Mariangela Giusti ci parla dell’importanza di guardarsi intorno. Due piccole narrazioni possono servire da esempio per docenti, educatori, genitori.
Rovereto è una città del Trentino, ai piedi delle Alpi con un importante museo d’arte moderna. Camminando lungo il corso principale è facile incontrare tante famiglie indiane. Diverse volte mi è capitato di ritrovarmi con un gran numero di lavoratori e lavoratrici dalla pelle scura, che parlavano le lingue più diverse, che come me facevano colazione nel bar della stazione dei pullman, la mattina alle sei per prendere il treno. È una realtà che non ci aspetteremmo solo per il fatto che siamo così a nord. Ma è una bella realtà, si sente condivisione, senso di fratellanza, ci si sente parte di un gruppo unico. Bianchi e neri, indiani e italiani, senegalesi e equadoregni.
Solo cinque o sei anni fa non si vedevano tante persone giovani di provenienza palesemente straniera in città così a ridosso delle Alpi. Più d’una volta mi è capitato di essere l’unica donna bianca nella sala d’attesa di stazioni ferroviarie come Como, Trento, Monza, Bergamo, seduta insieme a ragazze e uomini dalla pelle di varie tonalità dal marrone al bronzo al nero scuro – dagli atteggiamenti esteriori, dai modi volutamente, forzatamente, fin troppo liberi. A volte ho pensato che tutta quella libertà così esibita non lascia presagire nulla di buono. Può mettere perfino a disagio chi non appartiene al gruppo e si trova (per caso) in minoranza. Per quanto riguarda me, ero l’unica donna bianca (appunto) ma anche docente universitaria e studiosa di tematiche d’intercultura. Dunque culturalmente attrezzata anche per capire e decodificare tanti atteggiamenti.
Il peggio capita quando a osservare sono ragazzini, preadolescenti o adolescenti perché c’è il rischio che certi atteggiamenti siano fraintesi e si tramutino in atteggiamenti uguali o peggiori. Cioè che transiti un’idea di libertà legata in automatico alla violenza, alla distruzione, alla guerriglia urbana.
A Vinci, la città di Leonardo, in Toscana, negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento esponenziale della popolazione cinese, moltiplicata e estesa fino a occupare i caseggiati di intere strade che, fino a qualche anno fa, sembravano come abbandonati. In quelle strade ora abitano famiglie cinesi, coi laboratori artigiani e gli empori. Sono tornate a pullulare di vita, quelle strade; con attività sempre aperte. Eppure gli adolescenti cinesi di quelle stesse famiglie fanno palesemente fatica a gestire una libertà sconosciuta ai loro genitori, una libertà legata alle lunghe ore libere dei pomeriggi trascorsi nei paraggi delle sale da gioco, ai soldi che circolano, a una morale tutta da capire e da costruire nei confronti della quale i riferimenti tradizionali e dell’educazione familiare sembrano non avere strumenti.
Sono solo esempi. Siamo tutti parte in causa dei nuovi processi sociali che s’intrecciano con noi stessi. Se siamo insegnanti o educatori, s’intrecciano col nostro lavoro a scuola, in aula, nei contesti dell’educazione non formate.