Un album di memorie domestiche, tra storia individuale e collettiva
Insieme a Sonia Coluccelli, partiamo alla scoperta di tutte quelle memorie domestiche nascoste nelle nostre case.
Sembra stretta, sempre uguale questa casa. Siamo qui da quasi tre mesi e anche chi di noi ha un cortile o un giardino, chi si concede ora qualche passeggiata, sente la ripetitività di spazi sempre uguali, conosciuti in ogni angolo, in ogni dettaglio. Forse. O forse no. Quante memorie sono nascoste in questa casa che è la nostra, da sempre, che ci soffoca ora o ci annoia. Mi sembra un buon momento questo per cambiare punto di vista sul luogo che rischiamo di abitare senza vederne le tracce impolverate che ci aiutano a sapere chi siamo e da dove veniamo.
Un viaggio nel tempo
Ciao bambini!
Oggi vi propongo di fare un viaggio nel tempo, un’esplorazione, una caccia al tesoro, dentro casa vostra, tra quelle stanze e quei mobili che conoscete tanto bene ma che forse nascondono storie di cui non sospettate neanche l’esistenza.
Può essere un insieme di foto o solo una, un vecchio attrezzo da lavoro, una collana indossata tanti anni fa dalla mamma in una sera speciale, una cassetta di musica che ancora si riesce ad ascoltare o il ricordo di un viaggio fatto prima che voi nasceste, un vestito indossato in un’occasione speciale e lontanissima, un libro di scuola di 40 anni fa o chissà cosa di diverso e misterioso potrà saltare fuori da un armadio, dal fondo di un cassetto, dagli scaffali alti di una libreria o, come nei film, dagli scatoloni della cantina o del solaio o del magazzino degli attrezzi in cortile.
Chiedete a mamma o papà o ai nonni se sono in casa con voi o in una delle vostre (video)chiamate di raccontarvi quel pezzo della loro vita, della vita della nostra famiglia che va più indietro della vostra memoria di bambini di 10 anni. Fatevi raccontare la storia di quell’oggetto, fotografatelo e condividete in questo spazio immagini e racconti, così da creare un album delle memorie ritrovate nelle vostre case nei giorni in cui queste mura possono sembrarci un po’ troppo strette.
Coinvolgete i vostri genitori per raccontarvi nei dettagli questi pezzi della loro vita che possono essere molto affascinanti perché in fondo vi riguardano anche se non ne siete stati testimoni diretti. È un dono grande capire meglio da dove veniamo, perché quella che è la storia della nostra famiglia prima della nostra nascita ci riguarda, è dentro di noi anche se non sempre ce ne rendiamo conto.
Questa cartella rimane aperta anche dopo la raccolta dei vostri primi contributi e dopo che li avremo raccolti in un album. La vostra casa potrà infatti sicuramente regalarvi altre sorprese, se vorrete continuare a cercare, a chiedere, a essere curiosi.
Allora, come dicono gli scout, buona caccia!
Maestra Sonia
Album collettivo
Ecco la lettera di qualche settimana fa per i miei bambini di scuola, una nuova proposta per rimanere nel cerchio. È un lavoro apparentemente centrato sulla dimensione individuale, sulla ricostruzione della storia più remota della propria famiglia, attraverso oggetti che aprono finestre su un passato a cui i bambini non hanno mai assistito.
Ma la messa in comune di quei racconti e di quelle immagini poi convergerà in un album collettivo con le immagini e i testi di ognuno; un album che ciascuno potrà sfogliare e guardare con sorpresa; per godere della condivisione di un pezzo della storia del proprio compagno o stupirsi per la comunanza di memorie condivise, che solo ora si manifestano. Lo stesso oggetto, la stessa piazza, la stessa canzone.
La storia di ciascuno sta sempre dentro una Storia più grande e a volte sono gli oggetti quotidiani a mostrarci quanto questo sia vero, quanto gli intrecci e le origini non ci vedano così separati. Basta voltarsi un po’ più indietro e ascoltare un racconto che arriva da lontano.
