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Thinking routines e pensiero visibile degli apprendimenti: partecipa al Webinar!

in Approcci Educativi/Webinar e formazione by

Utilizzare le thinking routines in classe per rendere visibili i processi di apprendimento è una pratica che produce ottime ricadute in ambito didattico. Vediamo cosa sono – anche partecipando ad un Webinar gratuito – e come poterle inserire nelle nostre lezioni.

Sperimentare in classe le thinking routines produce risultati notevoli in termini di motivazione, coinvolgimento e partecipazione attiva dei nostri studenti ai processi di apprendimento e alla sedimentazione delle conoscenze.

Proprio per questo motivo mercoledì 23 novembre, dalle 16.30 alle 18, Fondazione AIRC organizza un Webinar gratuito per i docenti della scuola primaria, dedicato alle thinking routines. La partecipazione al webinar dà diritto a un attestato di riconoscimento di 4 ore formative su piattaforma S.O.F.I.A:

CLICCA QUI PER ISCRIVERTI E PARTECIPARE GRATUITAMENTE!

Tornando alle thinking routines, per saperne di più in vista del Webinar vediamone insieme origine, funzionalità e tipologie.

Dove nascono le thinking routines

L’espressione thinking routine compare per la prima volta nel libro Making Thinking Visible che raccoglie i risultati della sperimentazione partita nell’anno 2000 e condotta dal centro di ricerca Project Zero della Harvard Graduate School Education.

Nel libro vengono descritte pratiche ed esperienze realizzate in classe grazie all’uso delle thinking routines, spiegando poi nel dettaglio il loro funzionamento. Il libro è scritto in inglese, ma in italiano è possibile leggere il testo MLTV Making Learning and Thinking Visible – Rendere visibili pensiero e apprendimento; qui si descrive l’esperienza realizzata in alcune scuole italiane grazie alla collaborazione tra Indire e Project Zero.

Cosa sono le thinking routines

Le thinking routines sono mini-strategie semplici e facili da apprendere per intervenire sui processi di pensiero degli studenti e renderli visibili in classe. Sono composte da operazioni abituali e passaggi precisi che, ripetuti, entrano a far parte del metodo di studio dello studente che impara ad applicarle anche in altri contesti (life long learning). Le thinking ruotines ripetute assicurano risultati efficaci in quanto entrano a far parte della forma mentis dei nostri studenti.

A cosa servono le thinking routines

Le thinking routines assolvono diverse e importanti funzioni:

  • servono per la comprensione profonda di ciò che si apprende
  • sviluppano la capacità di ragionamento profondo e lo spirito critico
  • rendono visibili il pensiero e l’apprendimento
  • contribuiscono a far divenire la classe comunità di ricerca
  • consolidano il senso di appartenenza al gruppo
  • agiscono sulla collaborazione (contraria alla competizione), sulla responsabilizzazione e sull’accoglienza dei punti di vista diversi
  • agiscono nella consapevolezza metacognitiva
  • incidono positivamente sulla motivazione degli studenti
  • incidono positivamente sul coinvolgimento e la partecipazione a processi decisionali
Caratteristiche delle thinking routines

Le thinking routines devono essere brevi, centrate, divise in step e devono rispettare dei tempi precisi. Gli studenti lavorano in modo più stimolante e i concetti appresi vengono meglio interiorizzati e consolidati.

Diventa centrale l’idea di essere dentro la didattica grazie a scelte autonome e consapevoli. Non c’è più il docente che spiega e gli studenti che ascoltano: il docente assume il ruolo di facilitatore e gli studenti diventano realmente protagonisti attivi del loro processo di apprendimento.

Per rendere le thinking routines davvero efficaci, occorre che il docente si chieda quale forma di pensiero voglia promuovere all’interno della classe. In base a ciò, andrà a scegliere le thinking routines che ritiene più idonee all’obiettivo prefissato. Tutte le thinking routine si compongono di due momenti:

  • la riflessione personale dello studente
  • le riflessioni condivise nel piccolo gruppo e in classe

Tramite questi step, si arriva ad agire negli ambiti della socializzazione e della negoziazione, indispensabili per lo sviluppo del pensiero profondo e critico. Per dare visibilità al pensiero è importante anche prevedere cartellonistica, in formato digitale o cartaceo, in grado di documentare i ragionamenti e i processi di pensiero in continuo divenire.

Categorie di thinking routines

Le thinking routines si suddividono in tre categorie:

  1. thinking routinesper introdurre ed esplorare le idee
  2. thinking routines per sintetizzare e organizzare le idee
  3. thinking routines per approfondire le idee
Thinking routines per introdurre ed esplorare le idee

Queste thinking routinesservono per introdurre un argomento, attivare le conoscenze pregresse degli studenti e stimolare curiosità e atteggiamenti di ricerca. Un esempio è la thinking routine  “VEDI – PENSA – CHIEDI” (See – Think – Wonder) che stimola gli studenti ad osservare più attentamente e a fornire interpretazioni più fondate; favorisce anche la curiosità e aiuta a costruire le premesse per un’indagine.

