Scuola

Occhiovolante vola su Communitì: il magazine online per la didattica innovativa ha una nuova casa

in Redazione by

Un nuovo inizio per Occhiovolante, il magazine online dedicato alla didattica innovativa e inclusiva.

Dopo un lungo percorso ricco di successi e spunti di riflessione, il magazine online si trasferisce su Communitì, un nuovo sito web che mira a creare una vera e propria community di insegnanti, educatori e appassionati di scuola.

Un cambio di look, ma non di contenuti!

Il nuovo sito presenta un design moderno e intuitivo, che facilita la navigazione e la ricerca di contenuti. Ma la vera novità sta nella volontà di creare un luogo di scambio e confronto dove idee, esperienze e materiali didattici possano circolare liberamente.

Communitì non è solo un contenitore di articoli, ma un vero e proprio social network per la scuola.

Gli utenti potranno creare il proprio profilo, interagire con i colleghi, condividere risorse e partecipare a discussioni. Un modo innovativo per restare aggiornati sulle ultime novità del mondo scolastico e per trovare ispirazione.

Un’occasione per crescere insieme

Il passaggio a Communitì rappresenta un’importante opportunità per Occhiovolante di ampliare il proprio pubblico e rafforzare il suo ruolo di punto di riferimento per la didattica innovativa. La nuova piattaforma, con le sue funzionalità, infatti, permetterà di creare una rete ancora più solida e attiva di professionisti dell’istruzione.

Un invito a tutti gli insegnanti

Se siete alla ricerca di idee nuove, materiali didattici di qualità e spunti di riflessione per la vostra didattica, vi invitiamo a visitare Communitì e a unirvi alla community. Insieme, possiamo costruire una scuola più innovativa, inclusiva e appassionante per tutti.

Oltre al magazine troverete:

  • Risorse didattiche gratuite: Kit educativi e altri materiali utili per la didattica di ogni materia e fascia d’età.
  • Percorsi formativi gratuiti: Corsi online per approfondire le competenze didattiche e acquisire nuove metodologie.
  • Comunità: Un forum dove confrontarsi con altri insegnanti, condividere esperienze e dubbi e trovare supporto reciproco.

Communitì è il nuovo punto d’incontro per la didattica innovativa. Un luogo dove idee, passione e professionalità si incontrano per dare vita a una scuola migliore per tutti.

Vieni a trovarci, ti aspettiamo!

https://desk.communiti.it/register

Una riflessione su nuove categorie di Bisogni Educativi Speciali

in Bisogni Educativi Speciali by

Nelle scuole è stata introdotta la categoria dei “plusdotati”, studenti più intelligenti secondo test specifici, inclusi nei BES per i loro bisogni educativi speciali, rischiando concezioni divisive.

Oltre a quella di DSA e di BES (e forse di altre che al momento mi sfuggono) nelle nostre scuole è stata recentemente introdotta un’altra categoria, quella dei ”plusdotati”, ovvero gli studenti che – secondo appositi test – risultano essere più intelligenti (“di un’altra categoria”, verrebbe da dire) rispetto agli altri. Una categoria inclusa in quella dei BES visto che anche i più dotati avrebbero dei bisogni educativi speciali, terminologia con la quale si intendeva invece definire, in linea generale, il caso di uno svantaggio sociale od economico; qui invece si parla di alunni “gifted”, come sono definiti in modo per lo meno discutibile, come se ogni alunno non recasse in sé un dono proprio, particolare: dispiace davvero, questa definizione, che sembra recare tracce di una concezione divisiva se non discriminatoria e gerarchica della scuola e della società.

Una prima osservazione riguarda proprio questa ennesima introduzione di una terminologia che tende a classificare e a separare, giudicandoli particolari, degli alunni: c’è forse uno studente, infatti, che non abbia dei bisogni educativi speciali? Non sono tutti gli studenti dei casi particolari che la scuola, la classe deve riuscire a mettere insieme e a far collaborare? E, soprattutto, è così necessario immettere nel vocabolario scolastico continue definizioni che vogliono rappresentare una casistica di per sé infinita? Perché, infine, non si valuta la capacità degli insegnanti di discernere, capire chi si ha davanti senza dover fare ricorso a tabelle e specializzazioni le più varie? Non sono forse sempre esistiti, nella scuola, i casi speciali a cui si vorrebbe dare – non si sa bene come – una specie di tutela ulteriore?

Burocratizzazione continua

Mentre si va facendo sempre più alta, benché inascoltata, la voce che chiede una sburocratizzazione, ecco – in sintesi – che si vuole tassonomizzare un altro aspetto, da sempre esistito, della vita scolastica.
Vi è poi un problema più di fondo, o meglio più problemi di fondo, il primo dei quali è relativo alla domanda che sorge inevitabile: cos’è l’intelligenza? È davvero misurabile? I già citati test sembrano non dire poi molto, poiché il concetto stesso di intelligenza appare sfumato ed assai poco definibile, esistendo – tra l’altro – una pluralità di forme d’intelligenza, alcune delle quali impossibili da misurare e quantificare, come quella psicologica, quella emotiva, quella relazionale e così via (si veda il bel saggio di U. Galimberti Il mito dell’intelligenza, in I miti del nostro tempo, ed. Feltrinelli). A quale, dunque, dare la prevalenza? E perché solo ad una?

L’altra questione attiene al concetto stesso di scuola: non è che a forza di suddividere gli alunni in categorie a sé stanti si perde uno dei sensi dello stare a scuola, ossia lo scambio, l’ascolto, lo stare tra diversi eppure tra simili? Non è questa una delle missioni principali della scuola da quando esiste? Che poi, va detto, soluzioni miracolose ai bisogni educativi speciali non esistono: l’alunno più dotato (con le sfumature di significato non secondarie di cui sopra) incorrerà talvolta in una certa noia, così come non mancheranno le situazioni in cui gli svantaggiati avranno difficoltà a seguire le lezioni: ma forse è anche all’accettazione di questi fatti come normali e consustanziali alla vita scolastica, alla – si passi – sdrammatizzazione di dinamiche sempre esistite che si dovrebbe guardare.

Credits: Foto di Austris Augusts su Unsplash

Geografia e superamento degli stereotipi

in Senza categoria by

La geografia è una delle discipline ideali per riflettere sugli stereotipi. Qualche attività pratica per impostare in classe discussioni utili al superamento degli stereotipi e ad ampliare i punti di vista

Insegno in una scuola secondaria di primo grado e in terza, quando ci approcciamo allo studio dei continenti, gli studenti sono molto interessati a conoscere meglio stati come Giappone, Usa o Australia.

Se chiedo loro quali parole associano a tali stati, le risposte solitamente vanno da “divertimento” a “manga”, da “sushi” a “hamburger”, da “ricchezza” a “tecnologia”.

Se chiedo, invece, cosa associano agli stati africani – riconosciuti, perlopiù, come unico grande continente senza distinguerne i territori – le risposte diventano “fame”, “povertà”, “guerre”, “caldo”, fino a  “immigrati” e “terrorismo islamico”.

Come si può notare, molte di queste risposte derivano da veri e propri STEREOTIPI.

I ragazzi non esprimono concetti del tutto sbagliati, ma rappresentano la realtà in modo limitato e racchiudono un intero territorio all’interno di immagini a loro più note.

Nessuno di loro è stato in Africa, e neppure negli altri paesi nominati, però piacciono Giappone, Usa e Australia perché associati a situazioni di svago, benessere e, fondamentalmente, identificati con i rassicuranti standard del mondo occidentale.

Questo può rappresentare un ottimo punto di partenza per riflettere su come superare un certo tipo di immaginario basato su STEREOTIPI, su come ampliare i propri PUNTI DI VISTA e su come accogliere ciò che appare lontano, diverso e poco conosciuto.

Osservare i diversi planisferi

Dal libro Raccontare la geografia della Erickson possiamo ricavare spunti di discussione molto interessanti. Una prima attività può riguardare la presentazione dei differenti continenti attraverso dei planisferi che  pongano gli osservatori in posizione centrale rispetto ai luoghi in cui vivono.

“questo è il planisfero di una scuola in EUROPA”

“questo di una scuola in ASIA”

“Questo di una scuola in AMERICA DEL NORD”

“Questo in una scuola in SUDAFRICA”

Osservando le reazioni dei ragazzi e discutendo su ciò che più li colpisce, si rende evidente, accanto a  sbigottimento e incredulità, la messa in discussione delle iniziali certezze.

La nostra Europa appare piccola e lontana rispetto al punto di osservazione, in qualche caso addirittura capovolta.

I ragionamenti dimostrano che la rappresentazione del mondo è semplicemente organizzata dal nostro sguardo: noi ci poniamo istintivamente al centro della visione, ma nella realtà non lo siamo affatto perché, proprio come una sfera (o una palla), è impossibile stabilire quale sia il centro. 

Lettura di brani e immagini

Dal libro Il pericolo di un’unica storia della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie possiamo leggere alcune passi che fanno riflettere molto bene su stereotipi e inesattezza di posizioni univoche:

“Il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in un’unica storia […] Mi irrito  quando ci si riferisce all’Africa come ad un unico paese, ma se tutto quello che avessi saputo dell’Africa mi fosse arrivato da immagini popolari, avrei pensato anch’io all’Africa come a un luogo di splendidi paesaggi, bellissimi animali e persone incomprensibili che combattono guerre insensate, che muoiono di povertà e Aids, incapaci di far sentire la propria voce, in attesa di venire salvati da uno straniero bianco e gentile. Questa unica storia dell’Africa penso che derivi, in definitiva, dalla letteratura occidentale”

Dall’osservazione di questa carta sugli stereotipi del mondo, possiamo notare come l’intero continente africano venga quasi esclusivamente rappresentato con un’unica immagine stereotipata

Osservando anche queste foto, possiamo vedere come dei ragazzi che appartengono all’Associazione studenti africani dell’Itacha College di New York esibiscano messaggi precisi sul loro paese d’origine: 

L’Africa non è un paese

non parlo africano perché l’africano non è una lingua

La domanda su cui far riflettere sarà questa: che significato dare a ciò che abbiamo letto e osservato?

La discussione suscita un certo interesse e ciò che ne emerge è la consapevolezza di quanto sia (e sia stato) facile parlare per stereotipi e raccontare storie incomplete e mettere in evidenza solo una parte della realtà, trascurando moltissimi altri aspetti. 

Ed è proprio sull’importanza delle singole storie che si può incanalare tutto ciò di cui abbiamo discusso.

Dice ancora Chimamanda Ngozi Adichie:

Le storie sono importanti. Molte storie sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e per diffamare. Ma le storie si possono usare anche per dare forza e umanizzare. Le storie  possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata.

Ed è proprio il riconoscimento della dignità di tutte le storie, dovuto al superamento di inutili stereotipi, la finalità di questo nostro lavoro.

