Insieme a Marianna Balducci, prendendo spunto dai grandi design e dagli Ikea Hackers per creare nuovi oggetti.
Molto spesso alcune forme di “saper fare” pratico si rivelano ottimi espedienti per applicarci in esercizi di creatività. Mi piace partire dal saper fare che interessa le cose di tutti i giorni, quelle che diamo per scontate; perché, ammettiamolo, non sempre ci chiediamo, quando usiamo una lampada o impugniamo una matita, chi abbia progettato il design quegli oggetti, perché li abbia fatti in quel modo, come è cambiato il nostro presente da quando li usiamo.
A volte invece i bambini e i ragazzi se lo chiedono (e magari ci mettono pure un po’ in difficoltà) e sono molto più bravi di noi adulti a valutare possibili scenari alternativi quando, di quegli oggetti, iniziano a osservare qualità estetiche, percettive, usi e applicazioni.
Eccoci quindi a scomodare il design. Ci sono due requisiti che gli oggetti di design devono avere per essere definiti tali: devono essere classificabili come “oggetti d’uso” quindi presupporre una precisa funzione che soddisfi un bisogno, risolva un problema, faciliti dei passaggi; devono poi essere oggetti riproducibili secondo il sistema industriale che del design ha decretato la nascita e permesso la divulgazione su ampia scala.
Ancora una volta, proveremo ad avvalerci della creatività come strumento sovversivo per giocare con le cose (e così impararle meglio), per spalancare nuovi scenari (utili o semplicemente piacevoli), per testare quello che fa l’immaginazione: generare nuovi problemi e andare a caccia di nuove soluzioni. Con l’attività foto-illustrata di oggi rovesciamo i requisiti base del design e lo facciamo prendendo in prestito due casi emblematici: un grande designer fuori dagli schemi e un blog pieno di piccole rivoluzioni domestiche.
Il designer Alessandro Mendini si definiva un “pasticcione”: accanto alla funzionalità, nei suoi oggetti occupava un posto importante anche la loro componente emotiva. “Per essere interessante, un oggetto deve contenere un errore” diceva, ed è grazie a quella dissonanza che il nostro sguardo cade su di lui e più facilmente tende a stabilire un rapporto di affezione autentico. Quell’oggetto, certo, ci serve, ma soprattutto ci rende felici e non ci stupisce che, tra i suoi oggetti più noti, ci siano utensili da cucina trasformati in veri e propri personaggi.
Per conoscere Alessandro Mendini più da vicino, sono disponibili dei saggi sulla sua vita o dei suoi scritti, come Scritti di domenica.
A ribaltare l’ordine razionale del design arriva poi un vero e proprio piccolo movimento, quello degli Ikea Hackers, sul blog ikeahackers.net [link https://www.ikeahackers.net/] che raccoglie modi alternativi di montare oggetti Ikea per farne un uso diverso da quello per cui sono stati concepiti. Il brand, che ha fondato la sua identità sulla linearità dei processi, si ritrova scombinato, hackerato appunto dagli utenti, proprio in nome di questa conquistata autonomia: lo monto tutto da me, quindi mi prendo la libertà di montarlo anche seguendo istruzioni tutte mie, perché non è detto che le cose debbano per forza funzionare in un modo solo.
Ecco cosa proveremo a raccontare oggi: per imparare a risolvere i problemi e progettare cose nuove serve creatività e spesso la creatività si innesca quando inventiamo nuovi problemi e ci poniamo in modo critico verso gli schemi già acquisiti, senza paura di capovolgere le regole. Sarà importante portare la classe dentro a questo argomento prima di dedicarsi all’attività. Mostrare esempi visivi dei due riferimenti citati – e farli riflettere su queste strategie di pensiero laterale – sarà un buon punto di partenza.
Forniamo poi a ciascun alunno la fotografia di un oggetto di design la cui funzione ed estetica sono ormai consolidate nel nostro repertorio visivo e mentale: una lampada da tavolo, una moka per il caffè, una penna biro, una sedia… Cerchiamo di reperire o realizzare foto con sfondo bianco o neutro, poi stampiamole in formato A4 o A3. Assieme alla foto, consegniamo anche un quadrato di carta bianca (possiamo farlo di 7x7cm, per esempio, se lavoriamo con foto in A4). Questa toppa quadrata sarà l’errore di cui parla Mendini, sarà la variabile che scombina l’equilibrio modello Ikea dei nostri oggetti.
Invitiamo ora a posizionare la toppa bianca sulla foto, facendo più prove, neutralizzando di volta in volta una parte dell’oggetto fino a scegliere il punto che più si preferisce per intervenire e hackerarlo. Scombiniamo gli equilibri visivi di una cosa creando questo vuoto inatteso, e a questo vuoto diamo la missione di cominciare una nuova avventura. Ciascuno dovrà, infatti, disegnare a partire dalla toppa bianca dei nuovi profili per il suo oggetto provando a inventare per lui una nuova funzione. Si può aggiungere un accessorio che ne potenzi la funzione di partenza oppure un dettaglio che la capovolga completamente o semplicemente qualcosa che lo renda “più bello”.
Chiediamo di agire come veri designer spiegando quindi, con una descrizione scritta o orale, la nuova funzione dell’oggetto contaminato, le sue nuove istruzioni d’uso, il suo nuovo nome. Al termine, tutti gli oggetti potranno essere raccolti in un catalogo di design sovversivo di classe.