Una sperimentazione modenese ha verificato che il metodo sillabico ha una ricaduta migliore rispetto alle usuali proposte di avviamento alla letto-scrittura. Ce la racconta il professor Padovani, che ha seguito il progetto
Ci siamo mai chiesti se usiamo il metodo migliore per insegnare a leggere e scrivere ai bambini italiani? Esistono ricerche rigorose che ci permettono di orientare la didattica durante l’alfabetizzazione, cioè durante la prima primaria?
Va innanzitutto chiarito che gran parte della letteratura internazionale si basa sulla lingua inglese, profondamente diversa e più complessa dell’italiano rispetto ai meccanismi di conversione dal grafema al fonema. Un bimbo italiano che abbia appreso i fonemi corrispondenti ai grafemi dell’alfabeto è in grado di leggere, attraverso un processo di sintesi, una quantità enorme di parole, anche inventate (ad esempio, TULPO). Al contrario, un bimbo inglese con la stessa competenza di base, potrebbe facilmente bloccarsi davanti a parole scritte diversamente ma con pronuncia simile (ad esempio, LIVE/LEAVE). Detto questo, è chiaro che i programmi educativi e didattici per l’alfabetizzazione in Italia non possono basarsi sulla gran parte delle ricerche (numerose e ben condotte) che avvengono nei paesi anglofoni.
una quota ampia di bambini non ha bisogno di particolari metodi per l’alfabetizzazione
L’esperienza insegna inoltre che una quota ampia di bambini non ha bisogno di particolari metodi per l’alfabetizzazione. La semplice “immersione” ed “esposizione” alle numerose proposte che coinvolgono il codice scritto fa scattare meccanismi cognitivi automatici di “mappaggio” tra il segno e il suono, con il risultato che il bambino è in grado di imparare a leggere indipendentemente dal metodo utilizzato. Il sistema cognitivo evolutivo è così costruito per sua stessa natura: può apprendere implicitamente tramite la sola esposizione ripetuta e costruire in autonomia una rete di regole da cui emerge una nuova funzione. Così avviene per l’acquisizione della sintassi della lingua madre ma altrettanto può avvenire per l’abilità di letto-scrittura.
Ovviamente non per tutti il cammino è così semplice. Ci sono bambini con sistemi cognitivi “fragili” oppure bambini che non padroneggiano bene l’italiano: per queste categorie il metodo di insegnamento può fare la differenza, in quanto il processo di alfabetizzazione può insediarsi solo attraverso opportune strategie di apprendimento e non per semplice esposizione. Parliamo di categorie di bambini per nulla trascurabili, sia in termini di numerosità che in relazione alle possibili difficoltà sperimentate. Circa il 7% di bambini prescolari mostra problematiche di ambito linguistico, che costituiscono un fattore di rischio per l’apprendimento “semplice” della letto-scrittura. A questi vanno aggiunti i bambini che mostreranno un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (prevalenza non inferiore al 5% in Italia) e tutta la popolazione di bilingui che padroneggia l’italiano con difficoltà (prevalenza che in alcune città italiane supera ampiamente il 15%).
Dato che la scuola rappresenta un diritto dell’infanzia, appare evidente che la didattica dovrebbe essere modellata e centrata per la popolazione con eventuali difficoltà. Costruita una didattica fruibile per le fasce deboli, verrà in automatico che le restanti categorie di bambini non avranno problemi di adattamento, come ormai ampiamente divulgato da una serie di studiosi dell’apprendimento e della scuola.
Fatta questa necessaria premessa, presento un progetto di collaborazione attuato nella città di Modena per sperimentare un metodo più semplice per insegnare a leggere e scrivere: il metodo sillabico già proposto da Maria Emiliani e adattato da Beatrice Bertelli e collaboratori. Il progetto è nato da una collaborazione tra servizi pubblici (Scuole Primarie e Centro MEMO del Comune, Servizio di Psicologia Clinica dell’AUSL) e attori privati (Scuola di Specializzazione ANSvi, Beatrice Bertelli) con l’idea di sperimentare con buon rigore scientifico se il metodo sillabico avesse una ricaduta diversa delle usuali proposte di avviamento alla letto-scrittura (metodo fonematico-sillabico).
Dal punto di vista didattico il metodo sperimentato è piuttosto innovativo per vari aspetti: avvia l’insegnamento della lettura tramite presentazione non di singoli fonemi ma di sillabe (ad esesempio, SI), proposte come unità e non come risultato di una sintesi fonemica (ad esempio, S-I). Specifica in modo chiaro le prime sillabe da presentare (SI, MO, RE, FA, TU, CA, NE, LU, PO, MA, NO, LI) decise sulla base di criteri rigorosi: alta contrastività sonora percettiva tra le sillabe, massima possibilità di generare parole. Conduce l’insegnante nel percorso di alfabetizzazione tramite appositi manuali che orientano la scelta delle sillabe, dalle più semplici a quelle più complesse con gruppi ortografici “eccezionali” (ad esempio, GN, SCI). Evita con decisione il tipico accostamento fonematico-sillabico della singola consonante con la totalità delle vocali (ad esempio, BA, BE, BI, BO, BU).
