Nella settimana dedicata al cinema, ecco un elenco di film in cui gli insegnanti sono i protagonisti
Da La maestra di scuola, realizzato nel 1908 a Torino dalla Itala Film, al recentissimo Il cerchio di Sophie Chiarello, che ha meritatamente vinto il David di Donatello nella sezione “documentari”, i film che parlano di scuola e di insegnanti sono innumerevoli, al punto da farne un vero e proprio genere cinematografico.
L’attimo fuggente
Ve ne sono di famosissimi, come, ad esempio, l’assai ambiguo L’attimo fuggente (Usa, 1989) di Peter Weir.
Ambiguo perché il povero professor Keating, interpretato da Robin Williams, beneficia sì del rapido momento di protesta dei suoi studenti quando viene licenziato (“Oh, capitano, mio capitano!”), ma resta comunque licenziato e i rampolli della ricca borghesia statunitense tornano presto nei ranghi a proseguire il loro percorso per diventare classe dirigente probabilmente dedita a guerre e angherie varie.
(Qualcuno ha suggerito ironicamente di cambiare il titolo del film e chiamarlo L’attimo fuggito…).
Ventiquattro occhi
Ve ne sono di ingiustamente trascurati o dimenticati, come il magnifico Ventiquattro occhi (Giappone, 1954) di Keisuke Kinoshita, che racconta della giovane maestra Oishi che iniziata ad insegnare nel 1928 sull’isola di Shodo ad una classe di dodici allievi e fino al 1946, con la guerra e l’esplosione delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, lavorerà lasciando un ricordo indelebile nei suoi alunni, fino a lasciare l’insegnamento in polemica con le posizioni educative allora in voga (“Non vedere, non parlare, non ascoltare sono i precetti da insegnare ai nostri allievi per farli diventare bravi servitori del Paese”, dirà ad un certo punto del film, e ci sarebbe da riflettere se si tratti di costume pedagogico limitato al Giappone di un tempo).
Mi limiterò in questa sede a richiamare una decina di titoli, in semplice ordine alfabetico, di diversa provenienza e collocazione cronologica, rimandando ad un ben più completo e nutrito catalogo di film che trattano di scuola e di educazione, che è in preparazione con la collaborazione dell’insegnante e esperta di cinema Elisabetta L’Innocente, che dovrebbe ‘veder la luce’ nel prossimo anno con il titolo I bambini fanno la polvere.
L’amore che non scordo – Storie di comuni maestre (Italia, 2007) di Daniela Ughetta e Manuela Vigorita
Ci accompagna in un piccolo ma significativo viaggio, da Milano a Roma passando per Bologna, nel quale incontriamo quattro esperienze di insegnamento nella scuola primaria di grande interesse e peculiarità didattica e pedagogica.
Anghingò (Ole dole doff. Svezia, 1968) di Jan Troell
Descrive la passione e le difficoltà, non sempre sormontabili, di un insegnante di scuola media che combatte quotidianamente con le sue convinzioni etiche e con la realtà, a volte cruda, delle persone che si trova davanti.
Diario di un maestro (Italia, 1973) di Vittorio De Seta
A mio parere, uno dei capolavori assoluti del genere “scuola ed educazione al cinema”. Il grande regista siciliano (di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita), si ispira al libro Un anno a Pietralata di Albino Bernardini, ma inserisce nell’opera, grazie al preziosissimo contributo di consulenza pedagogica che fornì Francesco Tonucci, moltissimi elementi provenienti dalle esperienze del Movimento di Cooperazione Educativa e, in particolare, di Mario Lodi.
Ne scaturisce così un film memorabile (con una memorabile interpretazione di Bruno Cirino), che descrive con precisione appassionata quella che potrebbe esser stata la strada da seguire per una vera innovazione della scuola italiana, purtroppo seguita, anche istituzionalmente, da una minoranza.
