Il racconto natalizio di Renato Palma, la storia di Gasparo, un particolare Unsipole grosso e burbero, ma gentile coi bambini che non crede a Babbo Natale
Ai confini del bosco, lontano dalle case, c’era una tettoia e sotto alcuni attrezzi: la bottega di un fabbro. Da alcuni anni viveva qui Gasparo. Precisamente da quando nel suo villaggio comparvero orologi e calendari e la gente scoprì di non avere mai tempo. Tra amici si cominciò a dire: “Scusa, non posso fermarmi. Lo vedi anche tu che si è fatto tardi.” E sorridendo mostravano l’orologio.
Gasparo, come tutti gli Unsipole, si era opposto al cambiamento. E non aveva torto. Voleva continuare a misurare il tempo come aveva sempre fatto, in modo che ci fosse sempre tempo per tutto. Persa la sua battaglia, decise di lasciare il villaggio.
La gente, sorpresa dalla sua decisione, continuava a domandarsi cosa facesse, ad esempio, con la luce accesa fino a così tardi. Le chiacchiere nate intorno alla sua scelta riempivano le loro serate e quella luce, l’ultima a spegnersi, faceva da lampada di compagnia per coloro che stentavano a prendere sonno.
Gasparo si stava svegliando. Anche quella mattina, come tutte le mattine, si stropicciò gli occhi, stiracchiò le braccia, si chinò per saggiare la robustezza della schiena e nello sforzo emise un sordo rumore puzzolente. Tutto come al solito. Uscì dalle coperte vestito di tutto punto. Gli mancavano solo le scarpe.
Si chinò e di nuovo quel rumore. Finì di allacciarsi le scarpe. Aprì le imposte. Ancora neve. Ebbe un brivido. Il fuoco nel camino era spento da un pezzo. Si guardò intorno e con un solo sguardo ebbe la certezza che ogni cosa era al suo posto.
Si avvicinò alla forgia. Riassettò la carbonella. Prese un fiammifero, lo strusciò vigorosamente contro il metallo per vincere l’umidità della stanza; lo zolfanello, con gran fatica, sbuffando, chiese un po’ di tempo e di attenzione prima di essere pronto a far accendere la fiamma.
Prese una pentola, la mise sul fuoco. Gasparo faceva colazione all’antica: fagioli, cavoli e cicorie bolliti. Mentre aspettava che fosse cotta si avvicinò alla finestra, pulì alla meglio la condensa dal vetro, e guardò fuori. Lontano, il piccolo paese sembrava ancora più piccolo.
Gasparo aveva sempre tempo per i bambini, e, non si sa come, era sempre presente in caso di necessità. Li tirava giù dagli alberi, dove troppo avventurosamente erano saliti; li ripescava dall’acqua ghiacciata nella quale erano finiti tentando di pattinare su uno strato troppo sottile di ghiaccio e li ospitava, in attesa che le ire dei genitori fossero un po’ sbollite.
Li accudiva amorosamente, come si fa con gli amici, non chiedeva niente e non voleva sapere chi aveva ragione e chi aveva torto. Loro avevano bisogno di aiuto e lui glielo dava. Tutto qui. Questo ai bambini piaceva. Tra loro era tutto un gioco e Gasparo sapeva farli scappare via proprio come si doveva, con quel brivido di paura che mette le ali ai piedi.
E questo era possibile perché lui, grande e grosso com’era, si comportava come loro e aveva sempre tempo: quello che c’era da fare andava fatto, senza bisogno di interrompersi per andare a letto, mangiare o cose di questo genere.
Gasparo, dunque, si sedette accanto alla pentola e cominciò lentamente, ma metodicamente, a tagliare le cicorie, che condì con olio e sale e, con grande lentezza, le accompagnò nella sua bocca con un pezzo di pane raffermo. Mentre Gasparo stava rimettendo a posto gli oggetti che gli erano serviti per la prima colazione, giù al villaggio fervevano i preparativi per il Natale.
“Macché Natale e Natale” brontolava Gasparo, “tutto è come al solito, un giorno come un altro, un giorno dopo l’altro. Lunedì o giovedì, che differenza vuoi che faccia”.
Per questo la sua era l’unica casa senza alcun addobbo. Quanto ai regali non c’era neanche da parlargliene.
“La vita è tutto un regalo, che bisogno c’è di scegliere un giorno e dire che è il giorno dei regali?”
Non troppo lontano, Babbo Natale stava sistemando gli ultimi dettagli per il suo imminente viaggio. Avvertiva un fastidioso strano formicolio in tutto il corpo. Certamente saprete che sono solo due i motivi del prurito: o sta dimenticando qualcosa, oppure qualcuno non crede in lui. Babbo Natale controllò tutto: nessuna distrazione da parte sua.
Quindi qualcuno non credeva in lui. Che cosa irritante.
Preso da una incontenibile agitazione, Babbo Natale vide, tra le tante lettere, una, nella quale un bambino gli chiedeva, dopo tutta la lista dei suoi desideri, quindi sul retro del foglio, di portare un cappello e un paio di guanti a un uomo grande e grosso, una pasta d’uomo, generoso al punto di averli persi nel tentativo di salvarlo, ma con un caratterino tale che il dono gli andava lasciato con molta prudenza e circospezione, perché lui diceva di non credere a Babbo Natale.