Mi sembra che questo viaggio nel passato, solo apparentemente vintage, ci aiuti anche a vivere il presente, a guardare questo nostro tempo con un po’ di distacco. Non un eterno “per sempre” ma un tassello della storia che si sta facendo sotto i nostri occhi e di cui tenere a nostra volta memoria e traccia, magari con un diario, delle foto, questo stesso album, il libretto della storia scritta con una staffetta tra compagni e qualche altro buon ricordo di questi mesi di scuola nell’emergenza; e sicuramente, quando non ci occorreranno più, le mascherine che ci aiuteranno tra qualche decennio a raccontare – a chi non c’era – le memorie di una pandemia.
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Come mantenere la relazione educativa anche se lontani?
È mattina, Luca ed Elisa si alzano dal loro letto, fuori il cielo è grigio e si annuncia un’altra giornata senza scuola per colpa di un virus che ha un nome che sa un po’ di favola ma che fa diventare seri i visi di tutti i grandi. Che noia! È tutto chiuso e poi è meglio evitare di trovarsi in troppi nello stesso posto, così hanno detto i medici. Ma chissà cosa sta succedendo là fuori? Vorrebbero tanto avere qualche potere magico per volare in alto, invisibili, lo vorrebbero proprio. E lo sappiamo, i desideri quando sono intensi hanno potere di fare miracoli e così, senza nemmeno accorgersene, Luca ed Elisa si trovano per aria, leggeri come un aquilone che sorvola la città. Succede proprio ora, mentre tu stai leggendo, in questo giorno dove tutto è un po’ diverso dal solito. Si guardano sbalorditi un po’ spaventati; Elisa guarda il suo fratellone: “ e ora, dove andiamo Luca?” …
Inizia così, con una email che arriva ai bambini tramite i loro genitori, proprio nei primi giorni di chiusura delle scuole e di restrizioni severe, il viaggio di parole e pensieri di 19 bambini di una classe IV di scuola primaria.
I primi giorni li affronto di slancio, senza ancora aver predisposto dispositivi più strutturati per inviare loro proposte, materiali, progetti di lavoro comune.
Mi muovo con in testa quello che ancora oggi, dopo un mese, è l’obiettivo primario per attraversare questo tempo come maestra: rimanere con i bambini nel cerchio che è il luogo fisico di gran parte del nostro lavoro in classe, continuare a pensare e pensarsi insieme, partire dalla relazione per costruire sapere e per capire cosa farne del sapere, nel mondo. Sembra lontano il mondo, sembra lontana la nostra scuola e rimanere in cerchio non è facile. In quella mail lo scrivo e dico ai miei bambini quanto sono convinta che possiamo trovare strumenti per continuare a essere individui e gruppo anche a distanza.
La scrittura a staffetta è uno strumento semplice e stimolante, anche solo utilizzando il canale delle mail. Ed è uno strumento che è alla portata di bambini e ragazzi di diverse età, nei più piccoli in forma più ludica con l’aiuto degli adulti, nella primaria in modo più articolato seguendo lo sviluppo delle competenze dei bambini in crescita, per adolescenti delle secondarie con contenuti e riferimenti letterari potenzialmente anche molto complessi o specifici, dal fantasy, al romanzo storico, al giallo.
Insieme a quell’incipit mando a tutti i bambini l’elenco alfabetico della classe con i relativi indirizzi di posta elettronica e chiedo a ciascun bambino di leggere quanto gli arriva aggiungendo cinque righe e spedendo al successivo.
Il primo partirà dal mio spunto, scriverà il suo contributo, spedirà al secondo che aggiungerà le sue 5 righe e poi spedirà al terzo e così via. Sarà Marta, ultima in ordine alfabetico a rispedire a me la storia con i contributi di tutti.
Poche sere fa, tra le tante, trovo quella mail, dopo venti giorni che sembrano un’eternità, in cui tutto è cambiato molte volte, Luca ed Elisa, i protagonisti della storia, ritornano qui.
