Una riflessione sui compiti di Gianluca Campana, psicologo, psicoterapeuta e professore di Psicologia Generale all’Università di Studi di Padova.
I dati OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) rivelano come il carico di compiti a casa degli studenti italiani sia tra i più elevati al mondo, in Europa siamo secondi solo alla Russia. Questo a fronte di abilità di lettura, abilità matematiche e conoscenze di scienze naturali piuttosto modeste (sotto alla media dei paesi OSCE), di un analfabetismo funzionale dilagante e di una percentuale di laureati tra le più basse al mondo.
È evidente come l’efficacia dell’apprendimento scolastico abbia una intrinseca natura multicomponenziale. Un aspetto certamente fondamentale è il budget assegnato dallo Stato Italiano a cultura e istruzione: siamo tra i paesi che investe la più bassa percentuale di spesa pubblica in queste due voci. Questo però non ci esime dal domandarci quale sia il ruolo dei compiti a casa sull’apprendimento. Se prendiamo in considerazione il tempo medio passato a svolgere i compiti a casa e le prestazioni degli studenti dei diversi paesi del mondo, si osserva una correlazione negativa tra queste due variabili. Ovvero, a parte qualche eccezione, nei paesi in cui vengono assegnati più compiti gli studenti tendono ad imparare meno.
nei paesi in cui vengono assegnati più compiti gli studenti tendono ad imparare meno
Come si spiega questo paradosso? Si può ipotizzare che un carico troppo elevato di compiti a casa incida negativamente sulla motivazione a causa di saturazione e affaticamento fisico, cognitivo ed emotivo. Gli stessi dati OCSE mostrano inoltre come maggiori quantità di compiti assegnati a casa portino ad un incremento delle differenze tra studenti con alto e basso status socio-economico. Favorirebbero dunque gli studenti con elevato status socio-economico a scapito di quelli più disagiati. È possibile che questo sia dovuto al fatto che gli adulti con più elevato status socio economico siano maggiormente in grado di seguire i figli.
Se uno degli scopi della scuola pubblica è quello di promuovere le pari opportunità, qualunque elemento che porti ad ampliamenti di differenze dovuti a disparità socio-economiche dovrebbe essere il più possibile evitato.
Al di là di queste considerazioni, esiste una vasta letteratura scientifica che ha indagato l’efficacia dei compiti a casa sull’apprendimento scolastico. Dai dati emersi (si vedano ad esempio i risultati degli studi della Duke University, Carolina del Nord, di Cooper (1989) e Cooper e colleghi (2006)) si evince come l’effetto dei compiti a casa non sia univoco, ma dipenda dal grado di scuola.
Non vi è alcuna prova che i compiti a casa di qualunque entità e quantità migliorino le prestazioni scolastiche degli studenti delle scuole elementari.
Harris Cooper
Se alla scuola primaria non si trova alcun vantaggio, alla scuola secondaria di primo grado si trova una lieve correlazione positiva. I compiti a casa, in questo caso, sembrano avere un effetto positivo sull’apprendimento, ma solo sino ad un’ora, un’ora e mezza al giorno, dopodiché diventano controproducenti. Per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado la correlazione diventa ancora più forte e aumenta la quantità ottimale di compiti a casa. Gli studenti in questo caso migliorano le loro prestazioni sino ad un massimo di due ore/due ore e mezza al giorno; se l’impegno diventa più gravoso, anche in questo caso le prestazioni tendono a diminuire. Ovviamente questi tempi valgono per gli studenti delle scuole a tempo corto. Per il tempo pieno è evidente come i compiti dovrebbero essere svolti interamente in classe.
Questi dati impongono una profonda riflessione sul senso dei compiti a casa e su contesto e modalità di somministrazione. Come accade per qualunque strumento, possono portare a benefici solo se utilizzati nelle modalità e quantità appropriate. Nello specifico, si auspica una abolizione (o quanto meno un forte ridimensionamento) dei compiti a casa nella scuola primaria e in tutte le scuole a tempo pieno, e una graduale introduzione degli stessi nella scuola secondaria di primo grado a tempo corto, privilegiando in ogni caso lo studio e gli esercizi in classe e senza mai superare le 5/7 ore settimanali (per la secondaria di primo grado) o le 10/12 ore settimanali (per la secondaria di secondo grado).