paura

Perché parlare di Zerocalcare agli adolescenti

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Con “Strappare lungo i bordi” Zerocalcare si fa portavoce di paure e fragilità di un’intera generazione, portando alla luce temi importanti e delicati da affrontare in classe.

Come scriveva nel giugno del 2019 Cinzia Sorvillo su Occhiovolante:

Gli adolescenti hanno paura: paura di sbagliare, paura di essere giudicati, paura dei compagni, paura di non farcela… paura di vivere!

In quell’articolo si parlava di ciò che può spingere un adolescente al suicidio, e ci è tornato subito alla mente dopo aver visto, e apprezzato, la serie di Zerocalcare “Strappare lungo i bordi”, disponibile su Netflix.

Sei puntate da 20 minuti l’una in cui non fare il cosiddetto binge-watching è decisamente impossibile, dal momento che la fine di ogni episodio chiama a gran voce l’immediata messa in onda del seguente.

La trama

Vero e proprio manifesto di una generazione (quella nata tra gli anni ’80 e ‘90), Strappare lungo i bordi è di fatto un viaggio che il protagonista Zero compie alla ricerca di sé, cercando di capire come affrontare una vita aimè non controllabile, neppure tentando di seguire una linea pre-tagliata: il risultato, infatti, è di andare sempre e comunque incontro a fuori programma e lacerazioni.

Zero è accompagnato dalla sua coscienza, un Armadillo che è l’unico – e non a caso – a non essere doppiato dallo stesso Zerocalcare, ma dall’attore Valerio Mastandrea, che non perde occasione per sottolineare le incongruenze e i passi falsi del giovane protagonista.

A far da spalla a Zero la dolce Alice, la ragazza di cui si innamora a prima vista ma – proprio perché bloccato in uno stallo che non gli permette alcun tipo di iniziativa – finge di ignorarne i segnali di interessamento.

Del resto, secondo Zero, non fare niente protegge da qualsiasi eventuale fallimento; vero è , però, che impedisce anche la nascita di un rapporto vero e profondo.  

Infine troviamo gli amici Secco e Sarah, compagni di viaggio non solo metaforico, ma anche fisico di Zero, diretti nel posto in cui in assoluto nessuno dei tre, il protagonista in primis, vorrebbe andare (e qui evitiamo spoiler!).

Perché vedere Strappare lungo i bordi

Si ride, si piange, si viene assaliti da una malinconia assoluta, e si tocca con mano quel profondo senso di inadeguatezza e di fragilità propri della generazione nata a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, oggi adulta e che si ritrova senza punti di riferimento forti. Afferma lo stesso fumettista, a proposito della serie:

Ci hanno insegnato fin da bambini a seguire la linea tratteggiata, a strappare lungo i bordi predefiniti seguendo una strada già stabilita, ma se questo metodo non funziona? Se la linea tratteggiata si perde? Se si sbaglia qualcosa in questo delicato processo, poi che succede?

Nei 6 episodi sono molti i temi (molto contemporanei) trattati: dalla violenza sulle donne al dramma del suicidio, passando per il problema della ludopatia online. Assistiamo poi ad una critica velata al patriarcato, alla precarietà nel mondo del lavoro ma anche a quella esistenziale, tocchiamo tutte le corde della fragilità psicologica e passiamo in rassegna gli stereotipi sociali.

Per questo la serie merita di essere vista – e qui ci rivolgiamo agli insegnanti – anche insieme alla classe, per dibattere e sviscerare tutti questi temi, analizzarli e, tornando all’incipit di questo articolo, far capire ai ragazzi che di fronte a tutte le loro paure, non sono soli.

Che, come ci insegna Zerocalcare, con una buona dose di ironia e saggezza questo mondo può essere affrontato senza venirne sopraffatti, e che se anche a volte lascia delle cicatrici più o meno profonde, la vita è una cosa bella.

Halloween in arrivo? Mamma mia che paura!

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Dei ragni, dei fantasmi, o magari del compito in classe di matematica: tutti noi abbiamo paura, e parlarne con gli amici e la famiglia è il primo passo per sconfiggerle.

Con la notte più paurosa dell’anno che si avvicina, eccoci a parlare di paura. E non ci riferiamo certo ai vampiri o alle streghe che impazzeranno ad Halloween, ma a quelle paure che sono così familiari a tutti noi.