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Foto copertina di Ali Kazal su Unsplash

10 film sugli insegnanti da non perdere

in Arte, Musica e Spettacolo by
La storia del cinema è ricca di bizzarre figure educatrici, insegnanti, personaggi strampalati o spietati, vittime spesso dei loro alunni. Ma il cinema ogni tanto regala anche al grande schermo dei grandi personaggi.

Insegnanti che si interrogano sulla funzione della scuola e del suo ruolo nella società, si domandano cosa fare del potere e della libertà (spesso poca) di cui godono. Abbiamo quindi selezionato per voi un piccola lista di 10 film sugli insegnanti da non perdere.

Ecco allora i nostri suggerimenti, in ordine sparso:

– La classe (2008) diretto da Laurent Cantet, vincitore della Palma d’oro a Cannes, film nel quale emergono delle questioni fondamentali dell’universo scuola. Integrazione, differenze generazionali, rapporti fra autorità e autorevolezza. Uno sguardo sulla scuola basato sul romanzo autobiografico di un professore di francese in una scuola di periferia. A rafforzare la pellicola ci sono delle riprese svolte durante vere lezioni dell’anno accademico dove il protagonista cerca senza troppo successo di ingaggiare i suoi studenti.

– Will Hunting – Genio ribelle (1997) in questo film di Gus Van Sant, il grande Robin Williams interpreta il Dr. Sean Maguire. Non un insegnante vero e proprio ma un uomo che riesce a tirare fuori il talento e sopratutto la fiducia in se stesso (non è forse una delle caratteristiche più importanti per un educatore?) del protagonista interpretato da Matt Damon. Si crea un rapporto mentor –allievo che porterà entrambi ad accettare le proprie capacità. Piccola curiosità. il film è dedicato alla memoria del poeta Allen Ginsberg e dello scrittore William S. Burroughs.

– Billy Elliot (2000) film di Stephen Daldry ambientato durante lo sciopero dei minatori inglesi del 1984 durante il governo di Margaret Thatcher. Billy, un ragazzino di 11 anni, sogna di diventare un ballerino classico, ma si scontra con il padre e lo zio, entrambi minatori che vorrebbero farlo diventare un pugile. Grazie all’aiuto della sua insegnante, la signora Wilkinson ha finalmente qualcuno che lotta dalla sua parte.

– La scuola (1995) film di Daniele Lucchetti, tratto da due libri di Domenico Starnone (Ex Cattedra, Sottobanco), La scuola è un film che rischia di sfiorare la macchietta, ma riesce ad affrontare problemi veri della scuola come mancanza di incentivazioni, superficialità, e professori non adeguatamente assistiti e supportati. Tra i personaggi spicca il professor Vivaldi: empatico, preoccupato per i propri allievi, ma anche più duro con gli studenti privilegiati e i classici secchioni. Si rimane con un sorriso amaro in bocca ma soddisfatti per aver visto un bel film.

– School of Rock (2003) un po’ anticonvenzionale eppure efficace. Jack Black nei panni di Dewy Finn interpreta un musicista che si trova per caso a insegnare musica ai bambini di una scuola privata. Una divertente commedia che fa però riflettere sull’importanza dell’apertura mentale quando si parla di educazione e scuola.

insegnante musica film

– L’attimo fuggente (1989) un grande classico da rivedere. Ancora Robin Williams in uno dei film più famosi sulla scuola. Il suo John Keating ama così tanto la poesia e il suo lavoro da non riuscire a rimanere con i piedi per terra. la scena in cui invita i suoi allievi a salire sui banchi e a strappare dei libri è memorabile.

– Caterina va in città (2003) l‘incipit è semplice, Caterina è una tredicenne figlia di un professore di filosofia fallito che lascia la provincia e si trasferisce a scuola a Roma. Questo pretesto serve a Virzì per affrontare il vuoto di valori di una gioventù che non sa più a cosa guardare, anche perché nemmeno i genitori offrono più certezze.

– La bicicletta verde (2012) è un film diretto da Haifaa Al-Mansour. Ambientato in Arabia Saudita, in una scuola femminile dove la protagonista è costretta a combattere per la propria libertà. La bicicletta verde che vuole comprare è il simbolo di un’emancipazione difficile contro un sistema oppressivo e limitante.

– Detachment – Il Distacco (2011) film di Tony Kaye incentrato sul dramma della scuola pubblica americana, ma non è solo questo. Henry Barthes è un supplente di letteratura in un istituto superiore in crisi. Gli studenti hanno risultati bassi, sono arrabbiati e incombe la privatizzazione. Henry riesce a superare le barriere con i suoi difficili studenti, ma ci saranno conseguenza inaspettate.

– Word and Pictures (2013) lui ama la letteratura, l’insegnamento e l’alcol. Ma da anni scrive meno e beve di più mettendo anche a rischio il suo posto di lavoro. Lei è l’ultima arrivata, artista confinata dietro alla cattedra dall’artrite reumatoide che le rende sempre più difficili i movimenti. Lui idolatra le parole, lei le immagini. Entrambi “tentano di insegnare nell’era dei morti viventi” a “giovani menti soffocate dai computer e dai centri commerciali”.

La teatralizzazione a scuola come supporto alle lezioni

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
La teatralizzazione a scuola può venire in soccorso degli insegnanti, permettendo agli studenti di appassionarsi alle lezioni e superare il “muro” con le materie.

Chi ogni mattina affronta il lavoro in classe si trova di fronte un ostacolo che pare insormontabile: come superare quel muro che separa dagli alunni? Che separa gli alunni dai contenuti che l’insegnante si trova a proporre e che non necessariamente incontrano il favore e l’attenzione degli alunni.

Sì perché la narrazione prevalente (o pericolosamente strisciante) in merito alla didattica vuole (impone?) che si vada incontro ai gusti e alle tendenze degli studenti. Ad esempio, liofilizzando i contenuti, spalmandoli in forme più attraenti, in modo da suscitare il tanto sospirato interesse e, di grazia, un po’ di partecipazione.

Narrazione pericolosa, a mio avviso, perché appiattisce il ruolo di docente, riducendolo a erogatore di un servizio che deve piacere. Invece una delle funzioni della scuola, dovrebbe essere quella di svegliare le parti assopite dell’alunno. I gusti, gli orizzonti e le aperture che a volte giacciono un po’ sepolte. E che con lo sforzo e col tempo – della scuola, appunto – possono riemergere (educere, appunto: tirar fuori da). Un tipo di narrazione sempre più vincente, purtroppo, anche a causa della competizione tra scuole e tra i docenti stessi. Le prime costrette alla corsa ai nuovi iscritti e i secondi chiamati a competere per aggiudicarsi il famoso bonus premiale; le une e gli altri, comunque, chiamati a “conquistare” il mercato, ovvero gli studenti.

Come superare allora quel muro di alterità tra gli studenti e le materie?

Basta guardare negli occhi uno studente per chiedersi: come potrà questo ragazzino dagli occhi assonnati, e che riflettono ancora le ore passate allo smartphone o a giocare a Fortnite, seguire una lezione sulla Guerra dei Trent’anni (che – chissà perché – rappresenta la noia per antonomasia: forse saranno le sue troppe fasi: danese, svedese, ecc.)?

Come potrà un alunno da cui mi separano decenni seguire le mie parole e i contenuti che – bene o male – esse cercano di rappresentare? Più passa il tempo e più mi faccio queste domande. Forse perché il tempo che passa spinge gli uomini (e anche gli insegnanti) a riflettere, a non dare nulla per scontato. Ciò che ha rappresentato una fonte di curiosità e di interesse, finanche passione, per me, non necessariamente potrà esserlo per uno studente di oggi. Studente da cui mi separano – ahimè – decenni e troppi cambiamenti socio-culturali, non sempre positivi. Un cumulo di pregiudizio e di stratificazione socioculturale, insomma, che alla parola scuola risponde: noia, noia, noia. Che fare?

Una risposta per me è stata la teatralizzazione: far rappresentare agli alunni le scene e le situazioni oggetto della spiegazione o della lettura.

Quella della teatralizzazione è stata una risposta istintiva, per me, forse nata da mie precedenti esperienze nel campo, che ha sempre riscontrato un grande interesse. Chiamare gli studenti a teatralizzare, a mettere in scena in forma sintetica e semplificata, ciò di cui si è solo parlato, permette di passare in una certa misura al vissuto, all’esperito e, forse, di superare quel muro.

Di far percepire, per esempio per quanto riguarda la Storia, che altre epoche, altre mentalità, altre abitudini sono esistite davvero e che il nostro, o il loro, non è l’unico né sarà l’ultimo. O che tante storie di cui parlano i testi letterari sono anche le nostre storie, quelle di persone che – come Lancillotto sul ponte della spada – si trovano di fronte a una paura irreale, fantasmatica (due leoni che l’attenderebbero passato il ponte), che sparisce se si ha il coraggio, come fa Lancillotto, di attraversare quel ponte e di constatare, poi, che i leoni non esistevano.

Nel vederli rappresentare quelle piccole scene, nelle mani alzate che fanno a gara per partecipare, mi pare a volte di avere visto occhi meno spenti e, forse, meno annoiati. Meno al di là del muro.

Non che tutto ciò non esponga a rischi e pericoli: nella teatralizzazione della defenestrazione di Praga (la solita, noiosissima, Guerra dei Trent’anni!) mi sono trovato di fronte alla spiacevole intenzione manifestata da un alunno, momentaneamente boemo e protestante, di buttare dalla finestra un suo compagno, altrettanto momentaneamente cattolicissimo rappresentante dell’impero. Ma basta stare attenti alle finestre, e riderci su, tutti insieme, come feci con i miei studenti anche in quell’occasione.

Attività didattica da scaricare n°19: “Immedesimarsi negli animali”

in Attività di classe by

Allenare la fantasia con una divertente attività da fare in classe prendendo spunti dai nostri amici a 4 zampe

Gli animali vedono, sentono e “pensano” diverberamene rispetto a noi e per questo non ci sarà mai possibile capire davvero fino in fondo cosa passa per la loro testa, però possiamo provare a immaginare il mondo dal loro punto di vista, per allenare la nostra fantasia!

Per farlo quale modo migliore che partire dalle favole…

A tal proposito vi proponiamo una divertente e piacevole attività da proporre alla vostra classe e incentivare i bambini a stimolare la fantasia.

Scarica il pdf gratuitamente da seguire come guida!

CLICCA SUL PULSANTE E SCARICA GRATUITAMENTE L’ATTIVITA’ DIDATTICA!

A questa pagina troverai altre attività didattiche su differenti argomenti, pronte per essere scaricate e utilizzate in classe.

Foto di copertina by Leo Rivas on Unsplash

La scuola della rivoluzione digitale, STEM e astronomia 

in Redazione/Scuola by

Tanti nuovi progetti per una nuova didattica scientifica

Nuovi progetti di didattica digitale, STEM, Astronomia, alcune strategie per gestire AHDH e l’apprendimento e le date per il nuovo concorso scuola MIM.

