Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna

Report USR Emilia Romagna: diagnosi DSA in aumento

in Bisogni Educativi Speciali by
Le riflessioni di Adele Baldi, tutor dell’apprendimento, che analizza i dati dell’ultimo recentissimo report dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna.

Ogni due anni, l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna, indaga in merito alle segnalazioni dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (da qui in poi, DSA). Nell’ultimo biennio, per ciò che riguarda l’Emilia Romagna, si è registrato un incremento delle diagnosi, definito impetuoso dalla relazione regionale, in modo particolare nella città di Modena e con percentuali di crescita molto diverse da città e città. Le segnalazioni diagnostiche sono state rilasciate prevalentemente dal servizio pubblico (77,9%) e il rimanente dal servizio privato. I ragazzi risultati con un DSA, sono principalmente maschi e italiani.

Ormai sono trascorsi 10 anni dall’approvazione della legge 170 e un aumento esponenziale di relazioni diagnostiche, che va ben al là dell’aspetto clinico, necessita di un approfondimento culturale e sociologico urgente. La relazione regionale è, a mio parere, particolarmente interessante e riflette la reale situazione da me percepita nella pratica quotidiana del mio lavoro. Sono Tutor dell’apprendimento e responsabile di un polo educativo e doposcuola specializzato nell’ambito dei Dsa in provincia di Modena.

Ho estrapolato e commentato alcune parti della relazione, ma suggerisco la
lettura del testo integrale. Non mi soffermo però sull’analisi dell’aumento delle diagnosi, in quanto ritengo che non vengano forniti i dati necessari per una valutazione approfondita, ma su altri aspetti che ritengo cruciali e, per certi aspetti, nuovi

Mi limito a riferire le opinioni di Paolo Stagi, direttore del servizio Ddi neuropsichiatria infantile dell’Ausl di Modena rilasciate in intervista a Tvqui.it Modena, e di un’intervista di una professionista modenese, la dottoressa Riccò, rilasciata alla Gazzetta di Modena.
Entrambi affermano che l’aumento delle diagnosi è dovuto all’attenzione
virtuosa
verso questa difficoltà e all’aver attivato percorsi di screening migliori rispetto ad altre città. Mi sembra un’analisi che richieda una riflessione più approfondita.

La relazione regionale afferma che: “L’impressione che si ha, osservando il fenomeno dal punto di vista della scuola, è che seppure in misura probabilmente minoritaria, venga definito come disturbo anche l’aumento delle difficoltà di apprendimento conseguenti a “sofferenza”, disagio, realtà sociali e vissuti depauperati”.

La sofferenza sociale, a tutti livelli, si riflette chiaramente sull’apprendimento. Un discente di qualsiasi età, necessita di serenità e stimoli per apprendere in modo efficace. In realtà il disagio fa da padrone in ogni ambito e impedisce che il percorso scolastico si svolga in modo virtuoso. Inoltre la professoressa Daniela Lucangeli afferma che, per ciò che riguarda le discalculie, ma che possiamo tranquillamente estendere a tutti i DSA, “…più del 90% della popolazione inizia un percorso di apprendimento con un profilo conforme a un DSA”. È quindi non solo necessario ma anche previsto dalla Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento allegate al decreto ministeriale 12 luglio 2011, potenziare gli aspetti di fragilità del discente.

Le linee guida affermano: “Quando un docente osserva tali caratteristiche nelle prestazioni scolastiche di un alunno, predispone specifiche attività di recupero e potenziamento. Se, anche a seguito di tali interventi, l’atipia permane, sarà necessario comunicare alla famiglia quanto riscontrato, consigliandola di ricorrere ad uno specialista per accertare la presenza o meno di un disturbo specifico di apprendimento”. È soltanto dopo un’attenta e diretta osservazione dello studente e verificata la resistenza al potenziamento, che si deve attivare il percorso diagnostico. Il potenziamento non viene, per innumerevoli ragioni, quasi mai attivato e questo porta alle problematiche emerse nella relazione dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna.

