La riflessione di Valerio Camporesi, insegnante, sul rapporto tra la scuola e i genitori, scritta ben 3 anni fa, appare ancora molto attuale.
Correva l’anno 2018 quando Valerio Camporesi, insegnante, tracciava un’interessante analisi sul difficile rapporto scuola/genitori.
A 3 anni di distanza e reduci da una pandemia che ha ulteriormente complicato l’attività scolastica, ripercorriamo quell’analisi per chiederci se, e nel caso che cosa, è cambiato da allora.
Che il rapporto tra la scuola e i genitori sia in una fase di crisi non lo dicono solo le cronache assai frequenti di violenze contro docenti colpevoli di avere richiamato un alunno o di non averlo promosso.
Gli episodi di violenza appaiono come la punta di un iceberg – il rapporto scuola/famiglie – che necessita di una riformulazione urgente richiesta a gran voce dal mondo degli insegnanti che da alcuni anni si trovano a dover gestire una relazione divenuta sempre più complessa.
Un mondo non sempre ascoltato, anche e soprattutto dai vari governi che – nell’introdurre riforme in materia scolastica – hanno preferito affidarsi al contributo di esperti ‘esterni’ piuttosto che a quello di chi il mondo della scuola lo vive quotidianamente.
Problema di ingerenza e pressione da parte delle famiglie
Se questo mondo fosse ascoltato, direbbe che assistiamo oggi ad un grave problema di ingerenza e pressione da parte delle famiglie (certamente non tutte, per fortuna!).
Un’ingerenza che si manifesta soprattutto nel frequente utilizzo dell’arma dei ricorsi non solo contro le non ammissioni ma anche contro voti inferiori alle attese!
Questo fenomeno colpisce e un po’ spaventa non solo gli insegnanti ma tutti quelli che hanno frequentato i banchi di scuola non tanti anni addietro: si sentiva mai dire di genitori che facessero ricorso, venti o trenta anni fa (per non parlare di prima)?
Sarebbe opportuna, forse, una rivisitazione della materia che disciplinasse i ricorsi in modo da renderli possibili solo in presenza di certe e comprovate motivazioni, cosa che sottrarrebbe gli insegnanti ad un logorio difficilmente sostenibile.
Senza contare i tentativi, a volte maldestri e impropri, di interferire con le attività didattiche, come se queste dovessero necessariamente uniformarsi ai gusti e alle richieste dei genitori ‘clienti’.
Ma come si è arrivati a questa ingerenza molesta? Le risposte sono molteplici:
- la perdita di credito della figura del docente, ormai ridotto a sottoproletariato intellettuale e quindi non più degna di riconoscimento sociale
- un atteggiamento diffuso da parte delle famiglie che tendono a iperproteggere i propri figli, ad escluderli da quella realtà di doveri e responsabilità che la scuola necessariamente richiede.
Di fronte a genitori che non sanno più dire un no ai propri figli – i no sono scomodi, difficili, e richiedono spiegazioni, cura e attenzione – la scuola appare come l’unico mondo che per sua natura deve ancora saperlo fare.
i no sono scomodi, difficili, e richiedono spiegazioni, cura e attenzione
E questo scatena rabbia, frustrazione, e talvolta violenza. Un atteggiamento del genere sottrae gli alunni al doveroso confronto con le difficoltà, gli insuccessi e le cadute (non è anche questo un passaggio fondamentale del percorso educativo a cui la Costituzione chiama scuola e famiglie ad essere corresponsabili?) e distrugge alla base ogni possibilità di un rapporto sano tra scuola, alunni e famiglie:
un insegnante delegittimato tra le mura di casa è un insegnante non più credibile agli occhi del figlio.
Accettare un voto più basso – fosse anche in parte ‘ingiusto’ o discutibile – non contribuisce forse alla crescita dell’individuo, che deve rendersi conto che la realtà, la vita da adulti alla quale sarà presto chiamato – è fatta anche di incongruenze e di risposte insoddisfacenti?
L’eccessiva ingerenza delle famiglie si spiega anche con l’introduzione dell’autonomia scolastica, che ha in parte trasformato le scuole in istituti che devono vendere un prodotto per acquisire clienti (le famiglie).
Dunque le famiglie non vanno scontentate ma ascoltate sempre, anche quando non sarebbe il caso, pena la perdita di iscritti e l’insuccesso della propria istituzione scolastica. Una dinamica che necessita anch’essa, forse, di un’urgente rivisitazione.
Crisi come trasformazione
Crisi come trasformazione, dunque: e quale trasformazione sarebbe necessaria per sanare un conflitto che oggi appare quanto mai aperto? Forse basterebbe ritornare a ciò che è già stato scritto: i decreti delegati del 1974 che hanno introdotto la partecipazione di genitori e studenti alla vita della scuola.
Tali decreti intendevano ‘democratizzare’ la scuola, parlando di un confronto che si deve attuare “Sugli obiettivi strategici dei percorsi formativi, sui problemi e sulle possibili soluzioni, al fine di condividere la responsabilità del ben-essere dei giovani”, ma rispettando i ruoli specifici di ciascuno.
Esiste un confine, dunque, e va rispettato. Forse il compito, oggi, è proprio quello di ripristinare quella linea di separazione che, per quanto mutevole, deve continuare ad esistere.
Analisi e considerazioni, queste, che restano attuali anche 3 anni dopo.
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Foto di copertina by Ivan Aleksic on Unsplash