“Alla ricerca del tempo perduto, spunti per una nuova narrazione educativa”, Bologna 23-24 febbraio.

Al seminario internazionale interverranno 15 relatori provenienti da tre continenti, che illustreranno uno spaccato della riflessione attuale sulla scuola, investita in pieno dalla “quarta rivoluzione” – di tecnologie digitali e Intelligenza Artificiale – e offriranno spunti per ridisegnarne la missione, dalla prospettiva degli insegnanti, degli studenti e del sapere.

STEM, robe da maschi? In alcuni Paesi le ragazze sono più brave!

Ma come siamo messi in Italia con il divario di genere nella cultura scientifica?

Scuola estiva di astronomia per gli studenti.

“A scuola di Stelle” per la preparazione e la partecipazione ai Campionati di Astronomia.

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/xiii-edizione-scuola-estiva-di-astronomia-per-gli-studenti

Concorso scuola 2024, ecco le date delle prove scritte.

A partire da lunedì 11 marzo le prove scritte dei concorsi ordinari per l’assunzione in ruolo dei docenti su posto comune e su posto di sostegno nella scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di I e II grado.

https://www.orizzontescuola.it/concorso-scuola-2024-prove-dall11-marzo-infanzia-e-primaria-dal-13-per-scuola-secondaria-coinvolti-oltre-370mila-candidati/?fbclid=IwAR0P-g-PvyA7jgoxxF1dvC1rlf4ayKWEfh17biL5Gafqu0e27FLnBcTbQSI

ADHD: 8 strategie didattiche per aiutare l’apprendimento

Una psicologa specializzata in DSA ha stilato una lista di consigli pratici e accorgimenti per aiutare gli studenti con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività a concentrarsi e a far sì che lo studio risulti più piacevole ed efficace. 

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Foto di copertina by Jeswin Thomas su Unsplash

Gli oggetti e la storia

in Attività di classe by

Perché utilizzare gli oggetti per studiare la storia? Perché la rendono più interessante e più viva. Vediamo qualche attività didattica che può utilizzarli al meglio.

Gli oggetti rappresentano uno strumento molto interessante per conoscere la storia e renderla più viva e attuale.

Possono aiutarci a interpretare meglio epoche e tradizioni e aprono a ottiche interdisciplinari motivanti e  ricche di stimoli.

Il libro di Antonio Brusa Fare storia con gli oggetti fornisce numerose informazioni teorico-pratiche e delinea nel dettaglio iniziative da proporre direttamente in aula, quindi la lettura è altamente consigliata.

Gli oggetti sono  fonti inestimabili per la comprensione del passato e possono fornirci numerose informazioni e occasioni di apprendimento, quindi possono essere considerati a tutti gli effetti ottimi strumenti da poter utilizzare con efficacia all’interno della didattica (A. Brusa)

In Italia l’approccio all’apprendimento come ricerca fu praticato, negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, da gruppi spontanei che facevano capo a insegnanti-ricercatori del calibro di Bruno Ciari e Mario Lodi e, in merito alla didattica dell’oggetto nella scuola primaria e dell’infanzia, il contributo fornito da Bruno Munari è stato straordinario.

Ma fu Maria Montessori a gettare le basi di una “didattica dell’oggetto”, visto che è stata la prima ad affermare che “gli oggetti insegnano”. Ella riteneva che ci fosse una relazione sensoriale tra bambini e oggetti che conduceva a un apprendimento ludico e pensava che l’uso degli oggetti aiutasse a coltivare i sensi, a sviluppare e correggere gli errori.

Anche Ovide Decroly ha contribuito alla formulazione della didattica degli oggetti con il suo metodo dei “centri di interesse”. Secondo lui ci sono tre tipi di esercizi fondamentali nella didattica: osservazione, associazione ed espressione. In ognuna di essi gli oggetti sono fondamentali: si osservano, si stabiliscono associazioni causa/effetto o spazio/tempo e permettono di comunicare ciò che viene appreso. Sono, insomma, il materiale principale per l’apprendimento dei bambini

Basi della didattica dell’oggetto

  • gli oggetti possono essere osservati da ogni angolo possibile
  • attirano facilmente l’attenzione degli studenti
  • permettono di insegnare adoperando il metodo ipotetico-deduttivo e induttivo
  • costituiscono una grande risorsa per l’immaginazione
  • funzionano come supporti mentali e aiutano la memorizzazione

Da non trascurare un fatto molto semplice quanto basilare: il fatto che gli oggetti siano elementi reali è fondamentale in un’epoca nella quale la virtualità, e tutto ciò che da essa deriva, sia di fatto diventata fenomeno dominante.

Fasi di lavoro per analisi didattica dell’oggetto

Il professor Brusa indica testualmente le seguenti tappe di lavoro per una efficace didattica dell’oggetto:

  • oggetto dell’analisi: si identifica l’oggetto, lo si descrive brevemente
  • obiettivo del lavoro: si stabilisce cosa vogliamo ottenere
  • preparazione dell’attività: dettagliare con precisione le fasi preparatorie, far capire come si interrogano gli oggetti
  • sviluppo dell’attività: si individuano la sequenza di operazioni e i suoi contenuti concettuali o procedurali
  • cosa ricaviamo dall’attività?: formuliamo conclusioni e le colleghiamo alla tematica generale della storia. Possono essere aggiunti collegamenti con altre discipline curricolari

Due tipi di domande fondamentali

Queste le domande fondamentali, sia di natura strutturale che funzionale, su cui far ruotare l’attività centralizzata sull’oggetto:

  • domande strutturali: di che cosa è fatto? Che cosa serve per fabbricarlo? Chi lo fabbrica? Da dove vengono le materie?
  • domande funzionali: a che cosa serve? Chi lo usa? Per quale scopo lo usa?

A ogni domanda corrisponderà un’inferenza: se c’è questo … allora …

Applicazione didattica pratica: lo smartphone

Vediamo l’applicazione pratica di quanto illustrato da Brusa in riferimento ad un oggetto che può condurre ad uno studio della storia vicina ai nostri giorni e soprattutto al vissuto dei nostri studenti: lo smartphone.

Oggetto: oggetto quotidiano che la maggior parte delle persone porta con sé e usa abitualmente. È un dispositivo che combina la funzione del telefono con quella del pc portatile.

Obiettivo dell’attività: comprendere come ha potuto mutare profondamente e rapidamente la vita delle persone e capire che ogni cambiamento di questo tenore porta con sé miglioramento della qualità di vita, ma anche rischi dipendenti dall’uso che se ne fa.

Preparazione dell’attività: iniziare con una discussione sull’uso degli smartphone, far immaginare come potrebbe svolgersi una giornata senza questo strumento.

Sviluppo dell’attività: può esser fatto in vari modi. Ad esempio chiedere in famiglia di far vedere vecchi modelli di telefonino. Si scopriranno variazioni di grandezza, di funzione, di estetica. Si può discutere sulle innovazioni dei diversi modelli, sulle funzioni che man mano incorporano e aggiungono all’azione di telefonare. È poi importante verificare le principali materie prime con le quali si fabbricano i suoi componenti. Le più importanti sono oro, stagno, tungsteno, tantalio, rame, gallio, indo, alluminio, argento, silicio. Litio, coltan, nichel e grafene. Se si assegna una materia prima a ciascun allievo, chiedendogli di cercarne la provenienza, la grande varietà dei luoghi che si scopriranno mostrerà facilmente che questi apparecchi si possono produrre solo in un mondo globale: quasi nessun paese dispone dell’intera gamma delle materie prime. È inoltre importante cercare le principali marche, la loro localizzazione, il loro posto nella classifica delle vendite. Questa ricerca può suscitare il dibattito su chi controlla questa tecnologia. Infine si può riflettere sul fatto che, per esempio, quando si introduce un nuovo macchinario in un’azienda si allestiscono corsi di formazione per coloro che lo dovranno usare. Al contrario, per usare questo strumento così potente, ma anche rischioso, gli umani non ritengono necessaria alcuna forma di apprendimento sulle regole del suo utilizzo.

Quali considerazioni ricaviamo da questa attività? Queste macchine costituiscono uno dei risultati più straordinari delle tecnologie odierne. Mai c’era stata la possibilità di comunicare in forma istantanea con tutto il mondo e ricevere informazioni illimitate. Grazie alla diffusione dei telefonini si è esteso l’uso di internet in tutto il mondo, specialmente nelle regioni scarsamente sviluppate dove sono assenti i computer domestici. Tuttavia queste facilitazioni ci hanno reso più vulnerabili, visto che reati informatici, truffe, cyberbullismo sono diventati frequenti. E sono diventate molto più facili perfino guerre e distruzioni di massa 

Ogni novità produce effetti negativi e positivi ed è questo che ci racconta la storia degli oggetti.

Ottimo, quindi, riconoscerne e  rilevarne tutte le potenzialità.

Foto di copertina by Syd Wachs su Unsplash

Febbraio, il mese ricco di eventi per le scuole italiane

in Redazione/Scuola by

Carnevale, gite e fiere della scuola: ecco gli eventi di Febbraio

Le scuole chiuse a Febbraio per il Carnevale, alcune proposte di gite educative per le classi e tutto su Didacta Italia, la fiera della scuola.

Fiera Didacta Italia, 320 eventi formativi tra workshop e seminari: aperte le iscrizioni!

Carnevale 2024, il 13 febbraio Martedì Grasso: le date delle vacanze per le scuole

https://www.orizzontescuola.it/carnevale-2024-il-13-martedi-grasso-ecco-le-date-delle-vacanze-per-le-scuole/

Turismo scolastico: segnaliamo alcune proposte di gita educativa per la classe

Cyberbullismo: un adolescente su quattro in Italia è coinvolto in episodi di bullismo online

Il cyberbullismo si sta rivelando un pericolo sempre più concreto ed è alimentato da un utilizzo sempre più intensivo del web da parte dei giovani.

https://www.orizzontescuola.it/un-adolescente-su-quattro-in-italia-tra-gli-11-e-i-17-anni-e-coinvolto-in-episodi-di-bullismo-online/

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Foto di copertina by Llanydd Lloyd su Unsplash

Potenziare l’autostima attraverso l’educazione: Un Approccio Pedagogico

in Approcci Educativi/Attività di classe by

Ecco alcune strategie pedagogiche pensate per sviluppare l’autostima negli studenti attraverso esempi pratici e laboratoriali

L'autostima è un elemento cruciale nello sviluppo di un individuo e gioca un ruolo fondamentale nel determinare future attitudini personali e poi professionali. Nell'ambito educativo, è compito dei pedagogisti promuovere un ambiente che favorisca la costruzione e il potenziamento dell'autostima negli studenti.

In questo articolo, esploreremo strategie pedagogiche mirate a sviluppare l’autostima con esempi pratici e laboratoriali.

