autobiografia

Non solo autobiografia, ma ludobiografia

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Ludobiografia: un modo per raccontare (e raccontarsi) attraverso il gioco.  Come sperimentarla in classe con i nostri studenti.

In cosa può esserci utile la ludobiografia e, in prima analisi, di cosa si tratta?

In classe permettere di parlare e scrivere di sé ha sicuramente una valenza positiva: i bambini/ragazzi percepiscono che le loro storie sono ritenute importanti e ciò si rivelerà efficace in termini di autostima e fiducia in se stessi.

Però non è così semplice fare in modo che i ragazzi scrivano e, soprattutto, che scrivano volentieri di sé. Come affermano Luisa Mattia e Janna Carioli nel libro Scrivere con i bambini

Scrivere di se stessi è difficilissimo: bisogna aver fiducia nel potere delle parole, nei propri pensieri e anche negli adulti che hai di fronte.

Ecco, utilizzare la ludobiografia può essere di grande aiuto.

La ludobiografia: un modo per raccontare giocando

Quasi sempre nei giochi prevalgono scontro e competizione, quasi mai collaborazione e cooperazione. Invece il gioco va considerato a tutti gli effetti uno mezzo che consente lo sviluppo del pensiero.

Secondo Gianfranco Staccioli:

Il gioco è strumento di pensiero e cultura, specie quando viene usato consapevolmente o quando implica la messa in movimento di aspetti specifici della persona (ciò che essa è, ma anche ciò che è stata, con i suoi ricordi, emozioni, conoscenze).

Nella ludobiografia si gioca comunicando aspetti della nostra persona e ascoltando ciò che riferiscono gli altri. Il gioco diventa una scusa per potersi conoscere: si comunica agli altri qualcosa di personale e si accoglie anche ciò che gli altri dicono di loro stessi. Si racconta, si ascolta e ci si conosce giocando.

La ludobiografia deve lasciare il segno

Il segno può essere una scrittura, un racconto orale, una composizione sonora, un monologo teatrale. Non importa il mezzo, ma la comunicazione attraverso cui si trasmette ad altri qualcosa di personale. Occorre un clima empatico in assenza di giudizio, rispetto, fiducia e un divertimento che non si trasformi in derisione o burla.

Con la ludobiografia non si comunica solo qualcosa agli altri, ma si condividono le esperienze e si costruiscono in questo modo relazioni e interazioni reciproche.

La ludobiografia richiede ascolto e accoglienza

Serietà e coscienza sono possibili solo in un contesto che accoglie, che protegge, che stimola, che lascia spazio, che cerca calma e serenità.

Non c’è abitudine, né nelle situazioni familiari né in quelle scolastiche, a vivere situazioni in assenza di giudizio. Fin da bambini ci si abitua alle valutazioni che gli altri danno su di noi, si è preoccupati di sbagliare. Creare clima di ascolto e accoglienza non è facile, in particolare nelle situazioni “obbligate” come gli ambienti scolastici.

Gianfranco Staccioli

Per ottenere ascolto e disponibilità a narrare e a giocare raccontandosi, c’è da lavorare molto sull’atmosfera, sul clima di classe, sul senso di comunità.

La ludobiografia fa appello alla ricchezza di un gruppo comunicativo

I bambini/ragazzi possono essere aiutati a considerare le differenze ricchezza, a riconoscere l’originalità dei compagni, a maturare la gestione dei conflitti e la percezione che ciascuno ha di sé.

La ludobiografia nasce da un piacere condiviso

Troppo spesso il gioco a scuola allontana dal piacere, frena la creatività e acquistare una compostezza didattica seria che finisce per appiattirlo verso l’apprendimento di un parametro educativo o spostandosi verso scopi seri.

Ogni forzatura può restringere il piacere e trasformare il gioco in dovere, quindi occorre scegliere i giochi più adatti per il gruppo classe che si ha di fronte e stimolare senza forzare.

La ludobiografia risponde alle esigenze dei bambini

I bambini vogliono capire come funzionano le cose e perché devono e non devono fare certe cose, cioè vanno alla ricerca del significato.

