Con Carlo Ridolfi ci addentriamo nel mondo degli “anime” giapponesi.
Vorrei rivolgermi a coloro che, come me, sono genitori di ragazzi o ragazze adolescenti. È un’età della vita, lo sappiamo sia per esperienza diretta che per acquisizione culturale, complessa e complicata.
La pandemia, inoltre, ha collaborato in negativo per renderla ancora più ardua sia per chi la sta attraversando, sia per mamme, papà, fratelli o sorelle che vivano insieme al ragazzo o alla ragazza adolescente.
La tendenza quasi spontanea a rimanere chiusi nelle proprie camerette, quasi sempre incollati a strumenti di comunicazione digitale vari (computer, tablet, smartphone, videogames), comunicando solo con i pari-età, è stata moltiplicata all’ennesima potenza dalle chiusure di vario tipo sofferte in questi mesi.
Cosa guardano, i nostri figli e le nostre figlie di 13-14-14 anni?
Non è facilissimo saperlo, perché molto spesso gli adulti vengono chiusi fuori dalle camerette in tutti i sensi: fisico, culturale, dialogico.
Possiamo provare, quindi, a fare un breve e certamente non esaustivo excursus sull’offerta a loro destinata, ipotizzando che si rivolgano principalmente ad essa.
Guardano di sicuro molte serie a disegni animati, quasi sempre di produzione giapponese.
Non sono più i tempi, vorrei sperare, di manifestazioni di genitori indignati contro Mazinga Z, come succedeva all’inizio degli anni Ottanta. Dovremmo aver imparato, anche perché molti che sono genitori oggi erano adolescenti proprio in quel periodo, che dal Giappone arrivano spesso anche produzioni di grandissima qualità sia visiva che narrativa.
Gli “anime”
Gli (mi raccomando, non “le”) “anime” giapponesi sono tutt’altro che liquidabili con la definizione di cartone animato, che sottintende quasi sempre sia una connotazione di “racconto per bambini”, sia quella di “racconto semplice e immediato”.
Ciò che i ragazzini o le ragazzine cercano e guardano non sono sicuramente né racconti semplici né produzioni per l’infanzia.
Serie come Naruto, che deriva dal manga di Masashi Kishimoto (un dodicenne che aspira a diventare il ninja più importante) o L’attacco dei giganti di Hajime Hisayama (tre amici d’infanzia che lottano contro enormi nemici in un mondo apocalittico). Avvincono per complessità delle trame, caratterizzazione dei personaggi, identificazione possibile con i combattimenti simbolici con se stessi e con gli altri che sono propri di quella età.
Non corrispondono esattamente ai gusti e alle preferenze di noi adulti? È normale. Anzi: quando mai i giornalini letti, i film visti, la musica ascoltata dagli adolescenti hanno avuto l’approvazione incondizionata di genitori e insegnanti? (Basta che ciascuno di noi torni con la memoria al se stesso a quella età e si avrà la risposta).
L’importante, come sempre, è conoscere. Senza pregiudizi, senza paragoni privi di senso con presunte età dell’orto precedenti. (“Ai miei tempi sì, c’erano cartoni divertenti, fumetti interessanti, bella musica”, è frase sicura per chiudere qualsiasi tipo di comunicazione).