Partiamo dalla definizione di Autostima come la percezione valutativa che un individuo ha di sé stesso, influenzando la sua fiducia nelle proprie capacità e il modo in cui affronta le sfide della vita. Da pedagogista affido molta importanza all’ ambiente di apprendimento che incoraggi la consapevolezza di sé e la fiducia nelle proprie capacità.

L’Origine dell’Autostima

L’autostima è l’immagine che ognuno ha di sé stesso ed è un elemento così importante da condizionare il modo in cui affrontiamo ogni momento della nostra vita. Come afferma Nathaniel Branden pioniere nel campo dell’autostima:

“il suo impatto non richiede né la nostra comprensione, né il nostro consenso. Si fa strada dentro di noi anche senza che lo avvertiamo. Siamo liberi di tentare di afferrarne le dinamiche come di rimanerne all’oscuro; in questo caso rimaniamo un mistero per noi stessi e finiamo sempre per subirne le conseguenze”.

L’autostima può essere alta perfino esagerata. Oppure bassa quasi inesistente. In quest’ultimo caso è possibile che in qualche momento della nostra infanzia, qualcuno a cui abbiamo voluto bene non abbia trovato le parole giuste per starci vicino.

Partendo dal presupposto che l’autostima si crea principalmente in famiglia e che affinchè un bambino cresca credendo in sé stesso è necessario che i genitori per primi credano in lui; vediamo insieme alcune strategie pedagogiche da mettere in atto a scuola per favorire l’autostima come arte di valorizzare sé stessi.

Costruzione di un ambiente positivo: Creare un clima positivo in classe è fondamentale per promuovere l’autostima. Quando i docenti incoraggiano il rispetto reciproco, la condivisione di idee e la collaborazione, ciò contribuisce a creare uno spazio in cui gli studenti si sentono accettati e valorizzati.

Valorizzazione delle abilità individuali: Ogni studente ha abilità uniche. Attraverso progetti individuali e attività personalizzate, i docenti possono valorizzare le competenze specifiche di ciascuno studente, consentendo loro di riconoscere e apprezzare le proprie capacità.

Feedback costruttivo: fornire feedback costruttivo è essenziale per sviluppare l’autostima degli studenti. È fondamentale non concentrarsi solo sugli errori ma evidenziare i punti di forza degli studenti e offrire suggerimenti per migliorare.

Esempi Pratici e Laboratoriali a scuola e in famiglia.

Ecco alcuni spunti pratici da poter utilizzare attraverso una didattica laboratoriale sia a scuola che a casa.:

Progetto di Auto-Scoperta: Gli studenti possono essere incoraggiati a tenere un diario di auto-riflessione, annotando i loro successi, sfide e obiettivi personali. Periodicamente, il docente può guidare discussioni in classe per condividere le esperienze e promuovere un senso di comunità.

Attività di Cooperazione: Organizzare attività di gruppo che richiedano la collaborazione può aiutare gli studenti a sviluppare la fiducia nelle proprie capacità sociali e contribuire al successo del gruppo. Questo tipo di attività promuove la consapevolezza di sé e degli altri.

Presentazioni Individuali: Chiedere agli studenti di preparare e presentare discorsi sulle proprie passioni o competenze speciali aiuta a sviluppare la fiducia nell’espressione di sé. I loro compagni di classe possono poi fornire feedback positivi, consolidando ulteriormente l’autostima.

Quattro domande magiche per aumentare l’autostima:

  1. Tu cosa ne pensi?
  2. Tu come la vedi?
  3. Sei d’accordo?

E poi questa domanda importantissima:

  • Cosa è importante per te?

Per concludere l’educazione ha un ruolo cruciale nello sviluppo dell’autostima degli individui. Attraverso un approccio pedagogico che promuove un ambiente positivo, valorizza le abilità individuali e fornisce riscontri costruttivi, i docenti e i genitori possono contribuire significativamente alla crescita personale dei bambini e dei ragazzi. Gli esempi pratici e laboratoriali proposti mirano a fornire strumenti concreti per implementare queste strategie in modo efficace, contribuendo così a formare individui sicuri e consapevoli delle proprie potenzialità.

Bibliografia:

  • “I sei pilastri dell’autostima” di Nathaniel Branden (Autore) , Maria Olivia Crosio (Traduttore) TEA, 2018
  • “L’Arte di Vivere Consapevolmente”, Nathaniel Branden, TEA edizione, 2008
  • “Il Giardino segreto: esploriamo l’autostima” di Marta Tropeano
  • “Manuale di etica universale per insegnanti e genitori” di V. Giacomin, Terra Nuova edizioni, 2019

Foto di copertina by Markus Spiske su Unsplash

Conto alla rovescia Maturità 2024 e tutte le novità della settimana

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Greco, matematica economia sono uscite le materie della maturità 2024

La Ministra francese dell’educazione si esprime su opportunità e benefici dell’educazione fisica a scuola. I gesti quotidiani che creano la cultura del risparmio energetico. I primi passi a scuola con Maria Montessori e gli ultimi preparativi in vista della prova di maturità 2024. Tutte le notizie della settimana in un articolo.

Materie maturità 2024, ecco tutte le discipline della seconda prova scritta.

Greco al Liceo classico; Matematica al Liceo scientifico; Economia Aziendale per gli Istituti tecnici del Settore economico indirizzo “Amministrazione, Finanza e Marketing”… scopri tutte le materie:

Ministra francese dell’Educazione a favore dell’Educazione fisica a scuola.

La ministra afferma testualmente che “aspira a una scuola attenta alla salute dei bambini, grazie all’azione quotidiana dei medici e infermieri scolastici, e alla loro condizione fisica garantita dal lavoro dei docenti di Educazione fisica e sportiva”.

M’illumino di Meno – 16 febbraio 2024 Giornata Nazionale del Risparmio Energetico

La data prescelta è quella del 16 febbraio, anniversario dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto nonché della prima edizione della campagna.

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/xx-giornata-nazionale-del-risparmio-energetico-m-illumino-di-meno-16-febbraio-2024

Metodo Montessori, valorizzare esperienza nella scuola dell’infanzia e primaria

A partire dall’anno scolastico 2025/2026, altre istituzioni scolastiche potranno richiedere l’attivazione di classi di scuola secondaria di primo grado basate sul metodo Montessori.

https://www.orizzontescuola.it/metodo-montessori-valorizzare-esperienza-nella-scuola-dellinfanzia-e-primaria-verso-albo-ad-hoc-per-i-docenti-emendamento-fdi/

Se ti sei perso le precedenti news sul mondo della scuola, recuperale qui!

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Siamo tutti dei narratori

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Conosciamo tutti la Pixar per i capolavori d’animazione come Toy Story, Wall-e, Inside Out, il laboratorio in collaborazione con Khan Academy permette di scoprire dietro le quinte su come sono stati realizzati e insieme insegna l’arte dello storytelling

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Progetto Lettura: 11 buoni motivi per realizzarlo a scuola

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Paola Zannoner ci racconta il Progetto Lettura: un percorso interdisciplinare che stimola la creatività, l’ascolto, la concentrazione e molte altre capacità dei bambini e dei ragazzi. Scopriamo cos’è e cosa occorre per realizzarlo!

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La migliore prof del mondo, i suoi studenti leggono quello che vogliono

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Nancie Atwell, famosa educatrice americana, che nel 2017 vinse il Global Teacher Prize, definito il premio Nobel della Scuola.

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Il tutor: una risorsa per docenti e discenti

in Scuola by

Una riflessione sulla complessità del ruolo del tutor, in particolare sul suo compito di “orientatore”, come introdotto dalle linee guida allegate al DM 328 del 22 dicembre 2022, che prevedono nei percorsi di istruzione secondaria di I e II grado ore aggiuntive specifiche per realizzare attività di orientamento per gli studenti.

La parola “tutor” (termine derivato dal latino “tueri”) compare in diversi contesti in cui si parla di scuola, sia con riferimento ai docenti sia ai discenti. Si tratta di un ruolo che viene attribuito, per formazione ed esperienza professionale, ad un soggetto cui viene – se così si può dire – “affidato” un altro soggetto al quale deve trasmettere le proprie competenze o in favore del quale è tenuto ad utilizzarle.

Nonostante la qualità dei suoi requisiti, il tutor non deve porsi come esperto, poiché non è “semplicemente” un formatore: il suo compito è, infatti, quello di instaurare una relazione in cui l’altro non sia posto in situazione di subalternità, ma venga accompagnato e valorizzato.

Per realizzare efficacemente il proprio mandato, il tutor deve assumere in sé anche il compito di “facilitatore”, ponendosi in atteggiamento di ascolto attivo, di “cura”, di sostegno, di “conduttore” verso una presa di coscienza di sé.

Un supervisione professionale

Nel percorso di formazione e di prova degli insegnanti neoassunti, tale figura assicura un  affiancamento durante tutto l’anno scolastico, con compiti di collaborazione e di supervisione professionale. Quest’ultima azione – come afferma Mario Comoglio – è finalizzata a:

consentire l’accertamento delle abilità fondamentali per l’espletamento dell’attività educativa, (…) fornire una risposta costruttiva ai singoli insegnanti, (…) riconoscere e rinforzare la pratica più efficace.

Nel contempo, all’interno del modello formativo proposto agli insegnanti in anno di formazione e prova, il tutor ha una funzione di garanzia dello svolgimento del programma previsto,  assicurando il collegamento tra la parte teorica della formazione e il lavoro didattico sul campo.

Nel linguaggio ministeriale (es..nota ministeriale n.30354 del 4 ottobre 2021)  il tutor viene qualificato anche come “mentor”, in particolare nei confronti “ di coloro che si affacciano per la prima volta all’insegnamento”.

Il ruolo della guida

Quest’ultima citazione ci porta ad assimilare le funzioni del tutor a quella del“mentore”, termine usato con il significato più ampio di “guida”. Ma cosa fa una guida?

Stimola l’altro a conoscersi – attraverso l’espressione di sé – in termini di limiti e potenzialità, nonché ad auto-valutarsi attraverso la riflessione sulla pratica, al fine di trovare la direzione di avvio e di prosecuzione del proprio Progetto di Vita.

Quest’ultimo riferimento conduce la nostra analisi ad un diverso ambito: ci riferiamo al ruolo di “tutor orientatore”, introdotto dalle linee guida allegate al DM 328 del 22 dicembre 2022, le quali hanno, nel  contempo, introdotto nei percorsi di istruzione secondaria di I e II grado 30 ore aggiuntive specifiche per realizzare attività di orientamento per gli studenti.

Riforma dell’orientamento scolastico

Prima di parlare di “novità” nella recente proposta ministeriale, sarebbe bene premettere che molte riforme scolastiche prendono avvio dalla rielaborazione di percorsi già disposti da norme precedenti, o da buone prassi già da tempo presenti nella quotidianità dell’esperienza formativa e didattica.

