La riflessione di Cinzia Sorvillo, docente di secondaria inferiore, sulla lettura. Classici o novità? E perché? L’esperienza in classe con “Sette minuti dopo la mezzanotte” di Patrick Ness e Siobhan Dowd
Il titolo ‘provocatorio’ che ho dato a queste riflessioni, l’ho pensato come ipotetica domanda che potrebbero pormi degli alunni.
Prof, perché dovremmo leggere? Che significa che leggere è importante, se poi ci mette un libro in mano, ce lo assegna per le vacanze e ci chiede una relazione? Un’altra domanda, che peraltro spesso i miei alunni tredicenni mi hanno rivolto, è stata anche questa: Cosa leggere?
Ci lamentiamo del fatto che gli alunni non sappiano leggere, ma poi quanti docenti non leggono mai in classe qualcosa che vada al di là del brano di antologia o del paratesto dei libri di storia della letteratura?
Quanti docenti, inoltre, sono rimasti fermi alle loro vecchie letture scolastiche ‘classiche’ e non si sono mai cimentati nella lettura di un testo per ragazzi? Quanti docenti, ancora, estromettono testi più vicini nel tempo e nello spazio solo perché ritenuti indegni in quanto ‘troppo nuovi’ (autori che secondo alcuni puristi, non essendo ancora passati al vaglio del tempo, non possono essere considerati ‘letteratura’) e i loro autori troppo ‘impegnati’ o troppo di ‘parte’?
Come possiamo pretendere di avere degli alunni lettori se non cominciamo direttamente noi a incontrare i libri e ad usare il libro come veicolo di apertura e non di chiusura?
Umberto Eco diceva che la lettura è un’operazione faticosa, innaturale e che ci vuole tanto esercizio e pratica.
Ecco, cominciamo ad andare in libreria, entriamo nella sezione per adolescenti, compriamo un libro e leggiamolo. Poi passiamo ad un altro libro, più profondo e ‘difficile’, e di volta in volta alzeremo un po’ l’asticella, fino ad arrivare a proporre le letture del ‘canone’.
Qualcuno potrebbe dire: E gli autori essenziali quando li facciamo? -.
Per molti docenti, il corpus di testi che la scuola ha l’obbligo di proporre, sono solo quelli del cosiddetto canone letterario. In altre parole, l’apertura alla letteratura contemporanea sarebbe una sorta di attività inutile, sterile o addirittura pericolosa.
Imbrigliati in un catalogo letterario fermo, si preferisce dedicare due o tre ore di lezione a Giambattista Marino, piuttosto che provare a leggere qualche pagina di un autore contemporaneo che per i ragazzi potrebbe essere più stimolante perché sentito come più vicino e perché ‘parlante’ una lingua che non si avverte come ‘straniera’.
Il fenomeno Wattpad, che da anni produce milioni di giovanissimi lettori e ‘scrittori’, ci offre la misura di quanto innanzitutto i ragazzi sentano un bisogno intrinseco di leggere e raccontare storie, ma anche della deriva che il processo della lettura può assumere, se gli adulti non sono capaci di dialogare con le nuove generazioni.
E la scuola cosa deve fare? Arroccarsi in una norma chiusa, graniticamente sistemata nel passato, estromettendo l’altro e il nuovo, o porsi come mediatrice tra tradizione e innovazione?
Io insegno alle medie, pertanto la mia priorità è insegnare ai miei studenti a leggere e ad incontrare i libri e, inoltre, sono abbastanza libera nella scelta degli autori, visto che non ho una storia della letteratura da portare a termine.
Provo un amore smodato per alcuni ‘autori’ classici, come Dante, Boccaccio, Goldoni, Manzoni, Montale, Pirandello, Flaubert, Orwell, e la lettura ‘diretta’ di questi scrittori non manca mai nelle mie lezioni, tuttavia cerco di aprirmi al nuovo con grande fiducia, nella convinzione che ci siano tantissimi libri che possano fungere da volano per aprire le menti dei miei allievi e che possano aiutarmi affinché il libro diventi un incontro in grado non di alzare i muri, ma di romperli.
Inoltre non credo sia necessario leggere in classe un intero libro.
A volte basta portare un romanzo in classe e, semplicemente, cominciare a leggere.
Legge il prof e la sua voce si propaga, la sua espressione interpreta, le sue pause attirano, il suo tono si alza e si abbassa, le sue parole diventano veloci e lente, appena sussurrate o fatte straripare.
I ragazzi cominceranno a incontrare una storia in cui troveranno qualcosa di loro e leggeranno quel libro.
Qualche alunno dirà: Prof come si intitola il libro? Domani chiedo a mamma di comprarlo – Mentre qualcun altro farà: – Prof, me lo presta?
Spesso i primi a perdere il desiderio siamo noi docenti, ci arrendiamo alle carte, alla fuffa burocratica, alla regola o alla ‘norma’ e ci demotiviamo, pensando che tutto ormai si stia perdendo nel vuoto dei social e dell’assenza di educazione, di rispetto e di desiderio.
