Simone Terreni, autore del volume “Dai segnali di fumo ai social” ci parla di Guglielmo Marconi, lo scienziato italiano che ha cambiato il mondo.
Il 20 luglio 1937 le stazioni radio di tutto il mondo tacquero per due minuti. Tutte assieme, per due minuti. Era morto nella notte Guglielmo Marconi e questo silenzio è stato l’omaggio mondiale a uno dei grandi scienziati che hanno cambiato il modo di comunicare a distanza: il saluto a quello che si può definire il … “papà” del wireless (e non solo).
«Guglielmo Marconi – spiega Simone Terreni, ingegnere informatico, imprenditore e storyteller, autore del volume di Librì Progetti Educativi “Dai segnali di fumo ai social” che racconta la storia delle comunicazioni attraverso i suoi protagonisti – è stato uno scienziato geniale e “visionario”, caparbio e audace, capace anche – e soprattutto – di gestire e promuovere il suo nome, oltre alle sue invenzioni, e di diffondere entrambi con un’abilità straordinaria. Eppure non ne viene riconosciuta la grandezza. A lui dobbiamo la possibilità di comunicare in tutto il mondo. Certo, ci sono stati anche Meucci, Bell, Tesla, ma chi ha saputo unire i fili per arrivare a comunicare senza fili oltreoceano, per usare un gioco di parole, è stato Marconi. E in pochissimi anni. Dal 1895, anno dei primi esperimenti di telegrafia senza fili dalla finestra di casa, basta fare un piccolo salto temporale al 1901 per assistere al lancio del primo segnale radio attraverso l’Atlantico».
«Se pensiamo a un innovatore, a qualcuno che ha cambiato il nostro modo di comunicare, istintivamente il nome che magari ci viene è quello di Steve Jobs – continua Terreni – e questo accade perché nessuno ci ha spiegato che prima di quello che è stato definito il Leonardo 2.0 qualcun altro ha inventato, sperimentato e divulgato la radio, il radar, la televisione, il satellite e la telefonia mobile e questo qualcuno è proprio Guglielmo Marconi, un italiano che è stato capace di innovare e cambiare la storia delle trasmissioni radio e di rivoluzionare le comunicazioni, rendendo possibile anche, grazie alle sue invenzioni, il … salvataggio di vite umane».
ha cambiato la storia delle trasmissioni radio e rivoluzionato le comunicazioni
«Il 23 gennaio 1909 il transatlantico americano Republic – racconta Simone Terreni – venne speronato dal piroscafo italiano Florida nel Nord Atlantico. Aveva 1700 persone a bordo. L’operatore radiotelegrafico Jeff Binns inviò il segnale di sos per 14 ore, e questo segnale venne infine captato dal piroscafo Baltic. Quando arrivarono al porto di New York Binns fu osannato come un eroe. Lui rispose “sono solo un marconista, ho fatto solo il mio dovere”. Fu in quel momento – sottolinea Terreni – che il termine marconista divenne famoso e con esso anche il suo inventore, Guglielmo Marconi. Anche i circa settecento superstiti del Titanic sfilarono omaggiando Marconi e fu lui stesso a premiare Jack George Phillips, marconista del transatlantico».
«Marconi – continua Terreni – non si accontentava mai, si metteva continuamente in discussione, non gli interessavano le scoperte fini a se stesse, la sua grandezza sta nella sua capacità di fare collegamenti, di … come dire … unire i puntini e trasformare idee e progetti in strutture , modelli e strumenti funzionali, funzionanti, complessi e innovativi, capaci davvero di cambiare il mondo. Fu anche tra i fondatori della BBC, contribuì a creare la radio italiana e fondò quella Vaticana… Certo, aderì al fascismo ma contrastò l’entrata in guerra contro l’Inghilterra e a quel tempo era decisamente lui, Marconi, l’italiano più famoso nel mondo».
era l’italiano più famoso nel mondo
«Guglielmo Marconi era anche un abile uomo d’affari, un imprenditore attento al personal branding – dice Terreni – tanto che non si lasciò scippare idee e invenzioni e brevettò tutto ciò che gli fu possibile. Aveva fiducia in se stesso e nelle sue capacità e puntava dritto all’obiettivo senza farsi scoraggiare da eventuali insuccessi: in fondo ha sempre seguito le sue passioni e messo a
frutto i suoi talenti, da spirito libero e libero pensatore, dai primi esperimenti a Villa Griffone (ora Fondazione Casa Museo) di Pontecchio Marconi (BO) fino all’accensione delle luci del Palazzo dell’Expo di Sydney, accese premendo un tasto dal suo panfilo (nave laboratorio) di 70 metri, l’Elettra, nel 1930. Va detto che per questa sua caparbietà parte del merito va riconosciuto a sua madre, Annie Jameson Marconi, che lo ha sempre incoraggiato e al quale, da ragazzino, ha pagato le ripetizioni non tanto per le materie in cui andava male ma per quelle in cui andava bene. Un’educazione che potenzia i talenti invece che soffermarsi su un nozionismo sterile, che lavora sulle passioni invece che cercare di livellare, appiattire la formazione, costringere alla competizione, limitare la cultura e la sperimentazione, forse, chissà, limiterebbe anche quella “fuga di cervelli italiani” di cui così spesso si sente parlare…»