Cerchiamo, allora, di capire se “c’è del nuovo” in questa proposta ministeriale; per farlo, dobbiamo chiederci innanzitutto cosa intendiamo per “riforma dell’orientamento scolastico”.

Nelle suddette “Linee guida” emanate dal Ministro Valditara, al comma 3 dell’art.4. (Il valore educativo dell’orientamento) troviamo un’affermazione a mio avviso fondamentale:

L’orientamento inizia, sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, quale sostegno alla fiducia, all’autostima, all’impegno, alle motivazioni, al riconoscimento dei talenti e delle attitudini, favorendo anche il superamento delle difficoltà presenti nel processo di apprendimento.

In questa prospettiva, tutti i docenti devono saper orientare, svolgendo nei confronti degli alunni, poi studenti, il ruolo di “tutor-mentore”.

Non a caso, nei prossimi anni scolastici l’orientamento costituirà una priorità strategica della formazione dei docenti di tutti i gradi d’istruzione, nell’anno di prova e in servizio.

Insegnante come “costruttore di competenze”

In altre parole, ogni insegnante deve essere capace di far emergere le potenzialità di ciascun allievo, conducendolo a mantenere sempre uno sguardo rivolto al proprio futuro. Questo è possibile solo a condizione che l’insegnante abbia preso coscienza della propria identità professionale, che non si limita più al ruolo di trasmettitore (di contenuti/conoscenze) ma deve incarnare il modello di costruttore di competenze.

Di solito, quest’ultima funzione si realizza in modo più naturale e spontaneo nella scuola dell’infanzia, i cui docenti lavorano per unità di apprendimento progettate flessibilmente sulla base delle caratteristiche, delle esigenze e delle conoscenze dei bambini.

Negli altri ordini di scuola, purtroppo, l’attenzione alle discipline tende progressivamente a favorire  la passività del discente che, oltre a non rendere efficace l’apprendimento, non consente allo stesso di continuare nel proprio percorso di autoconoscenza in vista della realizzazione graduale del proprio progetto di vita.

Rinnovamento costante delle competenze

Tornando alla formazione iniziale dei docenti (ed estendendo l’istanza a quella in itinere), è fondamentale, quindi, operare per un rinnovamento delle competenze, che includa i nuovi modelli di apprendimento partecipativo e interdisciplinare.

Solo a queste ultime condizioni può realizzarsi un’azione efficace del ”tutor d’orientamento” nella gestione di particolari “momenti di transizione”, quali i passaggi tra diversi ordini e gradi scolastici e l’uscita da percorsi formativi.

La sua azione dovrebbe, infatti, innestarsi sull’evoluzione di attitudini, di interessi e di passioni già consapevolmente acquisite dallo studente nei precedenti contesti educativi, grazie  a tutti gli insegnanti che le hanno fatte emergere, favorendo la sua crescita scolastica e personale.

A queste condizioni è possibile, per il tutor, coordinare il processo e le attività che accompagnano gli studenti e le loro famiglie ad una scelta consapevole e ponderata, che valorizzi le potenzialità e i talenti  degli studenti.

In ogni caso, il tutor per l’orientamento  ha  un compito molto complesso, che richiede competenza nel  campo degli strumenti e delle tecniche per l’orientamento formativo e informativo.

Si auspica, pertanto, che risultino realmente efficaci, in tal senso, le iniziative formative specifiche che, secondo le Linee Guida, saranno organizzate da ciascun Ufficio Scolastico Regionale per i docenti tutor delle scuole secondarie di I e II grado.

Foto di copertina by Ivan Aleksic su Unsplash

Discutere e argomentare: sperimentiamo in classe il debate!

in Approcci Educativi/Attività di classe by

Il debate, metodologia di didattica attiva, consiste in un vero e proprio dibattito da preparare con cura, contraddistinto da regole, ruoli e tempi precisi.

Tra i metodi di didattica attiva e partecipativa, in cui lo studente non viene considerato semplice fruitore di contenuti trasmessi ma protagonista attivo del proprio apprendimento, il debate – dall’inglese “dibattito”/”discussione” – assume un ruolo di sicuro rilievo (ne avevamo accennato qui!).

Cosa si intende per debate

Il debate è una metodologia che consiste in un confronto tra due squadre di studenti che propongono le loro posizioni a favore o contro un argomento assegnato dal docente, argomentandole in maniera puntuale e circostanziata.

La scelta dell’argomento verrà diretta verso questioni divisive richiedenti argomentazioni da preparare con cura e competenza, così da apparire convincenti e persuasive.

Origini del debate

Il debate è una disciplina curricolare oggi utilizzata con regolarità nei college e nelle università statunitensi e inglesi, ma la sua origine risale a tempi lontani e va ricondotta all’epoca classica.

L’arte di argomentare in pubblico, praticata nell’antica Grecia specie a seguito dell’affermazione della democrazia ateniese, venne portata a sistema in epoca romana attraverso le scuole di retorica e, di seguito, trovo continuazione attraverso le discipline del trivio impartite nei curricoli scolastici medievali.

Proprio la grammatica, la retorica e la dialettica, infatti, possono venir considerate le basi delle moderne abilità espressive, linguistiche e riflessive, fondamentali per la conduzione di dibattiti significativi ed efficaci.

Prepararsi al debate

In base all’argomento scelto, viene dato avvio a un debate, cioè a un dibattito non spontaneo, ma contraddistinto da regole, ruoli e tempi di conduzione precisi.

Tali caratteristiche richiedono una preparazione attenta e ponderata, capace di mettere in azione competenze logico-critiche e linguistiche fondamentali per la crescita e lo sviluppo della persona.

Gli studenti devono costruire le loro argomentazioni a favore o contro l’argomento assegnato in base non a semplici opinioni personali, bensì basandosi su documentazioni autorevoli criticamente rielaborate a fini argomentativi e persuasivi.

Fasi di svolgimento del debate

Queste sono le fasi di lavoro da considerare come promemoria per il docente intenzionato a sperimentare il debate in classe:

  • stabilire le discipline coinvolte, mantenendo un’ottica il più possibile interdisciplinare;
  • individuare l’argomento su cui impostare il confronto (topic), prevedendo una tematica il più possibile coinvolgente ed inclusiva;
  • suddividere gli studenti in gruppi, tenendo conto dei ruoli utili alla conduzione del dibattito: il gruppo con posizioni a favore del topic, il gruppo con posizioni contro rispetto al topic ed, eventualmente, un gruppo incaricato di svolgere le funzioni della giuria;
  • facilitare il lavoro degli studenti per la preparazioni delle argomentazioni e delle controargomentazioni, da svolgersi prevalentemente in aula;
  • supportare l’attività laboratoriale di ricerca online, da eseguire sia in aula che come consegna a casa, utile ad elaborare le argomentazioni e le controargomentazioni da presentare in aula. Lla raccolta di fonti e informazioni può essere più o meno guidata a seconda dell’età degli studenti e del contesto della singola classe;
  • monitorare l’effettiva preparazione delle argomentazioni e controargomentazioni da sostenere;
  • moderare (o guidare in caso di studenti ancora piccoli) il dibattito vero e proprio, ossia l’esposizione delle tesi a favore o contro il topic assegnato: eseguire sintesi periodiche, permettere l’equilibrio degli interventi, garantire il rispetto dei tempi;
  • stimolare la riflessione sulla valutazione e autovalutazione degli interventi attraverso rubriche dai criteri chiari e condivisi.

Durante le fasi di ricerca delle fonti, l’uso delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) è da ritenersi indispensabile, mentre durante l’esposizione delle tesi non consentire l’uso di strumentazioni tecnologici permette una miglior interiorizzazione delle informazioni, oltre ad un potenziamento delle abilità linguistiche ed espressive.

Competenze messe in atto con il debate

Il debate permette in primo luogo agli studenti di sviluppare l’abilità di saper parlare in pubblico, competenza spendibile sia in ambito scolastico che extrascolastico e tesa a migliorare la propria consapevolezza culturale e la propria autostima.

Ma sono molte altre le competenze, sia di base che trasversali, che vengono messe in atto nel corso della preparazione e dello svolgimento del debate:

  • gli studenti ricercano e selezionano le fonti online con la finalità di formarsi un’opinione, comprendendo la necessità che essa risulti fondata e giustificata;
  • la mente viene allenata all’ascolto e alla considerazione di opinioni e punti di vista diversi dai propri, a tutto vantaggio delle competenze sociali e relazionali;
  • sostenere un dibattito e formulare argomentazioni sviluppano le competenze logiche, critiche e rielaborative, oltre che quelle più propriamente espositive, attraverso le quali il linguaggio viene usato in modo intelligente e creativo;
  • l’uso creativo del linguaggio riguarda tutti i canoni della comunicazione, compresi quelli della comunicazione digitale

Il docente che intende progettare e sperimentare il debate in classe lavora per favorire l’acquisizione di competenze e abilità tese a facilitare le condizioni utili ad affrontare le sfide in situazioni problematiche sempre più fluide, complesse e interconnesse.

Perché favorire l’uso del debate in classe

La risposta la forniscono gli esperti di Avanguardie Educative, movimento incentrato sull’innovazione didattica voluto da Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa):

  • per sperimentare metodologie innovative di rappresentazione della conoscenza;
  • per superare la logica dello studio inteso come mero apprendimento mnemonico di testi scritti da  altri;
  • per favorire l’approccio dialettico e dialogico;
  • per favorire la pratica di un uso critico del pensiero;
  • per incentivare il lavoro di gruppo;
  • per sostenere l’integrazione degli strumenti digitali con quelli tradizionali;
  • per contestualizzare i contenuti della formazione alla società civile.

Come ha affermato nel 2012 il segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki-Moon «l’educazione deve assumere pienamente il suo ruolo centrale nell’aiutare le persone a creare una società più giusta, pacifica, tollerante e inclusiva. Si devono promuovere nelle persone la comprensione, le competenze e i valori di cui hanno bisogno per cooperare nella risoluzione delle sfide globali del XXI secolo». Favorire l’uso del debate significa contribuire a portare avanti questa sfida.

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Una riflessione sul ruolo dei dirigenti scolastici

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Non è raro imbattersi in commenti negativi o addirittura offensivi ai danni dei dirigenti scolastici. Ma se da un lato soddisfare le esigenze dell’intero corpo insegnante è molto difficile, dall’altro non dobbiamo cadere nella facile generalizzazione.

In passato era già stato affrontato, su OcchioVolante, il tema dei dirigenti scolastici (lo trovate qui). Torno però volentieri sull’argomento, dal momento che sui social non è raro imbattersi in commenti di insegnanti che si scagliano contro i dirigenti scolastici. Ad esempio, recentemente, mi sono imbattuto in questo:

Salvo rarissime eccezioni, i dirigenti scolastici sono dei pazzi esaltati. Il loro ruolo andrebbe ridimensionato di molto.

