Continua l’epica dei Sissipole raccontata da Renato Palma con l’invenzione della scuola per contrastare il terribile destino dell’immobilità sociale
Era da un po’ di tempo che osservavano e riflettevano. Si sa che i Sissipole amano osservare e riflettere. E dopo tanto osservare e riflettere alcuni di loro si posero una domanda:
Possibile che il figlio del fabbro debba fare il fabbro e quello del falegname il falegname e quello del muratore il muratore?
Fermati, disse un sissipole amante del silenzio al sissipole chiacchierone, abbiamo capito, non ci servono altri esempi. Peccato, rispose, perché volevo anche chiedervi se non vi sembra strano che il figlio del re sia destinato a fare il re.
La parola destino, lo saprete certamente, era una parola che i sissipole non amavano usare. Loro avevano in mente di cambiare in meglio la loro vita, e questo lo sapevano, e pensavano che non potevano perdere tempo a pensare che tutto fosse nelle mani del destino (sicuramente un simpatizzante degli Unsipole).
Quindi non si soffermarono a chiarire come e perché loro non credevano nel destino, ma piuttosto nella responsabilità individuale. Quello che stava dicendo il loro amico Sissipole aveva qualcosa di veramente nuovo, per cui cominciarono a fioccare le domande.
Intendi dire che tu vorresti che il figlio del fabbro non fosse obbligato a fare il fabbro e via dicendo? E magari ti riferisci al fatto che potrebbe essere che il figlio del fabbro abbia talento per la falegnameria e non può imparare il mestiere solo perché il suo babbo non fa il falegname? Ma quanto sono intelligenti i Sissipole e come si capiscono al volo tra di loro.
La risposta non si fece attendere.
Certo, entrambe le cose, e c’è anche dell’altro. Io penso che i nuovi arrivati siano molto più elastici di noi e apprendano molto prima di noi. È una idea che mi ronza da tempo nella testa, ma non riesco a capire bene che cosa ne può venire fuori. Per questo ne parlo con voi.
Questa, in effetti, era una buona abitudine di tutti i Sissipole. Quando a qualcuno veniva in mente qualcosa, si riunivano e ne parlavano. Le loro riunioni qualche volta finivano con una nuova invenzione (che ne so, la forchetta o il cucchiaio, per non parlare del bicchiere e del piatto), ma molto più spesso, quando la fantasia superava di troppo la realtà, molti si salutavano dicendo: non ho capito quello che vorresti fare, ma sappi che non sono contrario, se solo riesci a spiegarmelo.
Questo era uno di quei casi.
Tanto che fu necessario riunirsi più e più volte, ma alla fine riuscirono a capirsi. L’intellettuale del gruppo stava parlando di una cosa assolutamente entusiasmante e innovativa. Si trattava di trovargli un nome, e cerca e prova decisero che SCUOLA suonava molto bene. Come sapete, disse il teorico di questa nuova cosa, ai Sissipole non è mai piaciuto che i loro piccoli non avessero almeno tre scelte di fronte a una possibilità.
Perché tre e non due, chiese il solito curiosone. Perché due ce le ha anche il computer, rispose il solito avventuristico e fantasioso Sissipole. Nessuno osò chiedere cosa fosse un computer e la discussione si trasferì finalmente sul lato pratico.
Dunque una scuola, dici. E, per favore, che cos’è una scuola?
Il saggio Sissipole ci pensò un po’, non voleva mettere in difficoltà i suoi amici. Poi cominciò disegnando sul terreno una casetta, con due finestre e un portone, un tetto spiovente e sopra il portone una scritta: SCUOLA, appunto.
A me sembra che sia né più né meno come le nostre case. Vero, ma quella è la casa dei bambini, un posto dove possono passare del tempo divertendosi e imparando, al riparo dalle difficoltà che non sono ancora in grado di affrontare.
I bambini hanno già la casa dei loro genitori. Sicuro, ma la SCUOLA, per quello che riesco a immaginare, dovrebbe essere un posto diverso, nel quale, per l’appunto, il figlio del …..
Non lo lasciarono finire. Abbiamo capito, tu vorresti una casa dei bambini nella quale i bambini si divertono e possono imparare quello verso cui si sentono più portati?Certamente, disse il primo Sissipole, felice di aver comunicato bene la propria idea. Bene, hai un’idea di come possiamo fare?
Sai che ogni volta che abbiamo una buona idea dobbiamo sottoporla agli Unsipole, e sai che cosa ci risponderanno. Certo che lo so. Ma io ho un’idea, e vorrei provare a parlarci.
Detto fatto una delegazione di Sissipole, indossati gli abiti delle grandi occasioni, andarono al palazzo del governo. Aspettarono il tempo necessario a farsi ricevere. Tanto, come al solito. Girava voce che fossero considerati dei rompiscatole e l’idea di farli aspettare era che in quel modo si sarebbero stancati e sarebbero tornati a casa. Cosa che qualche volta succedeva. Ma non quella volta: si trattava di dare ai propri bambini un futuro migliore. Poi entrarono al cospetto del rappresentante del re, che li accolse con una certa sufficienza.
Che cosa avete da proporre questa volta? chiese.