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C’è un futuro per la scrittura manuale?

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Report dal convegno “Scrivere a mano nel Terzo Millennio. Ricerche, analisi e prospettive di intervento” che ha visto la partecipazione di oltre 400 insegnanti, tutor dell’apprendimento, formatori, rieducatori della scrittura, esperti e genitori

Si è svolto sabato 16 marzo 2019, in una meravigliosa cornice, il settecentesco Teatro Masini di Faenza, il 3° Convegno Nazionale organizzato da (AID) Associazione Italiana Disgrafie e dall’Associazione onlus GraficaMente e riconosciuto dal MIUR “Scrivere a mano nel terzo millennio. Ricerche, analisi e prospettive di intervento”. Una partecipazione numerosa e calorosa, più di 400 persone tra insegnanti, soprattutto, tutor  dell’apprendimento, formatori, rieducatori della scrittura ed esperti ma anche genitori, che hanno accettato la sfida di incontrarsi per parlare di un argomento dibattuto, attuale, controverso: che significato e che importanza ha in una epoca dominata dalla tecnologia e dal digitale scrivere a mano e insegnare alle nuove generazioni questa pratica?

Sono state otto ore intense, di qualità, grazie all’alto livello e all’entusiasmo dei relatori, ai risultati delle ricerche che sono stati presentati, cariche anche di momenti emozionanti, coinvolgenti che hanno lasciato tracce, spunti di riflessioni mai banali, dato moniti, nutrito speranze per il futuro dei nostri ragazzi e alimentato nei partecipanti la sensazione di lavorare insieme a un obiettivo comune.

spitzer solitudine digitale convegnoOspite d’onore, presente tramite un video registrato nel suo studio lo psichiatra tedesco Manfred Spitzer, direttore della clinica psichiatrica e del centro per l’apprendimento dell’Università di Ulm, noto al pubblico per i suoi saggi (Demenza digitale e Solitudine digitale) in cui disserta, portando evidenze scientifiche, sulle nefaste conseguenze dell’abuso del digitale, la cui dipendenza è stata recentemente riconosciuta come patologia vera e propria dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, paragonabile alla dipendenza da droghe o alcool dal punto di vista dei danni neurobiologici che comporta.

Entrando nel dettaglio dell’argomento del convegno, egli afferma che esistono molte buone ragioni per non abbandonare l’insegnamento e l’utilizzo della scrittura manuale nelle scuole: scrivere a mano fissa le informazioni nella mente, aiuta a memorizzarle, comporta una attività cognitiva di selezione e rielaborazione personale delle informazioni. È indubbio che la tecnologia ha dei vantaggi e noi tutti oggi non riusciamo più a farne a meno, ma l’utilizzo che oggi si fa dei digital media è eccessivo soprattutto nei ragazzi. Il dottor Spitzer auspica una limitazione all’uso in età precoce e termina affermando: “A mio parere non bisognerebbe permetterne l’uso fino ai 14-16 anni”.

Ci si è interrogati grazie al delicato intervento di una pediatra, Claudia Muratori, sulle reali necessità dei bambini portandoci le sue competenze a sostegno del fatto che le funzioni cognitive si sviluppino già nella primissima infanzia e che quindi esperienze precoci di natura educativa, rispettose del bambino segnino una traccia stabile nel cervello. Altresì fondamentale nell’apprendimento è la relazione, il contenuto emotivo positivo: è il concetto di “warm cognition”, un filone di ricerca attuale che sottolinea il ruolo cruciale delle emozioni nel processo di apprendimento.

Due le ricerche statistiche realizzate grazie alla collaborazione con Furio Camillo, docente di statistica all’Università di Bologna. La prima, relazionata da Alessandra Venturelli, presidente AID e GraficaMente, finalizzata ad indagare l’utilizzo di strumenti di uso quotidiano da parte dei bambini di oggi. Le evidenze quantitative hanno confermato le ipotesi: scarsa la loro abilità nell’uso delle mani, tanto che a non utilizzare correttamente le forbici e il cucchiaio, la cui impugnatura è analoga a quella per matite e penne, sono veramente tanti.

convegnoL’altra indagine, presentata dalla dottoressa Sabrina Tomasi, consulente didattica e rieducatrice della scrittura, è una ricerca sull’uso comparato dei diversi tipi di lavagna nella scuola primaria: Lim versus ardesia,  il cui ruolo di strumento ancora irrinunciabile per insegnare a scrivere è emerso con chiarezza, nonostante i numerosi tentativi di ‘rottamazione’ a vantaggio della più tecnologica Lim.

