La Giornata del ricordo delle vittime delle foibe: le opinioni di un docente di storia per parlarne in classe in maniera laica e partendo dalle fonti storiografiche.
Ero in visita con la mia classe, alcuni anni fa, e ricordo ancora bene l’atmosfera di silenzio che circondava
il memoriale di Basovizza, uno dei luoghi della tragedia delle foibe.
Tutto dava l’idea di un luogo ai margini, di cui non si doveva parlare, ed in effetti per molto tempo è rimasta una tragedia nascosta (anche dalla nostra storiografia, almeno fino agli anni Settanta-Ottanta), quasi dimenticata.
Per questo l’istituzione del Giorno del ricordo, avvenuta con una legge del 2004, non può che essere riconosciuta come un fatto positivo, anche se – purtroppo – la celebrazione di una simile tragedia ha prestato il fianco a indebite strumentalizzazioni tendenti ad un appiattimento se non ad un disconoscimento delle responsabilità di quella guerra spaventosa, alla legittimazione del discorso ”tutti colpevoli, nessun colpevole”, quando invece risultano indubbie le responsabilità ascrivibili alla parte di cui l’Italia era alleata e complice.
Per cercare di capire occorre, anzitutto, ricostruire il quadro storico e geografico.
La prima ondata di violenze si ebbe nel settembre del 1943 nell’entroterra istriano quando, all’indomani dell’8 settembre, le forze popolari croate si diedero alla caccia dei rappresentanti e dei complici del regime fascista in un territorio – l’Isttria – divenuto italiano con la Prima guerra mondiale e che il regime di Mussolini aveva sottoposto ad una politica di italianizzazione forzata con tutti gli strascichi di odio e di rivalsa nella popolazione locale che questa comportò.
Ufficiali, responsabili delle poste, proprietari terrieri e di industrie, tutti furono accomunati dalla caccia all’Italiano: fin da subito emerse infatti la netta caratterizzazione di quegli eccidi, a sfondo per lo più nazionale. Si andava alla ricerca dei gerarchi e dei subalterni ma anche, più semplicemente, degli Italiani, in modo da vendicarsi della recente dominazione fascista e da preparare il terreno per la futura annessione di quei territori alla Jugoslavia di Tito.
Gli Italiani dovevano sparire, e chi restava doveva tenere bene in mente l’esempio ammonitore e sottomettersi senza tanti indugi.
E la stessa cifra nazionalista la ritroviamo nella seconda ondata di violenze, quella dell’estate del 1945, quando all’indomani della fine della guerra in tutta la Venezia Giulia ad essere perseguitati furono prima che i Fascisti gli Italiani in quanto tali, arrivando addirittura a colpire ed uccidere chi il Fascismo l’aveva combattuto: partigiani, membri del CLN, antifascisti inflitrati nella Guardia di Finanza.
A centinaia, forse migliaia, furono uccisi (ma alcuni furono gettati anche da vivi) e gettati nelle foibe, le fosse che caratterizzano il territorio carsico. Su questa contabilità macabra occorre forse riflettere, perché se da una parte risulta evidente la diversa dimensione di questo rispetto ad altri stermini perpetrati durante il tragico 1939-1945, dall’altra non ci si può che rifiutare di aderire ad una prospettiva che riduca gli uomini a cifre per dimostrare questa o quella tesi politica.
Ogni uomo è prezioso in quanto individuo, e non può mai essere ridotto a numero
Anche una persona uccisa è troppo, e la verità, alla fine, è molto semplice: la guerra porta con sé la morte e la distruzione, sempre, e durante un conflitto non c’è parte che si salvi da questa regola tragica. Non è stato forse un crimine il bombardamento di Dresda operato dagli Alleati negli ultimi mesi del conflitto a guerra già quasi vinta e contro una città priva di qualsiasi obiettivo militare?
Si salvi chi può, dunque, ma si salvi comunque la nostra libertà di giudizio!
Libertà di giudizio che non può che partire dalla constatazione che a dare il via a quella tragica catena di eventi fu una parte, e quella sola. Libertà di giudizio che deve servire a rompere il velo di silenzio che ha avvolto i luoghi della tragedia, a causa di una aperta partigianeria da parte di forze politiche della sinistra italiana nei confronti della Jugoslavia di Tito
Violenza porta violenza, e disumanità porta disumanità: è per questo che le guerre non andrebbero mai iniziate e,
nel malaugurato caso scoppiassero, fatte continuare.
Foto copertina: Foibe di Basovizza