Già in età prescolare, i bambini riescono autonomamente ad individuare le sillabe delle parole: esse rappresentano infatti unità percettive “concrete” del linguaggio
Queste componenti si basano su forti fondamenti linguistici, nel senso che derivano da un’ampia letteratura scientifica che ha individuato la continuità tra abilità linguistiche e apprendimento della letto-scrittura. In sintesi, una parte consistente delle abilità cognitive che influenzano l’alfabetizzazione proviene dalle competenze linguistiche: tra queste, in particolare, le abilità fonologiche ovvero la capacità di manipolare le rappresentazioni mentali dei suoni della lingua. Già in età prescolare, i bambini riescono autonomamente ad individuare le sillabe delle parole: esse rappresentano infatti unità percettive “concrete” del linguaggio. Il loro riconoscimento avviene spontaneamente, senza nessun insegnamento specifico. Diversamente da ciò, i fonemi sono del tutto astratti: senza insegnamento formale non vengono riconosciuti, tanto che adulti analfabeti falliscono nell’individuare le lettere con cui sono formate le parole.
Non sorprende quindi che la gran parte dei bambini con abilità linguistiche prescolari fragili, siano a forte rischio di incontrare ostacoli nell’apprendere a leggere e scrivere. Possedendo rappresentazioni fonologiche instabili, faticano nel processo di associazione tra suono e segno grafico. Sfruttando questi ragionamenti, il metodo sillabico si propone di utilizzare rappresentazioni fonologiche più semplici e più concrete (le sillabe), di facile accesso anche per i bambini con fragilità dello sviluppo linguistico e cognitivo.
Va inoltre segnalato che il metodo sillabico facilita il recupero lessicale, successivo alla sintesi sillabica. Anche in questo caso, risultano pertanto favoriti i bambini con repertorio lessicale ipoevoluto a causa della gestione di un bilinguismo.
A Modena il progetto di sperimentazione, descritto in una pubblicazione della rivista Dislessia, ha coinvolto due plessi scolastici, per un totale di 177 bambini frequentanti la classe prima primaria. I bambini sono stati suddivisi in due gruppi: uno alfabetizzato tramite metodo sillabico, l’altro tramite le usuali proposte con consolidamento della corrispondenza grafema/fonema. I due gruppi di bambini sono risultati bilanciati per un ampio numero di variabili cognitive (intellettive, linguistiche e visuo-attenzionali) a dimostrare uguali potenzialità di base per l’apprendimento della lettura e della scrittura.
Già a febbraio, i bambini del gruppo “sillabico” mostravano, rispetto ai coetanei, un più rapido apprendimento della lettura e della scrittura, verificato a specifiche liste di parole. A fine anno scolastico il vantaggio si è ulteriormente consolidato con prestazioni migliori del gruppo di bambini alfabetizzati tramite metodo sillabico a una batteria di prove classica per verificare la lettura e la scrittura: rapidità e correttezza di lettura nel brano e nelle parole, padronanza ortografica di scrittura nel dettato di brano e di parole.
Oltre a questi risultati, piuttosto significativi perché ottenuti con gruppi di bambini ad uguali potenzialità cognitive iniziali, è da segnalare il ritorno generale delle insegnanti coinvolte e dei genitori dei bambini. Tutti hanno fornito impressioni molto positive, con descrizioni di semplicità del metodo e facile automatismo delle regole da parte dei bambini. Non sono mancati elementi di criticità rispetto ai materiali, con necessità di migliorare e rendere più ecologici i brani proposti ai bambini: ma questo a confermare il fatto che mantenendo stabile l’idea di base (uso di quelle specifiche sillabe nel percorso didattico) si possano poi modellare i materiali, nella piena autonomia professionale dell’insegnante.
Il progetto descritto rappresenta un’esperienza territoriale a solida base scientifica. Dimostra la possibilità di utilizzare metodi di insegnamento moderni per l’impostazione di una didattica scolastica pensata per gli alunni più “fragili” e per questo di grande vantaggio per la totalità della popolazione scolastica.
Il professor Roberto Padovani che ha scritto l’articolo è psicologo e psicoterapeuta e lavora presso l’AUSL di Modena con incarichi al Centro Autismo e al Servizio NPIA