Osservando un’immagine o un oggetto, il docente può fornire queste sollecitazioni:

  • Cosa vedi?
  • A cosa pensi si riferisca ciò che vedi?
  • Quali domande ti suscita ciò che vedi?
Thinking routines per sintetizzare e organizzare le idee

Queste thinking routinesservono per riassumere I concetti centrali della nuova conoscenza, per collegare le idee alle conoscenze pregresse e per incoraggiare gli studenti a riflettere su come sia cambiato il loro pensiero su un determinato argomento.

Un esempio è la thinking routine “TITOLI” (Headlines) che aiuta gli studenti a individuare il nucleo di ciò che stanno imparando o di ciò di cui stanno discutendo. Il docente può fornire queste sollecitazioni:

  • Quale titolo scegliere per questo argomento?
  • Com’è cambiato il tuo titolo da quanto avresti detto prima della discussione?
Thinking routines per approfondire le idee

Queste thinking routines aiutano gli studenti a scavare a fondo, a fare reinterpretazioni personali di quanto appreso, a considerare la complessità di un argomento e le prospettive multiple. Promuovono anche l’argomentazione supportata da evidenze. Un esempio è la thinking routine “AFFERMA – DIMOSTRA – CHIEDI” (Claim – Support – Question)  che aiuta gli studenti a sviluppare interpretazioni fondate su evidenze e li incoraggia a ragionare con delle prove. Il docente può fornire queste sollecitazioni:

  • Fai un’affermazione su un argomento
  • Fornisci prove della tua osservazione
  • Fai una domanda che può sembrarti ancora irrisolta o da spiegare con maggior approfondimento.

Come afferma Mara Krechevsky, ricercatrice senior di Project Zero

Le thinking routines sono state progettate non tanto per aiutare gli studenti a ‘imparare come pensare’, quanto piuttosto per ‘pensare come imparare’. Non pensiamo all’apprendimento come ciò che qualcuno già possiede, quanto come ciò che qualcuno riesce a fare con ciò che sa. Possiamo dire che imparare è una conseguenza del pensare e le thinking routines sono modi semplici di introdurre e sperimentare il pensiero nella cultura della classe.

Vale decisamente la pena provare ad utilizzare questi strumenti chiari, semplici ma potentissimi. Ne beneficeranno alunni, docenti e l’intero clima di classe. Provare per credere!

Per approfondire:

Making Thinking Visible – How to promote engagement, understanding and independence for all learners, Ron Ritchhart, Mark Church, Karin Morrison, foreword by David Perkins;

– MLTV: Making Learning and Thinking Visible – Rendere visibili pensiero e apprendimento, a c. di Elisabetta Mughini e Silvia Panzavolta, Carocci editore

Conoscere e raccontare la diversità in classe

in Attività di classe/Bisogni Educativi Speciali by
Marianna Balducci ci racconta come è andato il suo webinar sulla diversità e di come si può affrontare in classe.

Non molti giorni fa, in occasione di un webinar condotto assieme a Francesco Fagnani per il progetto “Più unici che rari” (Librì progetti educativi e Sanofi Italia) dedicato alle diversità e all’inclusione, davanti a una virtuale ma consistente platea di insegnanti, mi sono presentata con uno scheletro.

Contro ogni sensata accortezza per la prima impressione, ho pensato che non avrei certo potuto sfondare con lo schermo la porta di casa di così tante persone a mani vuote.

D’altra parte, non ho portato un cadeaux di poco conto: ho portato una larva convivialis (ne parlava in un bell’articolo Emanuela Pulvirenti sul suo didatticarte.it), una di quelle piccole sculture che nei tempi antichi venivano apparecchiate in mezzo alla tavola per ricordarci dell’esistenza delle nostre più oscure paure.

Ah già, ho portato anche il Babau (quello delle “Storie dipinte” di Dino Buzzati), nessuno mi aveva dato indicazioni se fossero proibiti o meno gli animali. 

Non fatevi un’idea sbagliata, io sono una fifona, ho tendenzialmente paura di tutto.

Forse proprio per questo, quando mi è stato chiesto di parlare di come la creatività potesse trasformarsi in uno strumento per conoscere e raccontare la diversità in classe, ho pensato di partire proprio dalla paura.

La paura è quella bestiaccia che si mette (e ci mette) sulla difensiva quando ci troviamo in una condizione sconosciuta e che, per qualche ragione (a volte ingiustificata), ci appare minacciosa.

