescente americana, sceglieva di affidare alla morte, la fine del suo dolore. Quell’anno insegnavo in una terza media strepitosa, e molti ragazzi cominciarono a chiedermi se avessi visto la serie. ‘Prof l’ultima puntata è da brivido’, mi dicevano. Non conoscevo la serie e non sapevo che fosse la traduzione filmica di un libro di Jay Ahsher, Tredici, edito da Mondadori.

Poi accadde che durante le stesse settimane in cui giovani e meno giovani si lasciavano irretire da questa serie tv, sempre questi miei alunni mi chiesero cosa ne pensassi del fenomeno (montato ad arte ma con ripercussioni nella quotidianità) della Blue Whale. E una mia alunna mi disse anche: ‘Prof ho paura’.

Gli adolescenti hanno paura: paura di sbagliare, paura di essere giudicati, paura dei compagni, paura di non farcela… paura di vivere!

La protagonista di Tredici sceglieva di morire perché annientata dalla violenza della vita (anche una violenza fisica), Noa è stata ammazzata dalla violenza subita e dalla depressione, qualche settimana fa una ragazza malese di 17 anni ha affidato a un sondaggio su Instagram la sua scelta di morire, e la violenza del pollice verso, come quello delle arene romane, ha decretato la sua fine.

Anche la stessa Noa aveva postato su Instagram la sua scelta di lasciarsi andare alla morte, mentre la protagonista di Tredici, affidava a delle musicassette, tutte da ascoltare post mortem, le tredici ragioni che l’avevano portata a farla finita.

È assordante la nostra assenza in tutti questi casi. Noi adulti non ci siamo mai.

Le morti si annunciano in rete o si esibiscono quando tutto è finito e noi adulti assistiamo impotenti a questi spettacoli di autodistruzione. I genitori di Hannah amavano la figlia ma erano all’oscuro di tutto e niente hanno potuto, i genitori di Noa hanno assistito inermi alla fine della loro bellissima figlia, il loro amore non è bastato. Io sono madre e insegnante, ho vissuto anche io l’adolescenza e conosco anche il senso di molti dei disturbi o disagi che abitano le vite di molti adolescenti. Anche io in molti momenti ho pensato di non farcela, anzi di non desiderare più di farcela, eppure sono ancora qui, a desiderare ancora e a vivere ancora.

Se Hannah dedicava tredici ragioni alla sua scelta di morire, io vorrei trovare in quella storia, che secondo me va letta a scuola e con l’insegnante, tredici ragioni per scegliere di vivere, anche quando la vita diventa atroce e il deserto emotivo sembra chiudere ogni possibilità. Vorrei testimoniare a tutte le Hannah del mondo che la violenza è solo ‘una’ faccia dell’Altro, ci sono anche tanti Altri che conoscono l’amore e il rispetto.

Vorrei testimoniare a tutte le Noa del mondo che se 17 anni sono stati orribili, ci possono essere altri 17 anni bellissimi, ma se muori, sei morto, non esisti più, non potrai più conoscere, sapere, guardare, odorare, ridere, piangere e rinascere.

Vorrei dire a tutte le Hannah del mondo che morire non significa porre fine al dolore ma porre fine alla vita che è anche altro dal dolore e che nessuna cassetta ti consentirà di riscattare quella violenza che hai pensato di vendicare con le audiocassette.

Noa, vorrei dirti che esiste anche la possibilità del desiderio, che la battaglia che avevi cominciato per riformare il sistema sanitario olandese affinché non si muoia di dolore psichicio, poteva continuare anche grazie a te, vorrei dirti che potevi continuare a lottare e a militare per aiutare tutte le Noa del mondo.

Vorrei dire a tutte le ragazze come Hannan e come Noa che esiste anche l’amore, non solo lo strupro e che se muori non potrai mai conoscerlo.

Vorrei dire a tutti gli adolescenti che ognuno di noi può trovare almeno una ragione per vivere, perché solo se vivi puoi anche morire simbolicamente e rinascere realmente. Solo se vivi puoi attraversare la morte senza morire.


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