La narrazione di sé è ricerca del significato: si raccontano i fatti e anche il perché dei fatti. Quando i bambini sono un po’ più grandi vanno ancora aiutati a parlare di sé, accogliendo e valorizzando i racconti e le storie di vita.

Giocare per raccontarsi a parole

Ci sono molti giochi utili a narrare di sé giocando:

  • Tautogrammi (sono testi con parole che cominciano tutte con la stessa lettera; se si usa – ad esempio – la prima lettera del proprio nome, le parole per la descrizione di sé devono iniziare tutte con la stessa lettera)
  • Acrostici (componimento che consiste nel far iniziare ciascuna parola con una lettera di un nome scritto verticalmente ed è divertente usare il gioco con il proprio nome, oltre che un simpatico modo per fare ampliamento lessicale)
  • Abbecedari (elaborare testi vincolati dalla successione alfabetica delle parole che li compongono può essere un modo piacevole di cercare di parlare di sè)
  • Presentazioni poetiche, descrizioni o ritratti collettivi
  • Carte narrative (possono essere costruite dai bambini con dei semplici cartoncini e già la costruzione implica un lavoro di ragionamento e immaginazione narrativa, oltre che induzione al gioco ancor prima di giocare.Nelle carte possono esserci degli argomenti a tema, ad esempio eventi, personaggi, sentimenti, oggetti. Sono un ottimo modo per stimolare ricordi e suggerire idee. Tra le carte narrative interessante è il questionario di Proust, un gioco a cui si era sottoposto il famoso scrittore Marcel Proust a fine Ottocento nel salotto parigino di Madame Arman de Caivallet rispondendo ad un questionario inglese che poneva domande varie attorno alla vita (es. tratto principale del carattere, paese in cui si vorrebbe vivere…).Alcune domande del questionario possono essere utilizzate in classe con i bambini e le risposte risulteranno particolarmente interessanti per scoprire aspetti dell’interiorità di ogni componente del gruppo.

La capacità di narrarsi che si esercita in modo piacevole con la ludobiografia non è costante né scontata. Se non si offrono occasioni, in assenza di giudizio, per consentire di indagare sulla propria interiorità e per parlarne, i ragazzi smetteranno di raccontare di sé o, quando lo faranno, la narrazione diventerà solo formale e poco autentica.

L’abitudine a narrare e ad andare alla ricerca di come funzionano le cose è un’esigenza di tutti e di tutte le età e quanto più una persona avrà svolto ricerca dentro di sé da bambino, tanto più lo farà anche da adulto.

Se nell’infanzia veniamo educati a conservare i ricordi, pur dinanzi a situazioni dolorose, avremo in seguito più probabilità di diventare educatori della memoria a nostra volta.

Duccio Demetrio

Bibliografia

  • Daniela Orbetti – Rossella Safina – Gianfranco Staccioli, Raccontarsi a scuola, Carocci
  • Gianfranco Staccioli, Ludobiografia: raccontare e raccontarsi con il gioco, Carocci

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Foto di copertina by Gautam Arora su Unsplash

Tre albi per un nuovo inizio

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Sabina Minuto racconta il percorso svolto in classe per lavorare sul testo autobiografico in prosa.

I percorsi di inizio anno sono sempre importanti. Stabiliscono il clima della classe, lo creano. Io spesso mi ritrovo con tanti studenti nuovi in una classe già conosciuta. Impiego le prime settimane per ricreare il gruppo, rimodellare equilibri, capire chi ho davanti. Lo scorso anno ho messo in atto una bella esperienza. Bella No. Parola abusata. Diciamo utile e anche piacevole. Come sempre i miei percorsi nell’ambito del WRW partono dagli albi. Ne abbiamo letti tre per lavorare sul testo autobiografico in prosa. Una sfida grande per i ragazzi. Oltre l’incubo della banalità c’è pure l’incubo della forma che incombe. Ma io sono convinta che se impari strategie e tecniche scrivendo di ció che ti sta a cuore le stesse strategie potrai usarle per sempre. I pilastri non cambiano.

Quindi per ritornare al percorso ho usato:

Vetro di Silvia Vecchini

Il Nuotatore di Paolo Cognetti

Nel buio di Nicola Barca e Michela Baso.

