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Bande di ragazzi fuori controllo, il problema delle baby gang

in Approcci Educativi by
Nelle ultime settimane (fra il vecchio anno e il nuovo) la cronaca ha fatto registrare pessimi episodi che riguardano anche l’educazione

Bande di adolescenti sono state protagoniste di episodi di violenza urbana gratuita e feroce. Le indagini delle forze dell’ordine hanno reso noto che diversi di questi ragazzi (ma non tutti) sono figli di famiglie immigrate da vari paesi.

Questi fatti ci interrogano come insegnanti. Facciamo tanto a scuola per l’integrazione e poi ascoltiamo queste notizie dove la violenza di alcuni adolescenti mette a repentaglio la vita di altri coetanei.

Sembra che le seconde generazioni di immigrati non accettino ruoli marginali e pur di far notare la loro esistenza sono disposti a sfidare qualunque regola.

Molti di questi ragazzi sono nati in Italia, non hanno il mito del rientro; apparentemente assumono i valori, ostentano gli oggetti, indossano gli abiti dominanti della società locale. Si mimetizzano. Eppure spesso possono nascere conflitti relazionali coi coetanei (italiani o di altre nazionalità) con gli insegnanti, col sistema dell’istruzione, con una società nel suo insieme, più ricca e più opulenta rispetto a quella del paese d’origine. Questi fatti della cronaca riguardano da vicino chi si occupa di educazione e di formazione.

Gli adulti in molti casi coltivano il mito del rientro, credono che grazie agli sforzi fatti in terra straniera sarà possibile tornare al paese d’origine, realizzando là un nuovo progetto di vita, fatto di tante aspettative: saldare i debiti, acquistare casa, avviare un lavoro autonomo. Queste aspettative spesso servono per mantenere un equilibrio personale, per dare un senso alla vita, per sopportare i sacrifici, per non spendere in cose superflue e risparmiare.

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Alcuni testimoni stranieri (soprattutto donne), intervistati con la tecnica dell’intervista narrativa, affermano che per tanto tempo (per anni) non hanno avuto consapevolezza che la propria immigrazione da precaria era diventata definitiva. La consapevolezza è stata acquisita quasi senza rendersene conto: il rientro è stato rinviato di anno in anno; poi la nascita dei figli o il progetto di farli arrivare (già grandi) per il ricongiungimento ha modificato il progetto migratorio.

La migrazione della famiglia comporta sacrifici per gli adulti, ma anche ai ragazzi alle prese con l’inserimento in un sistema di vita e di relazioni del tutto nuovo.

Le testimonianze raccolte convergono nel riferire che, all’arrivo in Italia, ragazzi e ragazze adolescenti hanno dovuto fare i conti con diverse difficoltà: l’inserimento nelle classi, l’incontro per strada e nei negozi con persone sconosciute che parlavano una lingua incomprensibile.

L’incontro con la scuola costituisce una tappa importante del processo di integrazione; il resto lo fanno la città, il paese, il quartiere, le strade, le piazze, i negozi di vicinato, i grandi mall, parchi, giardini pubblici e periferie spesso lasciate a se stesse.

Gli insegnanti fanno tanto, ma non possono fare tutto loro. Le responsabilità sono condivise. Questo dovrebbe essere un dato di fatto da cui partire per provare almeno a iniziare a occuparsi di questi fenomeni.

Mariangela Giusti è docente da vent’anni all’Università degli studi di Milano-Bicocca, dove insegna Pedagogia interculturale. Ha scritto diversi libri, usciti con importanti case editrici italiane, sulle tante tematiche dell’educazione interculturale originate da ricerche condotte sul campo.

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