Dottor Korczack (Korczack. Polonia, 1990) di Andrzej Wajda
Racconta la vicenda di una delle figure più luminose dell’intera storia dell’educazione, quella di Janusz Korczack (nome d’arte del medico ebreo polacco Henryk Goldszmit) che si dedicò per tutta la vita ai bambini dell’orfanotrofio di Varsavia (scrivendo tra l’altro testi fondamentali quali Come amare il bambino e Il diritto del bambino al rispetto), fino al punto estremo di accompagnarli e perire con loro nel campo di sterminio di Treblinka.
Lavagne (Takthe Siah. Iran, 2000) di Samira Makkmalbaf
Descrive la fatica di un gruppo di maestri che, all’epoca della guerra tra Iraq e Iran, peregrinano con la lavagna sulle spalle alla ricerca di alunni e alunne ai quali proporre un’istruzione che sia anche appello alla convivenza.
Così come Non uno di meno (Yí ge dōu bù néng shǎo. Cina, 1999) di Zhang Yimou, attraverso la vicenda di una giovanissima (tredici anni) maestra per caso, che ,spinta inizialmente dalla promessa di un premio in denaro, scopre la valenza etica ed educativa che pone come priorità quella di non lasciare indietro nessuno.
Pesci combattenti (Italia, 2002) di Andrea D’Ambrosio e Daniele Di Biasio
Ci porta nel quartiere di Barra, periferia est di Napoli, dove un gruppo di insegnanti di scuola media lavora senza sosta per riportare a scuola ragazzini e ragazzine che rischiano altrimenti di essere travolti da una realtà sociale di enorme complessità.
Il ragazzo selvaggio (L’enfant sauvage. Francia, 1970) di Francois Truffaut
Insieme al Diario di un maestro di De Seta è, a mio parere, uno dei due film “obbligatori” per chiunque voglia occuparsi di scuola e di educazione, è il racconto dell’esperienza storica di Jean Itard, medico francese vissuto tra il 1774 e il 1838, che all’Istituto Nazionale per Sordomuti di Parigi seguì per anni Victor, il “ragazzo selvaggio dell’Aveyron, trovato a vagare nei boschi del Massiccio centrale.
Itard e il suo lavoro – descritti magistralmente dal grande autore francese, che qui interpreta anche il medico – furono di ispirazione da allora a chiunque si volesse occupare di soggetti in difficoltà, da Maria Montessori ad Adriano Milani Comparetti (fratello di Lorenzo Milani), neuropsichiatra infantile che ha contribuito a porre le basi per le più approfondite e innovative pratiche di assistenza e cura delle persone con disabilità.
La scuola non è secondaria (Italia, 2021) di Alberto Valtellina
È un documentario che riprende un liceo scientifico di Bergamo durante i mesi del primo lockdown dovuto alla pandemia di Covid19, con gli studenti e le studentesse a casa davanti al computer e il corpo insegnante a scuola a comunicare con loro attraverso i canali telematici.
Infine – ma, come detto, questo è solo un primo e del tutto approssimativo elenco – non posso fare a meno di citare una pietra miliare dell’intera storia del cinema come Zero in condotta (Zero de conduite. Francia, 1933) del grandissimo e purtroppo precocemente scomparso Jean Vigo, che, in grandissimo anticipo rispetto a quelle che saranno le sacrosante rivendicazioni dei movimenti studenteschi di tutto il mondo dal Sessantotto in poi, mette in scena una giocosa e liberatoria rivolta degli studenti (e degli insegnanti più attenti alla loro reale crescita che non alle formalità autoritarie) di un collegio.
E in questi tempi, in cui Il collegio è un tristissimo format televisivo che dovrebbe riportare in auge la “vecchia e sana scuola di una volta nella quale ci si alzava in piedi quando entrava l’insegnante”, forse rivedere e far rivedere un film come il capolavoro di Vigo non sarebbe affatto male.
Avevamo già parlato di questo tema in passato, trovi l’articolo qui!