A volte ci blocca, ci impedisce di comunicare, ci allontana dagli altri ma anche un po’ da noi stessi. 

Ma dentro ai confini ampi ed elastici dell’arte sospendiamo il giudizio e ci concediamo di essere sorpresi, emozionati, vulnerabili.

Quando ci cimentiamo in una pratica creativa (disegnare, fotografare, scrivere una storia), mettiamo sul piatto anche quelle pericolose tensioni che ci hanno fatto paura. A volte addirittura, sono loro a divenire la molla per generare qualcosa di nuovo.  

Durante questo appuntamento, abbiamo perciò apparecchiato le paure per dirci che possiamo individuare spazi in cui testare la nostra capacità di camminare insieme nell’ignoto e dargli un nuovo nome, se abbiamo molta immaginazione forse persino un nuovo destino.

Creare in classe la stessa zona franca che l’arte spesso rappresenta per l’artista, può aprire vie di comunicazione inaspettate.

Iniziamo con l’osservare assieme agli alunni un progetto creativo, smontarlo. Poi rimontiamolo insieme e proviamo a generarne uno “tutto nostro”.

Non è solo un mettere le mani in pasta (su certi materiali e certi temi), ma è soprattutto calarsi in una nuova modalità di pensare, di pensarci.

Proprio come gli oggetti del mio “La vita nascosta delle cose” (Sabir editore) possiamo permetterci di dire che ci siamo stancati di essere sempre gli stessi, di fare sempre le cose nello stesso modo.

Possiamo lasciare che sia l’immaginazione (a cui è concessa anche la più impossibile delle alternative) a darci il coraggio di innescare un cambiamento.

Ecco che, allora, da una storia siamo approdati in modo naturale a un esercizio ma con quell’esercizio possiamo aprire un’altra storia, la nostra.

(Ve l’ho raccontato nel webinar, e ve l’avevo scritto qui)

Dopo avervi apparecchiato scheletri e Babau, infatti, vi ritroverete faccia a faccia con molte storie che sono anche un po’ dei format: a volte è il modo in cui sono confezionate, a volte è la miccia che le ha generate… diversi sono i bandoli a cui possiamo risalire per riproporre quel tipo di percorso (con mezzi compatibili col nostro ambiente) e farne fare, almeno in parte, l’esperienza per sciogliere stavolta le nostre matasse.

Non tanto voli di fantasia nel senso astratto del termine, piuttosto molto “saper fare” pratico che si traduce in mappe geografiche ed emotive, leporelli autobiografici, modi per andare sulla luna, orsacchiotti malandati da intervistare.

Un consiglio: se state pensando di portare uno di questi esempi in classe, non perdete l’occasione di costruire l’attività testandola sulla vostra pelle.

Solo così andrete incontro alla spietata praticità dei tempi da gestire (quanto tempo mi serve per tagliare degli elementi da combinare piuttosto che portarli già tagliati?

Quanto quel tagliarli fa parte dell’esercizio ed è quindi un passaggio fondamentale da non fare al posto dei ragazzi?).

Solo così vi verranno in mente magari delle varianti. Prendiamo, a questo proposito, nuovamente in mano gli oggetti insofferenti dell’esempio precedente.

Se lavoriamo solo con oggetti composti da più parti (una moka divisibile in 3 pezzi, un cavo col suo alimentatore in coppia, una lampada composta da lampadina, cavo e struttura), possiamo spostare il ragionamento da un’altra parte.

Che succede se agli oggetti scomposti manca un componente? Sono rotti, non funzionano, ci dicono.

Ma se fotografiamo quei pezzi singolarmente e col disegno li poniamo al centro di una nuova scena, forse possiamo inventare per loro un nuovo ruolo.

Chi lo dice che le cose debbano per forza funzionare in un modo solo?

Se davanti alla realtà avete già una buona predisposizione a questo tipo di switch mentale, se volete conoscere qualche autore, libro, progetto artistico che vi accompagni e vi incoraggi a praticarne sempre di più, potete quindi seguirmi in questa densa chiacchierata.

Al termine, con un po’ di coordinate nuove per spingervi verso terre sempre più lontane, magari sarete in cerca di un’occasione in cui testare subito le idee che vi saranno venute in mente.

Allora vi torneranno utili le parole di Francesco Fagnani (che chiudono questo video e aprono verso il sito del progetto piuunicicherari.it) che introducono il concorso “Come stai? Dillo con l’arte” da portare in classe (in scadenza fra poche settimane).

Ci saranno diverse cornici tematiche all’interno delle quali collocare anche molti dei nostri discorsi e, sì, ora che lo scheletro lo avete anche digerito, sarete pronti anche per quella dedicata proprio alla paura!