In quanto intrisi di pratica esperienza di sperimentazione di un metodo che raccoglie successi di insegnamento ormai da vent’anni sono stati gli interventi di Alessandra Venturelli. La centratura è stata sulla necessità che gli insegnanti si basino sulle ricerche scientifiche per proporre un metodo coerente e unitario che colleghi, come un filo rosso, scuola dell’infanzia e scuola primaria, attualmente un po’ troppo indipendenti, in quanto ad attività svolte, l’una dall’altra.

Non si tratta di insegnare a scrivere prima del tempo

Questo metodo fa la differenza nel proporre una sempre più precoce attenzione alla acquisizione di autonomie, di buone abitudini di postura, presa, organizzazione. E attenzione! Non si tratta di insegnare a scrivere prima del tempo ma di riabituare (sì perché ormai è stato purtroppo perso) l’uso consapevole e competente delle proprie mani attraverso esperienze dapprima sul corpo, poi attraverso la manipolazione, per arrivare poi alla capacità astrattiva che è necessaria per approcciarsi adeguatamente all’apprendimento della scrittura manuale, patrimonio personale e culturale della nostra civiltà, come ha ribadito anche Francesco Ascoli, storico della scrittura che ha presentato una apologia, a tratti divertente e poetica, del tradizionale quaderno di scuola.

Affascinante e di grande supporto scientifico per chi si occupa di potenziamento della scrittura, l’intervento del neuropsichiatra Ciro Ruggerini, responsabile del Progetto Crescere di Reggio Emilia, che ha relazionato con spunti di grande spessore sul concetto di neuro-varietà in relazione alle difficoltà grafo-motorie. In un’ottica educativo didattica e di recupero, di grande valorizzazione della specificità individuale, molto umana direi, ha sottolineato la limitatezza delle diagnosi che hanno una loro finalità pratica nel consentire di ‘incasellare’ la realtà individuale di bambini in difficoltà in una logica di scarto dalla media, di deviazione statistica, ma che perdono il potenziale di recupero e di unicità del singolo, che è invece il punto di partenza del nostro lavoro di rieducatori.

Molto efficace e coinvolgente, nonostante i partecipanti fossero già incollati alle sedie da ore, è stato l’intervento di una giovane neuropsicologa, psicoterapeuta, docente di fisiologia del gesto grafico, Cecilia Rassiga che ha ripreso il tema del ruolo delle emozioni positive, della motivazione, nell’apprendimento e nell’influenzare positivamente le performance scolastiche. Pratici i suggerimenti dati ai partecipanti per attivare positivamente i discenti e lavorare sull’educazione all’emozione: comprenderle, dare loro un nome e capire cosa le ha attivate e creare sereni contesti di apprendimento.

Molto importanza anche la formazione dell’educatore che a sua volta deve possedere una competenza in questo ambito: partecipazione emotiva, ma capacità di regolazione e di accoglienza adulta delle emozioni negative di rimando. Ricollegandosi a Spitzer un consiglio utile a chiunque abbia a che fare coi bambini: non utilizzare la tecnologia digitale come regolatore emotivo per abbassare il livello di attivazione e di tensione, pena il rischio che quello diventi la modalità di evitamento delle emozioni.

Il convegno si è chiuso con la commossa testimonianza di una ragazza ora più che ventenne, ormai laureata che seguì, bambina, un percorso di rieducazione della scrittura con Alessandra Venturelli, che le ha consentito di contraddire quel destino senza speranza a cui l’avevano condannata dicendole che “per la sua scrittura non c’era nulla da fare”.

La giornata è volta così al termine e guardandosi intorno si è vista negli occhi di tutti soddisfazione, una luce di speranza, la sensazione di aver preso parte a una pagina importante per il futuro non solo della scrittura ma della educazione e della formazione di tanti ragazzi che hanno bisogno mai come ora di tutte le figure formative, non solo la scuola ma anche la famiglia, che siano guida e contenimento in un mondo non sempre facile da affrontare e gestire solo con gli strumenti digitali… diversamente da quello che si potrebbe pensare.

L’articolo è stato scritto da Giorgia Filiossi, grafologa, rieducatrice della scrittura e formatrice didattica del Metodo Venturelli.

L’immagine di copertina è di Enrica Buccarella, maestra.

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