Bisogna riflettere su questo genere di aggressività che, naturalmente, in qualche caso può anche essere stata generata da inneschi meschini. Questo perché i dirigenti scolastici e le dirigenti scolastiche italiane sono poco più di ottomila e pensare che siano tutti perfettamente adeguati è aspettativa statisticamente piuttosto ingenua.

È utile ricordare che tutti i presidi sono stati insegnanti. Ma è pensabile che siano così tanti quelli criticabili in questo modo?

È difficile che sia così, ma si tratta di un fenomeno che si spiega facilmente. Ogni dirigente scolastico è sottoposto alla critica di un intero collegio dei docenti (oltre che di quello del personale ATA, degli studenti e delle studentesse e delle famiglie). È ovviamente impossibile soddisfare le aspettative (e in qualche caso gli interessi) dell’intero corpo insegnante ed ecco che, se anche una percentuale esigua di questo è in significativo disaccordo con il dirigente scolastico, si manifesta sul campo un confronto pubblico tanto vivace quanto impari sul fronte del numero delle forze retoriche che si affrontano (ad esempio in rete).

Un cinque per cento di docenti in disaccordo con la dirigenza, quale che sia l’origine del disaccordo, produce una proporzione di otto contro uno. Quantitativamente Golia contro Davide.

Esiste poi un fenomeno curioso, specie nel mondo della scuola. Coesiste nell’insegnante una doppia natura. Quella del professionista riflessivo che gode di quella che è nota come “libertà di insegnamento” e quella del dipendente. Parimenti nel dirigente scolastico c’è una doppia natura. Quella del coordinatore didattico impegnato nel dare un’impronta unitaria e omogenea alla scuola e quella del “capo ufficio”.

Non di rado ci sono scontri incrociati tra questi diversi piani. Ci può quindi essere un confronto causato da una diversa vision sulla politica della scuola, nella quale il confronto è sostanzialmente tra il collegio dei docenti e il dirigente scolastico; oppure, ci può essere uno scontro tra un docente inadempiente sul piano dei doveri del dipendente che, tuttavia, quasi inevitabilmente si trasformano in ritorsioni contro il dirigente nel dibattito interno alla scuola.

La tutela della riservatezza

Un esempio classico è quello del docente che ha subìto un procedimento disciplinare, diciamo ad esempio perché “ritardatario cronico”. In collegio, questi sistematicamente gioca un ruolo contrastivo non già per convincimento didattico o tecnico o finanche politico, ma per evidenti motivi di tipo emotivo.

In questo caso si tratta di una umana interferenza tra i diversi aspetti dei reciproci ruoli che tuttavia produce una distorsione. Il dirigente scolastico è tenuto alla tutela della riservatezza e non può svelare questo elemento che, non di rado, è la vera causa delle infinite polemiche fomentate da qualcuno.

Ci sono poi elementi che pongono il dirigente scolastico contro alcune aspettative, anche consolidate, dell’intero collegio, ma che sono legate a norme di legge. Pur esplicitando queste norme, non tutti hanno l’onestà intellettuale di accettare le cose per quelle che sono. L’obiezione più frequente in questi casi è la seguente:


Nella scuola tale, si fa in questo modo.

Per quanto esposto, evidentemente, in quella scuola c’è un dirigente scolastico che si espone alle critiche del proprio direttore generale o che ritiene più utile glissare sulla norma per non affrontare un organo collegiale che evidentemente disistima non ritenendolo abbastanza professionale. Tuttavia, di questa timidezza, potrebbe doverne rispondere in sedi diverse da quella del Collegio dei Docenti.

La differenza di vision

L’elemento più gravoso da gestire del fenomeno, tuttavia, è legato alla differenza di vision che si può manifestare tra il dirigente scolastico e il collegio dei docenti; ma anche il bilanciamento dei poteri, non sempre del tutto chiaro, giacché, formalmente, al dirigente è imputato il ruolo organizzativo, mentre il collegio ha potestà nella progettazione didattica.

La discrezionalità tecnica

Quella che si chiama “discrezionalità tecnica” assegnata al collegio dei docenti dalla vigente normativa, tuttavia dovrebbe muoversi entro il binario della professionalità e quando così non è (ad esempio per risibili motivazioni), non è chiaro ad alcuno quale potrebbe essere il risultato di un diniego ad ottemperare da parte del dirigente giacché oltre alla Legge c’è anche la giurisprudenza e la magistratura che si esprime anche in maniera differenziata.

Ovviamente è una mera illusione che un organismo di più di cento persone possa manifestare una conoscenza completa dei documenti di cui bisogna tenere conto per un parere informato, ma gli organi collegiali sono ancora quelli degli anni settanta giacché il testo unico della scuola, pur essendo del 1994, riporta il testo dei vecchi “decreti delegati” con un copia e incolla.

Il ruolo del collegio dei docenti

Il ruolo del collegio dei docenti, in teoria, sarebbe tecnico, si diceva. Deve infatti decidere di didattica, ma la sua veste plenaria rende di fatto impossibile una discussione di tipo argomentativo in quanto al termine dell’ostensione degli elementi necessari per prendere decisioni informate si può fare spallucce e votare in maniera incoerente con quanto appena enunciato.

Nel mestiere di un dirigente scolastico, molto spesso le decisioni sono obbligate, ma un organismo collegiale fatica a capire che la collegialità non dà il potere assoluto, ma deve restare nell’alveo delle possibilità tecniche del ruolo.

Nascono così, a mero titolo di esempio, proposte di “mozioni contro la guerra” che spesso sono persino condivisibili, ma non nel potere dell’organismo (e dovrebbero essere demandate all’Assemblea Sindacale). Più discutibili sono tutte le limitazioni che il collegio pone ad operatività didattiche, ignorando il diritto all’istruzione.

Una riforma degli organi collegiali

La riforma degli organi collegiali è quindi urgente. Occorre infatti espellere dal sistema di gestione della scuola quella vena di autoindulgenza che, ad esempio, impedisce di deliberare vincoli sulla formazione che, teoricamente, è “strutturale, obbligatoria e permanente”, ma che non lo diventa nel momento in cui chi è investito di stabilire quale e quanta formazione fare, non fa che elaborare delibere generiche perché quelle stringenti non trovano una maggioranza.

Provi il lettore, in quasi cinque lustri di “autonomia scolastica”, una buona prassi che abbia messo una scuola all’attenzione pubblica per quell’innovazione che apre a pratiche diverse (“è consentito tutto ciò che non è vietato”, disse il Ministro Berlinguer alla fine del secolo scorso).

Se il lettore non fosse “uomo o donna di scuola”, la risposta potrebbe mancare per poca frequentazione, ma proviamo a fare questa domanda ad un amico, ad una vicina di casa, ad una qualsiasi conoscenza personale del mondo della scuola. Si otterrà un sorpreso o imbarazzato silenzio.

L’abolizione dei voti numerici

Ne propongo, tuttavia, una io: la sperimentazione di un liceo romano che ha abolito i voti numerici in itinere. Qual è quindi la possibile soluzione? Innanzi tutto occorre riconfigurare il lavoro del Collegio dei Docenti per commissioni deliberanti. In seno a queste si otterrebbero due risultati. Il primo è che nelle medesime convergerebbero le persone tecnicamente competenti su un dato argomento.

Il secondo è che in quel tavolo il livello argomentativo risulterebbe più pregnante, giacché sarebbe impossibile nascondersi nell’anonimato di un voto collettivo che, in quel contesto, diventerebbe palese. Il fatto che dette commissioni debbano essere deliberanti è conseguenza legata all’esperienza di questi lustri di autonomia non praticata.

Già oggi il Collegio dei Docenti lavora per commissioni, ma tutte le volte, prima della plenaria, si domanda: “Ma questo passa in Collegio?” e, naturalmente, si configura in funzione di aspettative pragmatiche che non possono che essere al ribasso.

Paradossalmente, la vera riforma non può che consistere nel rendere il ruolo tecnico del collegio dei docenti di tipo consultivo, passando il ruolo deliberante al consiglio di istituto, trasformato in consiglio di amministrazione allargato ai portatori di interesse delle scuole, cosa assolutamente urgente nell’ambito degli istituti tecnici.

Dico “paradossalmente” perché un Collegio dei Docenti che fornisca pareri tecnici seri, deve essere in grado di motivarli e questi diventerebbero più pregnanti e impossibili da aggirare se le argomentazioni fossero ineccepibili, cosa che sarebbe nel caso di parere consultivo (altrimenti non avrebbe senso fornirle).

È esattamente quel che succede a livello nazionale nel Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione che esprime pareri obbligatori (c’è giurisprudenza sul tema), ma che possono essere accolti o no dal Ministro di turno. Evidentemente, laddove non fossero accolti, sarà necessario argomentare la loro confutazione o fornire spiegazioni del caso che, nel caso delle scuole di oggi, potrebbero essere espresse dal dirigente scolastico o dal consiglio di istituto.

Foto di copertina LinkedIn Sales Solutions su Unsplash

L’importanza del teatro per le giovani generazioni

in Approcci Educativi/Arte, Musica e Spettacolo/Zigzag in rete by
teatro e giovani generazioni

Nella TOP 10 degli articoli più letti, abbiamo un articolo sul teatro. Un’esperienza che scaturisce emozioni formative e stimolanti per la mente delle giovani generazioni

Fare teatro è un’esperienza che coinvolge, fa riflettere, emoziona, avvicina agli altri; che siano le emozioni dei compagni sul palco, o l’empatico sentire del pubblico in ascolto. Questa è l’importanza di fare teatro, soprattutto per le giovani generazioni, e di questo ne avevamo già parlato qui.

Non è da meno, dunque, il “vedere teatro” che, nel caso in cui abbia come pubblico quello dei bambini, delle scuole e delle famiglie, con linguaggi e metodologie proprie dell’infanzia e dell’adolescenza, prende il nome di Teatro ragazzi.

Un po’ di storia

Mentre il teatro di figura e il teatrodanza si autodefiniscono in base agli elementi linguistici utilizzati, e il teatro sperimentale o di avanguardia lo fanno in base alla metodologia, il teatro ragazzi si autodefinisce in base al pubblico.

Nato inizialmente in Europa come fenomeno teatrale, il teatro ragazzi rappresenta, soprattutto in Italia, un vero e proprio genere teatrale, comprendente diversi tipi di spettacoli ed espressioni artistiche: il teatro d’animazione, il teatro dei burattini, il teatrodanza.

Il teatro ragazzi contemporaneo nasce in Italia alla fine degli anni sessanta come vero e proprio movimento, proprio in rapporto ai cambiamenti culturali dell’epoca, i quali portano ad un nuovo modo di concepire la scuola e il teatro, fondendo il teatro ragazzi con il teatro ‘per ragazzi’ e, attraverso il lavoro di alcuni operatori, esce dalla scuola e diventa autonomo, adottando stilemi propri, con un linguaggio al servizio dell’immaginario del bambino.