Proprio come affermato da Marianna Balducci, protagonista insieme a Francesco Fagnani di un webinar per il progetto Più unici che rari:

“La paura è quella bestiaccia che si mette (e ci mette) sulla difensiva quando ci troviamo in una condizione sconosciuta e che, per qualche ragione (a volte ingiustificata), ci appare minacciosa. A volte ci blocca, ci impedisce di comunicare, ci allontana dagli altri ma anche un po’ da noi stessi.”

(Trovi qui il resto dell’intervento).

Se ci riflettiamo bene, però, non può esistere il coraggio, senza la paura! Inoltre, è un elemento in grado di farci sentire uniti!

Più unici che rari

E proprio la paura, in queste due accezioni, è un tema centrale della campagna educativa nazionale per le scuole primarie e secondarie Più unici che rari, grazie alla quale gli studenti possono scoprire come ognuno di noi è diverso, sì, ma tutti insieme possiamo diventare una forza, e contrastare così ogni paura!

L’obiettivo della campagna è infatti raccontare il valore dell’unicità di ciascun alunno, e promuovere tra i bambini e i ragazzi l’importanza dell’accoglienza e dell’inclusione  scuola, partendo da quelle difficoltà che possono nascere in presenza di patologie.

Come stai con la paura?

4 le domande su cui verte la campagna (come stai con gli amici/con il corpo/con te stesso sono le altre 3), ma soffermiamoci sulla paura.

Una domanda non facile, visto l’affollamento di fobie e terrori che si annidano dentro di noi.

La paura è in noi fin dalla nascita, e spesso anche l’immaginazione ci mette la sua, per aumentarla: è vero o no, che quando è buio si materializzano magicamente inquietanti figure?

La paura è utile

Proprio così: se non la provassimo, ci troveremmo a compiere gesti inconsulti, che metterebbero a rischio noi o gli altri. Ci insegna quindi a stare attenti ai pericoli, e questo è sano!

…ma non sempre!

A volte, però, non c’è una spiegazione chiara riguardo ad una paura: potrebbe derivare da una brutta esperienza della nostra infanzia, e fin da allora ci è rimasta addosso, senza più andarsene. Alzi la mano chi da piccolo/a non ha bevuto un po’ d’acqua mentre imparava a nuotare, e da allora non si è più avvicinato/a al mare?

In questi casi è una paura che non fa bene, e che rischia di impedirci una vita sana e serena: è necessario quindi fare un grande sforzo di volontà, per distinguere cosa è davvero pericoloso da ciò che invece non lo è.

Il consiglio antipaura di Più unici che rari

Difficile dare un consiglio per ogni specifica paura o fobia; ma questo, siamo sicuri, è sicuramente d’aiuto per tutti: parlarne!

Proprio così: condividere le proprie paure, guardarle con gli occhi di un’altra persona, è il primo passo per rimpicciolirle!

“Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.” (Martin Luther King)

Gli adolescenti hanno paura, anche di vivere, e la comunità educante dove sta?

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paura
Una riflessione della professoressa Cinzia Sorvillo su paure e disagi degli adolescenti, tra fatti di cronaca, serie tv e pericolose sfide online

In questi giorni di fine anno scolastico, quando i docenti sono affastellati da scartoffie che parlano una lingua asettica e lontana dal reale, quando gli adempimenti finali, le medie e le virgole sembrano essere le uniche parole che echeggiano nelle sale professori, accade che in Olanda una ragazza di 17 anni abbia scelto di non vivere più. Noa e il suo lasciarsi andare ad Ade, dopo il rifiuto dello Stato a concederle l’eutanasia, dovrebbe generare in noi adulti (soprattutto in quelli che come me hanno a che fare ogni giorno con gli adolescenti) un turbamento immenso che però non dovrebbe arenarsi nello sconforto, ma tradursi in seria volontà di azione.

In un articolo uscito su Repubblica qualche giorno fa, quando ancora in Italia si parlava di eutanasia, il professor M. Recalcati ha posto una domanda a se stesso e a tutti noi: “Non è forse compito degli adulti contrastare in ogni modo – anche attraverso le Leggi – la spinta alla morte, sia essa quella della violenza sia essa quella dell’autodistruzione? Non è forse loro compito quello di testimoniare l’esistenza dello splendore del mondo nel pieno dell’atrocità del mondo?”.