E invece no.
Spesso mi sono ritrovata in classi con ragazzi tredicenni che non avevano mai letto un libro e che in casa non hanno libri.
Cosa deve fare un docente con questi ragazzi? Deve partire dalla vita di Dante o deve cominciare con la lettura di qualcosa di più prossimo al suo mondo?
Con i miei alunni leggo tanto.
I libri che sono rimasti più impressi nei loro ricordi e che hanno dato più frutti (anche in termini di competenze, giusto per usare anche le etichette) e che poi hanno spesso fatto da apripista anche alla lettura di testi letterari ‘alti’, sono stati quelli che abbiamo cominciato a leggere in classe e che non fanno parte del cosiddetto ‘canone’.
Libri letti prima da me, vissuti da me, che hanno infiammato me, nonostante non fossero ‘altissima’ letteratura, e che poi ho ‘testimoniato’ con la mia parola a loro.
Quest’anno ho portato in una mia seconda il romanzo Sette minuti dopo la mezzanotte di P. Ness. Lo avevo letto io prima a casa ed ero stata catturata dalla forza del desiderio del protagonista, Conor, aiutato a sopravvivere al mondo, alla separazione dei genitori e alla malattia della madre, dal suo inconscio (almeno io l’ho letto così) che si manifestava attraverso dei sogni a occhi aperti, di notte, sette minuti dopo la mezzanotte, quando accadeva che si ergeva, di fronte a lui, un mostro!
A prendere le sembianze del mostro era un antico tasso, l’albero che si trovava di fronte alla casa del ragazzino. Era un mostro po’ particolare perché non impauriva Conor, ma gli raccontava delle storie! Queste erano storie che raccontavano di una realtà che è molto più complessa di quella che appare a un primo sguardo, lo sguardo censore della ‘Legge’ che giudica in maniera manichea cosa sia il Bene e cosa il Male.
E quella Legge, purtroppo, il giovane protagonista la covava dentro di sé, un legge inflessibile che non gli consentiva di raccontare a se stesso la ‘sua’ di storia.
Conor aveva paura di quel mostro interiore che lo avrebbe giudicato.
Ed ecco che il tasso (la fantasia, il sogno, l’inconscio) gli andò in soccorso per far sì che, attraverso le quelle storie un po’ strane che raccontava (del resto il sogno è sempre bizzarro), Conor riuscisse finalmente a dirsi la verità, quella verità di cui tanto aveva paura e che ogni notte prendeva la forma dell’incubo, questa volta di un incubo vero che lo faceva svegliare spesso di soprassalto, madido di sudore e paralizzato dalla paura.
Quale fosse questa scomoda verità di Conor, non voglio spoileralo qui, però io in questo splendido libro, ho fatto esperienza della grande forza del sogno e della fantasia a darci una possibilità di rinascita. È un libro che racconta una storia e che parla di storie, un libro che ci mostra quanto le storie abbiano la capacità di parlarci, di leggerci…
Quando lessi i primi capitoli in classe, mi trovai di fronte degli occhi ipnotizzati, incantati.
Non era forse il mio trasporto per la verità di quel libro che mi aveva letto, commosso e acceso, a propagarsi in quella classe e ad accendere i loro sguardi? Eppure l’autore non compare nei libri scolastici e non fa parte del ‘canone’.
Fatto sta che diversi ragazzi hanno acquistato il libro e lo hanno letto, altri se lo sono fatti prestare!
[…] Basta così Conor O’Malley, disse il mostro, con dolcezza. Questo è il motivo per cui mi sono messo a camminare, per dirti questo, di modo che tu possa guarire. Devi ascoltare.
Conor deglutì ancora. – Ti ascolto.
La vita non si scrive con le parole, disse il mostro. Si scrive con le azioni. Quello che si pensa non conta. La sola cosa importante è ciò che si fa.
Ci fu un lungo silenzio, e Conor riprese fiato.
– E allora cosa devo fare? – chiese infine.
Devi fare quello che hai appena fatto, disse il mostro. Dire la verità.
– Tutto qui?
Credi sia facile? Il mostro alzò due enormi sopracciglia. Tu eri pronto a morire piuttosto che dirla.
Conor si guardò le mani, disserrandole infine.
– Perché quello che pensavo era terribilmente sbagliato.
Non era sbagliato, disse il mostro. Era solo un pensiero, uno su un milione. Non era un’azione. […]
Chiudo con questo passo tratto da Massimo Recalcati, in L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, 2014
“La Scuola apre mondi. La sua funzione resta quella di aprire mondi. Non è solo il luogo istituzionale dove si ricicla il sapere dello Stesso, ma è anche potere dell’incontro che trasporta, muove, anima, risveglia il desiderio”.
Testo inviato da: Cinzia Sorvillo, Scuola Secondaria Primo Grado Massimo Stanzione di Orta di Atella (CE)