La lettura, ricca e lunghissima, che i bambini mi offrono è stupefacente: viaggi intercontinentali propiziati da un oggetto con poteri straordinari
C’è un anello d’oro. Luca dice: “Magari è un anello magico!”. Elisa lo mette al dito e lo gira e rigira, poi succede che li trasporta al Polo Nord.
pezzi di vita e di luoghi del cuore
… l’amico del vecchio incantatore, di nome Adenane (nome del bambino che sta scrivendo questa parte, di origine marocchina NdA), gli dice “potete restare qui visto che voi siete i benvenuti e io potrei mostrarvi tutte le bellezze del Marocco: il deserto, la campagna, il mare, le montagne. Decidete voi dove volete che vi porti!” (…) si dirigono verso il posto più vicino: il mare. Quando arrivano a destinazione si siedono ad ammirare la bellezza delle onde, uno spettacolo meraviglioso che di certo avrebbero potuto vedere una sola volta nella loro vita, poi si dirigono verso le montagne (…) subito si mettono a giocare con la neve. (…) Dopo aver giocato si siedono ad ammirare il panorama, che è bellissimo e Adenane dice: “andiamo nel mio posto preferito, il deserto!” e lì cavalcano cammelli e guidano le moto di sabbia. Alla fine, Adenane dice: “adesso è l’ora che voi torniate in Italia perché dobbiamo accettare il nostro paese, quando c’è il male e quando c’è il bene “
e la ricerca di una cura per il virus
Elisa gira l’anello e si ritrovano in Mongolia in una tenda colorata e misteriosa con all’interno tanti bambini che giocano. Luca ed Elisa gli chiedono: “Avete qualche antica medicina per sconfiggere il virus?”.
il riferimento ai luoghi dove si sta lavorando per salvare vite umane.
“Perché non andiamo all’ospedale Sacco? lì c’è un grande medico che si chiama Giuseppe, forse possiamo dare le tre pietre a lui.”
Incontri imprevedibili in luoghi dal nome evocativo
“noi cerchiamo il dottore che sappia unire le pietre magiche per sconfiggere il virus” Giuseppe dice loro che non è lì a Milano la persona giusta ma che devono andare a Roma.
Allora Luca chiede al dottore: dove si trova questa persona a Roma? lui risponde: si trova in via Il virus numero 19, ma non è un umano è un folletto di nome Flip, è uno scienziato!
E un finale degno di un libro fantasy
…improvvisamente, si sente un rumore sempre più vicino, come dei passi e poi un gran frastuono. Luca ed Elisa sentono un vento freddo. E una voce che dice: “Luca… Elisa… è ora di andare. Svegliatevi, pigroni! Dai, che finalmente si torna a scuola!” È la loro mamma che intanto sta tirando su la tapparella della camera e apre la finestra. Luca ed Elisa si guardano meravigliati e Luca chiede a Elisa: “Ma allora era un sogno? Tu cosa hai sognato? “ Elisa risponde: “Io ho sognato di salvare il mondo dal virus con te, un orso bianco, tanti personaggi simpatici e un folletto di nome Flip.
E tu?” “La stessa cosa” risponde Luca sorpreso. “Ma allora il virus?” chiedono entrambi alla mamma. È STATO SCONFITTO, grazie agli scienziati, ai medici, agli infermieri, a chi ha permesso a tutti di avere cibo e medicine… e anche alle tante persone che sono state a casa come voi.” Luca ed Elisa si guardano e si abbracciano gridando di gioia, felici che la realtà sia più bella del sogno che avevano fatto. Si alzano dal letto e vanno in cucina per fare colazione. Sul tavolo c’è un anello d’oro…
Ecco. Quello che ritorna da questo schermo è forse ancora più di quello che speravo, ritrovo nel contributo di ciascuno il funzionamento della mente e dell’animo che ben conosco e allo stesso tempo tutto sembra pensato da una sola penna (o tastiera) o da un accordo che nella realtà non è mai potuto avvenire. Siamo ancora in cerchio.
Clicca qui per la lettura del testo integrale frutto della scrittura a staffetta.