Ovviamente a una domanda del genere tutti noi dovremmo rispondere ‘sì’, che noi adulti abbiamo il dovere di mostrare che anche dall’atrocità della vita può nascere quella ‘ginestra’ capace di portare bellezza dove la lava sterminatrice porta solo morte e deserto (Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi/I danni altrui commiserando, al cielo/Di dolcissimo odor mandi un profumo,/ Che il deserto consola. Leopardi, La ginestra)

E allora penso che qualche anno fa una serie tv andata in onda su Netflix, 13 Reasons Why, portava sullo schermo le tredici ragioni per cui Hannah Baker, un’adolescente americana, sceglieva di affidare alla morte, la fine del suo dolore. Quell’anno insegnavo in una terza media strepitosa, e molti ragazzi cominciarono a chiedermi se avessi visto la serie. ‘Prof l’ultima puntata è da brivido’, mi dicevano. Non conoscevo la serie e non sapevo che fosse la traduzione filmica di un libro di Jay Ahsher, Tredici, edito da Mondadori.

Poi accadde che durante le stesse settimane in cui giovani e meno giovani si lasciavano irretire da questa serie tv, sempre questi miei alunni mi chiesero cosa ne pensassi del fenomeno (montato ad arte ma con ripercussioni nella quotidianità) della Blue Whale. E una mia alunna mi disse anche: ‘Prof ho paura’.

Gli adolescenti hanno paura: paura di sbagliare, paura di essere giudicati, paura dei compagni, paura di non farcela… paura di vivere!

La protagonista di Tredici sceglieva di morire perché annientata dalla violenza della vita (anche una violenza fisica), Noa è stata ammazzata dalla violenza subita e dalla depressione, qualche settimana fa una ragazza malese di 17 anni ha affidato a un sondaggio su Instagram la sua scelta di morire, e la violenza del pollice verso, come quello delle arene romane, ha decretato la sua fine.

Anche la stessa Noa aveva postato su Instagram la sua scelta di lasciarsi andare alla morte, mentre la protagonista di Tredici, affidava a delle musicassette, tutte da ascoltare post mortem, le tredici ragioni che l’avevano portata a farla finita.

È assordante la nostra assenza in tutti questi casi. Noi adulti non ci siamo mai.

Le morti si annunciano in rete o si esibiscono quando tutto è finito e noi adulti assistiamo impotenti a questi spettacoli di autodistruzione. I genitori di Hannah amavano la figlia ma erano all’oscuro di tutto e niente hanno potuto, i genitori di Noa hanno assistito inermi alla fine della loro bellissima figlia, il loro amore non è bastato. Io sono madre e insegnante, ho vissuto anche io l’adolescenza e conosco anche il senso di molti dei disturbi o disagi che abitano le vite di molti adolescenti. Anche io in molti momenti ho pensato di non farcela, anzi di non desiderare più di farcela, eppure sono ancora qui, a desiderare ancora e a vivere ancora.

Se Hannah dedicava tredici ragioni alla sua scelta di morire, io vorrei trovare in quella storia, che secondo me va letta a scuola e con l’insegnante, tredici ragioni per scegliere di vivere, anche quando la vita diventa atroce e il deserto emotivo sembra chiudere ogni possibilità. Vorrei testimoniare a tutte le Hannah del mondo che la violenza è solo ‘una’ faccia dell’Altro, ci sono anche tanti Altri che conoscono l’amore e il rispetto.

Vorrei testimoniare a tutte le Noa del mondo che se 17 anni sono stati orribili, ci possono essere altri 17 anni bellissimi, ma se muori, sei morto, non esisti più, non potrai più conoscere, sapere, guardare, odorare, ridere, piangere e rinascere.

Vorrei dire a tutte le Hannah del mondo che morire non significa porre fine al dolore ma porre fine alla vita che è anche altro dal dolore e che nessuna cassetta ti consentirà di riscattare quella violenza che hai pensato di vendicare con le audiocassette.

Noa, vorrei dirti che esiste anche la possibilità del desiderio, che la battaglia che avevi cominciato per riformare il sistema sanitario olandese affinché non si muoia di dolore psichicio, poteva continuare anche grazie a te, vorrei dirti che potevi continuare a lottare e a militare per aiutare tutte le Noa del mondo.

Vorrei dire a tutte le ragazze come Hannan e come Noa che esiste anche l’amore, non solo lo strupro e che se muori non potrai mai conoscerlo.

Vorrei dire a tutti gli adolescenti che ognuno di noi può trovare almeno una ragione per vivere, perché solo se vivi puoi anche morire simbolicamente e rinascere realmente. Solo se vivi puoi attraversare la morte senza morire.


Chi ha paura del libro cattivo?