Qui potete rivedere il webinar “Indizi e tracce per un’esplorazione foto-illustrata del mondo”

“MiraggiMigranti. Ospitalità Educazione Condivisione”: parole e pratiche di umanità

in Webinar e formazione by
Una sintesi di Carlo Ridolfi sull’VIII incontro nazionale rivolto a insegnanti, educatori, genitori organizzato da Rete di Cooperazione Educativa a Macerata

Quasi due anni di lavoro. Cinque tappe di preparazione in giro per l’Italia (Roma, Verona, Asti, Padova, Busto Arsizio). Donne e uomini che sono arrivati nelle Marche dal Veneto alla Puglia, dalla Sicilia al Piemonte. L’VIII incontro nazionale di C’è speranza se accade @ – Rete di Cooperazione Educativa, associazione di persone che hanno a cuore l’educazione, si è tenuto sabato 19 e domenica 20 ottobre col titolo MIRAGGIMIGRANTI Ospitalità Educazione Condivisione. La sede, bellissima, come bellissimo è stato il clima meteo che ha accolto i partecipanti e quello più propriamente umano, è stata il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, Ateneo che, insieme al Comune, ha patrocinato l’evento. Se si dovessero riassumere in una parola due giornate intensissime forse la più adatta sarebbe “commozione”.

Non altrimenti si potrebbero descrivere le emozioni provate a partire da un breve ma fortissimo spettacolo del gruppo “Ombre resistenti” di Dimitrious Evangelou e Susanna Matonti, che hanno raccontato il dramma delle comunicazioni tra i barconi dei migranti e le capitanerie di porto che comunicano il respingimento degli stessi. Fino alla conclusione nella intera mattinata di domenica 20, dedicata, con un cambiamento difficile ma opportuno dello stesso programma che era stato annunciato, a testimonianze e contributi che hanno avuto come centro di interesse e partecipazione l’appassionata presenza di Fuad Aziz, straordinario poeta e illustratore di libri di origine curda.

Tra questi due punti estremi del convegno, una mattina del sabato che ha visto susseguirsi il dialogo fra don Pierluigi Di Piazza, del centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano (UD) con Lina Caraceni, dell’Università di Macerata, insieme al vicesindaco Stefania Monteverde; l’intervento sull’azione educativa di Sonia Coluccelli, maestra della Fondazione Montessori; il confronto e la condivisione, sollecitati da Monica Tappa, del giornalista Concetto Vecchio, autore di “Cacciateli!”, che ha raccontato la sua esperienza di figlio di emigranti siciliani nato in Svizzera e di Salou Baba Tounde, che dal Togo è arrivato in Italia e, in epoca e condizioni diverse, ha attraversato avvenimenti e incontri simili al collega italiano.

E poi suggestioni e pratiche arrivate da luoghi diversi e con diverse modalità. La migrazione raccontata attraverso le canzoni italiane da Odoardo Semellini; il racconto di una scuola al centro di un quartiere multietnico fatto da Alessandra Falconi; le esperienze scolastiche e postscolastiche nella Bari riportata da Gegè Scardaccione, Rosalina Ammaturo e Gianpaolo Petrucci; la costruzione di un Giardino dei Giusti contemporanei nella scuola di Vercelli dove insegnano Carolina Vergerio e Patrizia Pomati; il lavoro di riprogettazione degli spazi esterni come spazi di accoglienza fatto dalle tre donne che animano l’associazione Les Friches a Macerata. Questo il sabato pomeriggio.

La domenica mattina, come detto, è stata ascolto e poesia sulla pace
e sulla guerra, con le filastrocche di Carlo Marconi, il juke-box poetico di Patricia Serrano Garcia, il gioco interattivo di Anna Tosetti di Popoli Insieme, l’incontro e il lavoro dei Bimbisvegli di Giampiero Monaca a Serravalle d’Asti con gli ospiti rifugiati della comunità di Agathon, le letture
clandestine di Barbara Archetti di Ventoditerra. E, dopo la grande emozione dell’intervento di Fuad Aziz e la costruzione comune di un, simbolico ma importante, villaggio globale, una conclusione in danza comune, guidata da Chiara Candeo del Cemea Veneto. Il convegno si è concluso anche con un impegno d’onore – preso dopo aver ascoltato Chiara Pinton, di IBBY Italia, che ha portato con sé una valigia di libri per rappresentare in concreto l’idea di BILL-Biblioteca della Legalità: quello di contribuire con le donne e gli uomini della Rete presenti sull’isola a costruire una BILL anche in Sicilia. Luogo di approdo e di naufragi, di accoglienza e di rifiuto, di sangue e di solidarietà che non può mancare in una ideale mappa della resistenza e della speranza.

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