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Essere e fare scuola Montessori oggi: uno scorcio
Il docente deve offrire stimoli, nutrimento, sguardo senza cercare i riflettori ma soprattutto rinunciando ad interpretare la relazione educativa come centrata sul potere e sul controllo
Una classe Montessori è un cantiere. Un cantiere pieno – ma non troppo- di muratori, mattoni, cemento, attrezzato con tutto ciò che occorre perché la costruzione sia precisa, solida, sostenibile. Siete dei costruttori, bambini. Ciò che imparerete dipende da voi, io da maestra ho il compito di mettervi a disposizione un ambiente preparato perché possiate muovervi (si può davvero costruire qualcosa stando fermi immobili?) e gli strumenti e le occasioni adatti alle vostre forze e alle vostre capacità per realizzare il compito che portate dentro voi stessi, quello di imparare a imparare, così da poterlo fare sempre nel corso della vostra vita. Imparare attraverso la scelta autonoma e libera di ciò su cui sapete di aver bisogno di lavorare, attraverso l’autocorrezione che è l’unico modo perché l’errore possa davvero essere maestro (per dirla con Rodari…), attraverso quelle meravigliose astrazioni materializzate che una donna straordinaria ha pensato per voi ormai quasi 100 anni fa.
Astrazioni materializzate, così Maria Montessori chiamava i materiali di sviluppo che troviamo in ogni aula montessoriana, perché la mano è lo strumento dell’intelligenza e quei mattoni della conoscenza li afferro meglio se posso montare, smontare, associare, maneggiare i concetti matematici, geometrici, grammaticali. E la maestra (o il maestro, certo) cosa fa senza una cattedra? Il suo compito è altissimo ma difficile da interpretare correttamente, sta tutto in questo passaggio straordinario:
Questa è la nostra missione: gettare un raggio di luce e passare oltre. (…)
Stimolare la vita lasciandola però libera di svilupparsi: ecco il primo dovere dell’educatore. Per una simile e grande missione occorre una grande arte che suggerisca il momento giusto e limiti l’intervento: non disturbi o devii, senza aiutare, l’anima che sorge a vita e vivrà in virtù dei propri sforzi.
La maestra deve quindi offrire stimoli, nutrimento, sguardo senza cercare i riflettori ma soprattutto rinunciando ad interpretare la relazione educativa come centrata sul potere e sul controllo.
Pochi cenni ed è facile capire la completa assenza di rinforzi positivi e negativi, di premi e punizioni per orientare i bambini verso ciò che più o meno arbitrariamente consideriamo un comportamento adeguato, ma un’idea di disciplina visionaria perché si coniuga in modo strettissimo con quella di libertà, Non è detto che sia disciplinato un individuo allorchè si è reso artificialmente silenzioso come un muto o immobile come un paralitico. Quello è un individuo annientato, non disciplinato. Noi chiamiamo disciplinato un individuo che è padrone di se stesso e quindi può disporre di se’ ove occorra seguire una regola di vita.
Per me essere montessoriani oggi è ancora, purtroppo, portare innovazione nella scuola. Sì, purtroppo. Sarebbe infatti bello che le parole e le pratiche montessoriane fossero, come molti sostengono, superate e antiquate, sarebbe bello che la scuola avesse ovunque recepito questi principi: il bambino costruttore, la libera scelta, l’autocorrezione, l’ambiente preparato e funzionale, i materiali di sviluppo con le mani ponte tra la conoscenza e la realtà, l’autoregolazione. Invece è ancora una rivoluzione parlarne e ancora di più provare a fare scuola in questo modo, mantenendo quello sguardo sul bambino che va ben oltre e più in profondità delle sole procedure di presentazione dei materiali e di allestimento di un’aula da rivista
Ciò che però di più attuale ci lascia Maria Montessori e di cui abbiamo ancora bisogno in modo vitale come adulti che accompagnano i bambini nel loro costruirsi, è il senso ultimo del nostro lavoro educativo soprattutto oggi, quello di fare della scuola un presidio di giustizia e democrazia, di diritti e di costruzione del senso di appartenenza ad una comune famiglia umana. Gli uomini non possono più rimanere ignari di se stessi e del mondo in cui vivono: e il vero flagello che oggi li minaccia è proprio quest’ignoranza. Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione.
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