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Billi acchiappa paura
Attività sulla paura rivolte ai bambini della scuola primaria – ma che possono essere declinate anche per la scuola dell’infanzia – seguite da specifiche letture da fare insieme

La paura è un’emozione che fa parte del nostro patrimonio genetico, una sensazione forte che tutti noi conosciamo, ed è presente e visibile fin dalla nascita.

Da un punto di vista biologico, quello che accade è una specie di incredibile e super velocissima reazione a catena: l’ipotalamo, posto alla base del cervello, produce un ormone, che a sua volta stimola l’ipofisi, la quale secerne un altro ormone che entra nel sangue, il quale a sua volta spinge i surreni a produrre altri ormoni, che a loro volta metabolizzano gli zuccheri e regolano l’equilibrio idro-salino… insomma, roba da paura davvero!

Ok, viene da dire, ma tutto questo a cosa serve? La risposta qui è un po’ più semplice (si fa per dire…), perché la paura, come tutte le altre emozioni, è come una cara vecchia amica che, se tenuta sotto controllo e se sappiamo ascoltarla, può darci dei giusti consigli per vivere meglio.

Perché allora non lavorarci in classe? Giocare con la paura non solo è divertente, ma anche stimolante per tutti i bambini! Quella che vi proponiamo, dunque, è un’attività sulla paura rivolta ai bambini della scuola primaria – ma che può essere declinata anche per la scuola dell’infanzia – seguita da specifiche letture da fare insieme.

Da dove cominciare? Ma dalla domanda più importante… sì, ma qual è? Probabilmente la maggior parte dei bambini dirà: che cos’è la paura? No, non è questa… è una domanda importante, certo, ma non molto utile, e poi rischiamo di perderci. La domanda giusta è: a cosa serve la paura?

Proviamo a partire da qui, ponendo questa domanda ai bambini, poi ascoltiamo le risposte e annotiamo le più interessanti alla lavagna. Aiutare la discussione, dicendo che la paura è un po’ come il dolore.

Spieghiamo ai bambini che il senso del dolore che tutti noi possiamo avvertire, ad esempio se qualcuno ci pesta un piede mettiamo una mano su un oggetto molto caldo, non è altro che un messaggio spedito al nostro cervello, un messaggio repentino che ci avverte di una cosa importante: togli subito quel piede (o quella mano) da lì, altrimenti potresti farti molto male!

Se ci pensiamo bene quindi, avvertire il dolore, anche se non ci piace, è una cosa positiva. Beh, la paura, se vogliamo, funziona un po’ allo stesso modo. La paura è un’emozione che, fin dalla nascita, ha lo scopo di informarci dei pericoli, è come una specie di sentinella che ci dice: ‘Fai attenzione, potrebbe capitare qualcosa di poco piacevole’, e quindi è meglio organizzare una difesa.

E la cosa straordinaria è che la paura ci suggerisce ogni volta come comportarci: di fuggire subito, di rimane immobili, addirittura di contrattaccare!

Adesso è arrivato il momento di dare un volto alle nostre paure. Sì, perché la paura può avere tante facce e un buon modo per esorcizzarle è visualizzarle. Chiediamo dunque a ognuno di raccontare la propria: possiamo parlarne tutti insieme, dando il tempo a ognuno di parlare; possiamo scriverle su un foglio, ognuno la propria, poi leggere i “messaggi” a voce alta e metterli tutti in una scatola, la scatola delle nostre paure, che terremo da qualche parte nascosta in aula; ma possiamo anche, con i bambini più piccoli, provare a disegnarle e appenderle poi su un grande
cartellone-mostro!

Possiamo concludere l’attività con delle letture. Per la scuola dell’infanzia, proponiamo: Lupo lupo, ma ci sei?, edito da Giunti editore, un classico scritto da Giusi Quarenghi e illustrato da Giulia Orecchia, per divertirsi con la paura e cercare un lupo… che non c’è!

Il mostro peloso, edito da Emme edizioni, una storia di Henriette Bichonnier che racconta in maniera umoristica la fiaba della Bella e la Bestia.

Per la scuola primaria, invece, proponiamo:
Billi Acchiappapaura, edito da Librì progetti educativi, di Maria Loretta Giraldo e Giulia Orecchia, per scoprire tutte le paure dei bambini: del buio, dei temporali, di non piacere agli altri…

E Fiabe da far paura (appena appena, non tanto), edito da Mondadori, che raccoglie una scelta delle straordinarie Fiabe italiane di Italo Calvino.

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