La relazione regionale continua riferendo di un’altra situazione che trovo particolarmente drammatica per le conseguenze e le ricadute nella vita dei
nostri ragazzi: “Una situazione simile si verifica per la disabilità: oggi vengono considerati “disabili” ragazzi che anni fa, con ogni probabilità, non sarebbero stati considerati tali. Questo Ufficio ha effettuato un’equivalente riflessione per l’aumento, anch’esso rilevante, delle certificazioni di disabilità in età evolutiva, cui si rimanda: nota 8 febbraio 2017, prot. n. 2217: Alunni certificati Legge 104/92 art.3 nelle scuole dell’Emilia Romagna. Quindici anni di dati”. Questa considerazione, che si lega per ciò che riguarda le cause, alla precedente, è purtroppo reale. I certificati che riconoscono la 104 agli scolari, redatti dalle Neuropsichiatrie infantili, che arrivano nel nostro Polo Educativo, sono in aumento. Essi sono prevalentemente legati a disturbi del linguaggio e iperattività. Le ragioni anche qui sono molteplici

Per prima cosa ritengo che molti bambini subiscano un grande impoverimento culturale e relazionale. Cito a riguardo un post della professoressa Anna Ferraris Oliverio che afferma che: “…molti ragazzi crescono oggi in contesti che non sono formativi. Da un lato un uso sconsiderato delle tecnologie che favorisce la superficialità e scoraggia l’approfondimento. Dall’altro genitori che danno scarsa importanza alla formazione culturale dei figli. Non considerano che parte del capitale culturale lo si acquisisce per “osmosi” in famiglia e nel proprio ambiente di vita: in maniera informale nei dialoghi, nelle discussioni, nelle letture di libri e giornali, nella visione di film di qualità, nei viaggi, nelle visite ai musei ecc. non certo esponendo i figli fin da piccolissimi ai programmi trash della tv o dando loro dei giochini ripetitivi per tenerli tranquilli.”.

È necessario che la famiglia si riappropri del proprio ruolo educativo-culturale che è assolutamente propedeutico al percorso scolastico. Inoltre ciò che preoccupa maggiormente le famiglie che mi contattano per un aiuto, è l’autonomia scolastica dello studente. L’autonomia scolastica è impensabile senza un’autonomia personale e in mancanza di essa il mio intervento come Tutor dell’apprendimento, è assolutamente inutile.
L’altra difficoltà che emerge è la velocità, soprattutto alla scuola primaria, con cui vengono affrontati i vari argomenti. Non viene dato il tempo di sedimentare i concetti e di automatizzare, per esempio, i giusti movimenti nella scrittura, o di avere il tempo necessario perché le tabelline siano automatizzate. È più facile dispensare o semplificare piuttosto che potenziare. Dispensare o semplificare eccessivamente, significa bloccare l’apprendimento anche e soprattutto in presenza di Dsa

Un’altra criticità riguarda l’eccessiva astrazione con cui sono presentati gli
argomenti. Occorre tenere in considerazione le tappe evolutive dei discenti e per questo rimando alle teorie di Piaget.
La relazione regionale prosegue e conclude questo argomento affermando
come sia essenziale non confondere i Dsa con altri bisogni educativi.
“…confondere disagi, difficoltà diverse, con diagnosi di Disturbi Specifici di Apprendimento – è elemento foriero di incertezza per la famiglia e la scuola. Entrambe, infatti, hanno necessità di conoscere con esattezza la presenza – o meno – di una disabilità, o di un disturbo o di una patologia, documentabili solo con diagnosi cliniche adeguatamente formulate”.

L’ultimo argomento, che mi sta particolarmente a cuore e prende tanta parte del mio lavoro, è la relazione, spesso estremamente conflittuale, tra le
famiglie e la scuola
. La relazione afferma che: “Non è pensabile che ogni differenza di vedute, ogni presunta o pur reale inadeguatezza umana – di docenti, personale della scuola o genitori – comporti, sempre e comunque, l’attivazione di meccanismi “esplosivi” delle relazioni umane”. E prosegue: “L’invito dunque, nel primario interesse dei minori studenti, è di individuare sempre, finché possibile, le strade più opportune, anche se faticose, per realizzare il necessario dialogo fra scuola e famiglia. Un dialogo ancor più essenziale nel percorso scolastico dei nostri studenti con Dsa”.

La questione dei rapporti tra scuola e famiglia è centrale. Dobbiamo ritornare al patto originario che prevede semplicemente la delega da parte della famiglia alla scuola di competenze che la famiglia non ha. Questo patto si basa sulla fiducia reciproca, sul rispetto dei ruoli e delle diverse aree d’intervento educative e soprattutto sul dialogo costante.
È soltanto attraverso la relazione virtuosa tra tutti i soggetti coinvolti nell’educazione dei nostri ragazzi, che porremo davvero al centro il loro benessere.

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