Così, quando fu verso mezzanotte, Babbo Natale, con un prurito da non dirsi, dette un bacio a sua moglie, salutò i suoi collaboratori e lanciò il segnale per far volare le sue renne. Vola qua e vola là, arrivò dalle parti del villaggio di Gasparo. Girando intorno all’albero più alto del bosco, un tremendo attacco di prurito gli fece perdere il controllo delle renne: la slitta sussultò, si impennò, sbandò sotto il peso del suo carico, mentre Babbo Natale ondeggiava alla ricerca di un po’ di benessere.
Alla fine si avvertì uno schianto sordo e la slitta rotolò in cielo in maniera talmente bella che per un momento le renne si fermarono a guardala estasiate. E fu quell’attimo perso che impedì loro di tentare di recuperarla.
Gasparo si svegliò per il terribile rumore. Sollevò le coperte, si chinò ad allacciarsi le scarpe, e di nuovo quel rumore. Uscì, aspettò che i suoi occhi si fossero abituati al buio, e finalmente intravide una figura, che pendeva pericolosamente da un ramo dell’albero più grande.
Pensò alla disavventura di un bambino, gli dette una voce, per tranquillizzarlo, e andò a prendere il necessario per salvarlo. Arrampicatosi sull’albero si trovò davanti un uomo grande e grosso, con tanto di pancione e un buffo vestito rosso.
Gasparo lo guardò bene e poi gli disse: “Che ci fai in cima a un albero?” Per tutta risposta il vecchietto chiese: “Hai visto per caso una slitta con delle renne?” O bella, pensò Gasparo, deve essere proprio uscito di senno. Ma siccome era cortese, gli rispose:
“E come no, ne ho visto almeno cento solo nella giornata di ieri. Tre addirittura le ho dovute riparare io. Sai, qui da noi sono l’unico mezzo per spostarsi comodamente”.
“Sì, sì, lo so, ma io intendevo una slitta carica di pacchi.”
“No, disse Gasparo, slitte piene di pacchi non ne ho viste.”
“O povero me!” disse Babbo Natale. “E adesso come faccio?”
Gasparo si rattristò a vedere un tipo così strano che stava per piangere. Per questo non esitò a mettersi a sua disposizione.
“Senti, amico mio. Non ti perdere d’animo. Domattina usciremo a cercare la slitta e le renne. Nel frattempo ti posso ospitare a casa mia e darti una tazza di brodo caldo.”
Babbo Natale non stava più nella pelle. “Non capisci, mannaggia? Non ho tutto questo tempo a disposizione. Devo consegnare i pacchi entro questa notte; se non lo faccio sarà un grosso guaio.”
Gasparo pensò che avesse paura di essere licenziato. Poverino, così anziano, ridotto a fare le consegne. “Non ti preoccupare, gli disse. Ho sempre tanto da fare, che posso dartelo io un lavoro”.
“Non vuoi proprio capire che sono già nei guai. Sai quanti bambini ci rimarranno male se non consegno i miei doni?”
A sentire parlare di bambini Gasparo si intenerì. “Bene, gli disse. Allora diamoci da fare.”
E così dopo un po’ videro, adagiata su un fianco, la slitta, con il suo carico perfettamente in ordine. Babbo Natale stava pensando con gratitudine alla bravura dei suoi magazzinieri quando sentì Gasparo dire: “Mi sa proprio che non andrai da nessuna parte con questa slitta. Ha entrambi i pattini rotti e poi non vedo renne da queste parti”.
Babbo Natale ricominciò a disperarsi.
“Senti -gli disse Gasparo- fatto uno, farò due. Se mi dai una mano, i due pattini te li posso sostituire in un batter d’occhio. E non preoccuparti del prezzo. Io ho già quello che mi serve e tu mi sembri già abbastanza in difficoltà. Per le renne, ti presterò le mie.”
“Non ti preoccupare delle renne.” disse Babbo Natale.
Lavorarono di gran lena e Gasparo era davvero molto soddisfatto del suo aiutante. In cielo la costellazione del carro cambiò di pochissimo la sua posizione e già la slitta era pronta. Mentre Gasparo riportava i suoi attrezzi a posto, Babbo Natale tirò fuori dalla sua tasca un fischietto a ultrasuoni. In men che non si dica le renne furono lì, felicissime di rivederlo in buona forma. Si lasciarono aggiogare alla slitta e fu allora che Babbo Natale si accorse che i finimenti erano rotti in due punti.
Si voltò per chiamare Gasparo, ma lui era già lì. Mise le mani nelle sue tasche capienti e tirò fuori due pezzi di corda robustissima, con la quale fece le riparazioni necessarie.
Ora tutto era pronto. Babbo Natale l’abbracciò, colmo di gratitudine. Si rimise alla guida della sua slitta e, al solito comando, le renne presero il volo.
Gasparo le guardò e pensò tra sé: “Non le avrei fatte così forti. Meglio così!” Mentre Gasparo se ne tornava a casa, stanco per il sonno perduto, Babbo Natale ricominciò a consegnare i suoi doni. Gasparo aprì la porta emettendo un respiro profondo. Non si accorse di un pacco appoggiato lì accanto. Era veramente una bella notte.
Chiuse la porta, spense la lampada. S’infilò a letto. Quel vecchietto non lo aveva convinto del tutto. Per questo ci pensò un momento, poi decise di uscire dalle coperte. Si piegò per rimettersi le scarpe e anche questa volta, nell’allacciarle, successe quello che sapete.
Si rinfilò sotto le coperte. Si sentì più tranquillo vestito di tutto punto e con le scarpe già allacciate. Con quel vecchietto in giro era meglio essere pronti a intervenire.