Perché è importante?

Dalle semplici fiabe – comunque portatrici di determinati valori – a spettacoli che mettono al centro temi civili forti, in grado di aiutare a comprendere meglio il presente e dunque a dare un senso al mondo: quella teatrale è un’arte che stimola sia la fantasia che il pensiero critico, aprendo alla diversità, sviluppando empatia.

Diffondendo la bellezza, l’arte e la cultura, il teatro è un veicolo sociale potentissimo, portatore di messaggi positivi.

Il teatro ragazzi ha dunque una grande utilità formativa, offrendo strumenti utili a capire e a dare un senso al proprio io e alla comunità: la scrittura, il movimento, il suono, l’immagine… tutto si fa veicolo di un sapere che attraverso la voce/il gesto dell’attore passa allo spettatore.

Pubblico di adulti e di ragazzi: quali le differenze?

Più estraneo alle forti emozioni, il bambino accoglie con entusiasmo ciò che gli viene mostrato, e più di un adulto si lascia andare alle esternazioni delle proprie emozioni: il riso, la paura, la commozione… tutto ciò che come pubblico il bambino riceve, lo restituisce a sua volta, raddoppiandone la potenza!

Teatro ragazzi: dove andare a vederlo?

Molte in Italia sono le compagnie specializzate nel Teatro ragazzi; ecco di seguito un elenco di alcune di queste, dove poter trovare il programma della stagione dedicata al pubblico delle giovani generazioni:

TEATRO DEL BURATTO MILANO
TEATRO DELLA TOSSE GENOVA
TIB TEATRO BELLUNO
TEATRINO DEI FONDI SAN MINIATO (PISA)
VENTI LUCENTI FIRENZE
KANTERSTRASSE TERRANUOVA B.NI (AREZZO)
FONTEMAGGIORE PERUGIA
TEATRI DI BARI
TEATRO LIBERO PALERMO

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Il Museo di “me stesso”: l’attività per imparare a conoscersi meglio

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museo di me stesso
Continuando la scoperta della TOP 10 degli articoli più letti, abbiamo una bellissima attività dedicata alla conoscenza di se stessi: Il Museo di me stesso

5 giornate di lavoro, 5 tematiche affrontate, 5 albi illustrati, un bellissimo gruppo di bambini variegati in età e carattere, 5 articoli che spiegano gli obiettivi del progetto e il dettaglio delle attività svolte. Cominciamo con il Museo di me stesso!

Giorno 1. Il Museo di “me stesso”

Gli oggetti raccolti nel museo non sono disposti in modo casuale ma vengono scelti accuratamente fra tanti per raccontare storie.

Come quando scegliamo le parole giuste per dire qualcosa, così è importante scegliere bene la disposizione degli oggetti nel museo e ci sono degli esperti che sanno metterli in ordine in modo che raccontino la storia giusta!

Ad esempio potrebbero documentare l’evoluzione artistica di un pittore, o parlare di un ritrovamento archeologico…

Il primo giorno ho pensato di dedicarlo alla conoscenza degli altri, ma anche di noi.

La lettura dell’albo illustrato “La collezione di Joey”, di C. Fleming e G. DuBois, ci ha aiutato ad entrare nel tema.

Joey è infatti un bambino curioso che raccoglie e colleziona oggetti trovati per caso. La sua collezione cresce negli anni fino a quando Joey decide di metterci mano assemblando fra loro i suoi tesori e creando delle vere e proprie opere d’arte.

Gli oggetti di cui ci circondiamo parlano di noi, dei nostri desideri e delle passioni

Così come gli oggetti raccolti da Joey, ad un certo punto, non sono più solo “oggetti” ma si trasformano nel messaggio che il bambino vuole condividere con chi gli sta attorno.

Prendendo spunto da questa lettura, ho chiesto ai bambini di raccontare di sé partendo da un oggetto  che amavano usare o che li rappresentava.

I bambini non si conoscevano tutti fra loro e l’espediente dell’oggetto può aiutare a parlare di sé senza farsi prendere dalla timidezza.

Qualcuno ha così raccontato del proprio animale domestico e della passione che ha per lui. Qualcuno dei videogiochi che gli tengono compagnia e lo fanno divertire, qualcuno delle matite colorate e della passione per il disegno.

Inizia l’attività…

A questo punto ho dato, ad ogni bambino, un foglio A4 in cartoncino leggero stampato con tante immagini di cornici in bianco e nero e ho chiesto loro di creare, partendo dall’oggetto con cui si sono presentati, un “Museo di Me stesso” disegnando l’oggetto scelto per primo e poi altri. 

Le cornici riempite con gli oggetti disegnati sono state poi ritagliate e incollate su un altro foglio che è diventato appunto il “museo di me stesso”, un’esposizione di opere che raccontassero di me.

Questo è il primo dei 5 incontri del percorso intitolato il “museo va a scuola”, di seguito trovi gli altri appuntamenti:

Educazione emotiva e life skills: scopriamole insieme

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immagine educazione emotiva
Nella nostra TOP TEN degli articoli più letti nel 2022 abbiamo l’educazione emotiva. Di cosa si tratta? Vediamolo insieme!

Quasi un anno fa è stata presentata alla Camera la proposta di legge relativa all’educazione emotiva. L’obiettivo era quello di introdurre nel sistema scolastico l’apprendimento delle cosiddette “life skills“.

Che cosa sono le Life skills?

Con il termine life skills si intendono tutte le abilità sociali ed emozionali che ci permettono di gestire al meglio le relazioni, affrontando in modo efficace e maturo la vita quotidiana, senza sfociare difficoltà relazionali e sociali.

Ecco che viene introdotta l’educazione emotiva…

La proposta di legge prevede che il progetto durerà per tre anni. Saranno le singole scuole, in piena autonomia, a stabilire quali competenze non cognitive verranno affrontate di volta in volta nelle classi.

In questo modo non ci sarà alcuno stravolgimento dei programmi scolastici, e nessuna introduzione di nuove materie.

L’obiettivo?

Migliorare il rapporto tra gli studenti e gli insegnanti e sviluppare competenze come coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale.

Alcuni approfondimenti:

Qui trovi il webinar dal titolo “Insegnare con empatia, insegnare l’empatia” che potrebbe tornarti utile

Maggiori informazioni sulla proposta di legge qui.

Foto di copertina by Elena Kurkutova on Unsplash

Metodologie di didattica attiva: il Cooperative Learning

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Il Cooperative Learning assicura ottimi risultati negli apprendimenti, ma va ben oltre il semplice lavoro di gruppo. Richiede progettazione, monitoraggio e valutazione attenti e precisi. Vediamoli insieme.

Avevamo affrontato già in passato, in questo articolo, l’efficacia del Cooperative Learning, seppur in maniera non troppo approfondita. Torniamo a farlo adesso, andando a fondo su questa metodologia capace di ottenere ottimi risultati nell’apprendimento.

Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione sono il documento che determina traguardi e obiettivi di apprendimento a cui i docenti della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado sono obbligati ad attenersi in fase di programmazione.

Il docente ha, invece, totale libertà nella scelta delle metodologie da utilizzare per lavorare su obiettivi e traguardi da far conseguire (la libertà di insegnamento è richiamata all’art. 33 della Costituzione). Per questo motivo è importante che conosca e sperimenti le metodologie che possono agevolare il suo lavoro in classe in base agli obiettivi e ai bisogni che ogni volta il contesto richiede di affrontare.

Una metodologia efficace in termini di apprendimento e didattica attiva è appunto rappresentata dal Cooperative Learning (o apprendimento cooperativo), che è cosa ben diversa rispetto al semplice lavoro di gruppo. Vediamo in cosa consiste.

Cos’è il Cooperative Learning

Il Cooperative Learning è una metodologia attraverso la quale gli studenti lavorano in piccoli gruppi per conseguire obiettivi comuni, ma tutti mantengono la loro responsabilità individuale.

Lo studente è parte di un gruppo, l’obiettivo di lavoro è comune, ma ciascuno deve contribuire attivamente poiché ciascuno è indispensabile per la riuscita dell’attività.

Perché scegliere il Cooperative Learning

Il Cooperative Learning si pone l’obiettivo di migliorare l’apprendimento insegnando allo stesso tempo agli studenti come lavorare in modo collaborativo; questo è importante perché la società è una realtà complessa e richiede continuamente la capacità di collaborare, specie nella risoluzione dei problemi.

Inoltre la didattica tradizionale, con il docente che tiene la lezione frontale e gli studenti in posizione passiva, risulta sempre meno impattante nella scuola dei nostri giorni. Infine non dimentichiamoci che i contenuti passano attraverso relazioni interpersonali e coinvolgimento attivo ed emotivo, tutti aspetti centrali del Cooperative Learning.

Caratteristiche del Cooperative Learning

Secondo i suoi fondatori e principali promotori (D. e R. Johnson e M. Comoglio), le caratteristiche del Cooperative Learning possono essere considerate le seguenti:

  • interdipendenza positiva
  • lavoro all’interno di piccoli gruppi eterogenei
  • responsabilità individuale e di gruppo
  • valutazione individuale e di gruppo
  • interazione face to face
  • insegnamento di competenze sociali

Lavorare in modo cooperativo stimola il senso di fiducia e di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. La conoscenza viene, in definitiva, acquisita attraverso una relazione interpersonale positiva e autentica.

L’interdipendenza positiva nel Cooperative Learning

L’aspetto fondamentale del Cooperative Learning è l’interdipendenza positiva. Non si tratta di dividere i ragazzi in gruppi con tutti i membri che lavorano su uno stesso argomento.

Nell’apprendimento cooperativo ogni studente all’interno del gruppo assume ruoli e mansioni diverse, è responsabile della porzione di lavoro a lui assegnata ed è indispensabile per la realizzazione del prodotto finale.

La ricaduta di un simile impianto, in termini di apprendimento delle conoscenze e di messa in atto delle competenze sociali, si rivela molto efficace. In particolare, l’interdipendenza positiva mette in gioco le seguenti competenze sociali, tutte molto utili per un corretto atteggiamento da assumere in ambito relazionale e lavorativo:

  • competenze comunicative
  • competenze di leadership
  • competenze nella soluzione negoziata dei conflitti
  • competenze nella soluzione dei problemi
  • competenze di scelta e di presa di decisione
Il ruolo del docente nel Cooperative Learning

Nel Cooperative Learning il docente assume il ruolo di facilitatore, quindi non trasmette contenuti dall’alto, ma agisce sia come mediatore dell’apprendimento che come coordinatore delle dinamiche sociali.

Spetta a lui la formazione dei gruppi, basata sul criterio della eterogeneità delle competenze e, nella attribuzione dei ruoli, deve tener conto di alunni con disabilità, con disturbi specifici degli apprendimenti e bisogni educativi speciali.