Perché li ho scelti: per la potenza evocativa delle immagini, delle storie, delle parole. Ognuno a modo suo ha saputo guidarci alla ricerca del dentro di noi che ci aiuta a scrivere. Come ho imparato ad Anghiari il praticare ascolto pensoso fa i miracoli. Ascolto pensoso di testi scritti da altri, siano autori siano compagni. Ho scritto anche io ovviamente insieme a loro e sempre ho condiviso. Che concetto potente ascolto pensoso! Non c’è nel WRW. Ma nella settimana dell’autobiografia alla LUA ho imparato tanto e non sono una che si ferma ad una metodologia sola. Amo il mondo meticciato come dice il mio amico ivoriano Ben e anche la didattica meticciata,dunque.

Ho letto gli albi come sempre, in circolo, negoziando significato ad ogni pagina. Ogni studente annotava sul quaderno a fine lettura impressioni, connessioni, domande (schema a Y). Ci siamo soffermati sulle domande chi siamo? Siamo grandi? Quando siamo diventati grandi? E sulle domande: è stata una scelta a farci crescere? Quale scelta? In quale punto della vita siamo? Stiamo cambiando? Chi ci aiuta a cambiare?

Le immagini degli albi sono molto evocative e quindi le abbiamo usate per brevi quick write e per generare attivatori anche grafici. Nel Nuotatore c’è un tuffo reale ma metaforico. Abbiamo disegnato anche il nostro tuffo reale o metaforico, ad esempio. Abbiamo raccolto per circa due settimane molto materiale su cui scrivere. Ho anche letto loro alcuni brani tratti dal testo di autori vari “ La prima volta”. Soprattutto per avere Mentor text sui tipi di incipit diversi. Nel testo della Vecchini c’è una ragazzina che scrive una cartolina a se stessa per ricordarsi come è in quel momento, non sapendo come diventerà. Abbiamo fatto così anche noi. Ho fatto io con il pc una sorta di cartolina postale e ognuno l’ha scritta e imbucata nella nostra buca delle lettere che già dallo scorso anno è in classe.

L’abbiamo poi aperta l’ultimo giorno di scuola. Chi ha voluto ha letto. Molti hanno preferito di no. Decisione che io sempre rispetto, ovviamente. Il primo giorno come da testo della Vecchini, ho consegnato loro un vetrino che ho raccolto al mare. Per me cosa facilissima, non faccio che raccogliere pietre al mare. Se lo sono messi nell’astuccio o in cartella. Qualcuno in una tasca particolare. Uno per ciascuno. L’anno prima era un bullone, più prosaico. Abbiamo osservato e scritto cosa voglia dire vedere distorto. Guardare attraverso un vetro semi opaco se stessi o il mondo che sta fuori. Tutto è finito ovviamente nel taccuino/ quaderno ( chiamarlo taccuino da noi è dura!) .

Quando abbiamo iniziato a lavorare sul percorso per la consegna del primo pezzo tutto avevano molti argomenti o appunti da usare e su cui riflettere. “La scelta” è stata molto gettonata, ma anche i ricordi legati alle cose (avevamo fatto anche un attivatore grafico: la scatola delle cose piccole). Vi regalo un incipit che in me ha lasciato il segno. Lo lasciamo anonimo. “Anche se so che se mi vedessi ora, con la sigaretta, ti arrabbieresti, e non saresti felice di me, penso che questo sia uno dei i pochi modi concessi per farmi vedere che sei qui con me, anche se non ti vedo, anche se non ti sento. Osservo attentamente la sigaretta che si consuma, il fumo che allontanandosi delicatamente da essa danza nell’aria, fino a svanire. Io mi immagino che sei tu con il dito che come una direttrice d’orchestra, accompagni il fumo e i suoi spostamenti proprio per farmi capire che riesci ancora a sentirmi. E scrivo questo anche per fare in modo che tu lo veda, perché so che a parole non potrai mai rispondermi, mentre a piccoli gesti sì e appunto ti chiedo di continuare, continua a far danzare il fumo nella stanza, che se io vedo te, tu di sicuro leggerai QUI.”

Siamo, eravamo in seconda professionale. É inutile dire che io amo profondamente i miei studenti per quello che sono e che mi danno.

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