Occorre che sia in grado di attivare la motivazione, sottolineare quanto fatto di positivo e responsabilizzare i membri del gruppo. Per quanto riguarda la progettazione delle attività, il docente dovrà seguire questi step:

  • effettuare una buona analisi della situazione della classe
  • stabilire obiettivi didattici e di cooperazione che dovranno esser perseguiti
  • identificare le consegne da assegnare e impostare procedure graduali
  • prendere decisioni organizzative
  • definire le modalità di monitoraggio e revisione dell’attività svolta nei gruppi
  • rendere obiettivi, consegne e criteri di controllo-revisione chiari e comprensibili
  • creare rubriche di valutazione con chiari obiettivi di prodotto e di processo
Vantaggi e svantaggi del Cooperative Learning

La metodologia attiva dell’apprendimento cooperativo porta notevoli vantaggi in ambito didattico e relazionale:

  • gli studenti introiettano meglio le conoscenze
  • le relazioni interpersonali diventano parte integrante dell’azione didattica
  • migliora il clima di classe e l’autostima generale

Occorre, però, mettere in conto anche alcuni aspetti che potrebbero rappresentare delle criticità, specie per chi si approccia per la prima volta alla metodologia:

  • dinamiche di gruppo non sempre disciplinate
  • tempi solitamente più lunghi per affrontare gli argomenti di studio
  • gli stessi studenti che possono fare resistenza perché si richiede un coinvolgimento attivo obbligato.

Tali svantaggi, comunque, non devono scoraggiare i docenti che si approcciano per la prima volta alla metodologia, perché i vantaggi li superano di gran lunga. Il sapere raggiunto tramite apprendimento cooperativo risulta più solido nel tempo e il beneficio associato al miglioramento delle relazioni interpersonale influisce positivamente sul clima di classe.

La metacognizione nel Cooperative Learning

Per ottenere maggiori benefici dalle attività svolte tramite Cooperative Learning, è importante che in fase conclusiva venga assegnato agli studenti un questionario di riflessione metacognitiva. Le sollecitazioni dovranno essere chiare e focalizzate:

  • come hai organizzato il lavoro che ti è stato assegnato, quali step hai seguito e quali strategie hai utilizzato?
  • Quali differenze noti tra Cooperative Learning e lavoro di gruppo?
  • Quali vantaggi noti tra Cooperative Learning e lavoro individuale?
  • Quali aspetti del lavoro in Cooperative Learning hai maggiormente apprezzato?
  • Quali aspetti del lavoro in Cooperative Learning ti sembra potrebbero essere migliorati?

Le riflessioni metacognitive risultano importanti per rendere le attività in apprendimento cooperativo sempre più centrate, motivanti ed efficaci. E, visto il lungo periodo di restrizioni dovute all’emergenza pandemica, i nostri bambini/ragazzi hanno più che mai bisogno di attività centrate, motivanti ed efficaci da svolgere insieme ai compagni. Facciamo in modo che possano svolgerle al meglio.

Bibliografia su Cooperative Learning-apprendimento cooperativo

  • M. Comoglio, M. A. Cardoso, Insegnare e apprendere in gruppo, LAS
  • D. Johnson, R. Hohnson. E. Holubec., Apprendimento cooperativo in classe, Erickson
  • A. La Prova, Apprendimento cooperativo in pratica, Erickson
  • E. Choen, Organizzare i gruppi cooperativi, Erickson

Foto by Andrew Ebrahim on Unsplash

La storia delle riforme scolastiche

in Storia e Filosofia by

Ripercorriamo insieme la storia delle riforme scolastiche italiane

Parlare di riforme della scuola risulta, di questi tempi, quanto mai problematico: la stessa definizione è ormai inscindibilmente legata ai tentativi fatti da tutti gli ultimi ministri di turno di intestarti una ‘riforma’ purché fosse, ovvero tale da rendere associato il proprio nome alla scuola e alla società italiana in modo più o meno imperituro.

Ricerca di visibilità, dunque, che ha portato talvolta a cambiare tanto per cambiare ma, anche e peggio, mere finalità di bilancio che hanno spesso – per non dire sempre – caratterizzato le riforme degli ultimi anni.

Si pensi, solo per fare due esempi, all’eliminazione targata Moratti nel 2003 delle ore di compresenza alla scuola media, spazio assai utile per mettere in pratica le attività di recupero e di potenziamento, o all’eliminazione dell’ora di Educazione civica, prima cassata dall’orario di Lettere e poi reintrodotta due anni or sono in una formula ‘spezzettata’, ovvero distribuita per ogni docente (si fa fatica a crederlo, ma anche gli insegnanti di Matematica o di Educazione fisica, pardon Motoria – anche cambiare i nomi delle materie ‘fa riforma’ – devono valutare le competenze ‘civiche’ degli alunni).

Dicesi riforme, dunque, ma leggesi tagli, come è reso evidente dal fatto che  nessuno dei suddetti cambiamenti è risultato essere l’approdo di uno studio scientifico tale da supportarne il fondamento; sarebbe ben difficile, del resto, dimostrare la ratio della cancellazione delle compresenze o di un serio e vero percorso di Educazione civica.

Un altro aspetto risulta davvero mortificante per l’intero mondo della scuola: Le riforme o cosiddette tali sono state tutte promosse – o meglio imposte – dall’alto, senza alcun reale coinvolgimento di chi la scuola la vive davvero, insegnanti e studenti in primo luogo.

Si pensi, per citare solo uno degli esempi più recenti, all’introduzione dell’alternanza scuola/lavoro negli istituti superiori, realizzata e promossa oltrepassando quell’ascolto di docenti e studenti che forse mai come in questo caso sarebbe stato necessario.

Ci si è chiesti, si è chiesto quanto pesi nel percorso di uno studente la rinuncia a decine di ore di studio in favore di un’attività lavorativa obbligatoria e non retribuita, quanto gravoso possa essere un primo incontro col mondo del lavoro sperimentato in forme spesso caratterizzato da sfruttamento e da condizioni di scarsa e precaria sicurezza, come dimostrato dai recenti, purtroppo non isolati, eventi drammatici?

Vista così, l’espressione ‘riforma scolastica’ non può che suscitare un moto di rifiuto, se non di vera e propria repulsione; e tuttavia sarebbe ingiusto, visto che in un passato più o meno lontano il quadro si è tinto di note molto meno fosche e, in alcuni casi, decisamente apprezzabili.

Come l’introduzione della scuola media unica del 1962 che eliminò il percorso professionale al quale erano, secondo una visione classista, avviati gli appartenenti ai ceti più bassi.

E che dire del un decennio successivo, quando – nel pieno della contestazione e delle spinte verso l’inclusione e la partecipazione – fu attuata l’integrazione degli alunni disabili nelle scuole italiane (primo caso al mondo) ed istituita, con i ben noti decreti delegati del 1974, la rappresentanza di genitori e studenti negli organi collegiali?

Se, all’opposto, il quadro di oggi appare disarmante, è pur sempre possibile formulare un auspicio per il futuro: che le prossime riforme, se vi saranno, non siano solo delle etichette, ma siano tali da intercettare veramente le spinte e le esigenze che vengono dal mondo della scuola, dalla valorizzazione della figura dei docenti alla realizzazione di una scuola veramente inclusiva, nei fatti e non nelle parole: per fare ciò occorrono, però, soldi, almeno tutti quelli che alla scuola sono stati sottratti col nome di riforme; occorre un senso, una direzione, quella che da molto tempo è assente ingiustificata.

Il rientro a scuola visto con gli occhi della prof!

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Settembre, tempo di suono della campanella e di rientro a scuola. Vediamolo da un punto di vista inconsueto: quello del docente!

Settembre è tornato e, insieme alle giornate che si accorciano e alle temperature che si fanno più sopportabili, inevitabile è anche il ritorno a scuola.

Ma come lo vivono il suono della campanella gli insegnanti? Sono emozionati anche loro come lo sono gli studenti? La risposta è sì!

Settembre per gli insegnanti rappresenta sempre un nuovo inizio, il preludio di un’avventura ogni volta unica e diversa. Ma anche nei mesi precedenti, quelli roventi di luglio e agosto, il pensiero alla scuola e agli studenti non viene mai meno del tutto.

Come docente di lettere di scuola secondaria di primo grado, dedicare parte delle giornate estive alle letture e alle occasioni di aggiornamento professionale lo considero un vero e proprio toccasana.

Difficile da credere? Non dovrebbe, semplicemente perché è la verità!

Tra riposo estivo e stimoli sempre nuovi

L’estate, con i suoi tempi più distesi, permette di dedicarsi a letture che richiedono riflessioni ponderate e costruttive che i ritmi di lavori tenuti nel corso dell’anno scolastico non riescono a garantire.

Quest’anno, ad esempio, ho letto libri di didattica e ascoltato webinar/podcast a bordo piscina, decidendo, in totale libertà, tematiche congeniali e tempi da riservare alla connessione. Salvaguardare il riposo è sacrosanto, ma alternare il diritto alla disconnessione con la riflessione consapevole sulle specificità e sulle potenzialità della nostra professione lo ritengo ottimale.

L’estate serve sicuramente per recuperare energie, ma perché non considerarla anche un’occasione per approcciarsi a stimoli innovativi che forniranno carica e motivazione al rientro a scuola?

I libri, compagni fidati…

Accanto a crema solare e telo da mare non sono mai mancati i libri. Libri su metodologie didattiche, ma anche “libri per ragazzi”, classificabili nella cosiddetta letteratura young-adult, e le sempre interessanti riletture tratte dal repertorio dei classici. A fronte di ogni lettura, in vista del sempre più imminente rientro a scuola, spesso riflettevo tra me e me in questi termini:

  • Questo libro piacerà sicuramente a Cassandra, ambientato com’è tra natura ed equitazione.
  • Il protagonista di questa storia non potrà non piacere a  Samuele! Gliene parlerò.
  • Questo non può certo mancare nella biblioteca di classe! Ne usciranno riflessioni interessanti.
  • Questo potrebbe essere letto ad alta voce. Ci progetterò su un percorso.
  • Bello ma troppo complesso. Lettura interessante per me, ma meglio proporre altro ai ragazzi.
  • Queste pagine, riempite di post-it, le leggerò in classe e ci lavoreremo su. Vediamo cosa ne uscirà.

Spesso ho letto solo per me, senza pensare ad aula e studenti. Però l’ottica su ciò che leggo e su ciò che può essere proposto in classe al mio rientro a scuola, per me è ormai una costante. Mi ci sono rassegnata, pe fortuna, con estremo piacere. Così come si son tutti rassegnati in famiglia a fare tappa obbligata in libreria qualsiasi sia la meta di vacanza prescelta. Borghi medievali, località costiere o montane, poco importa: importante è avere il tempo per curiosare tra gli scaffali di una libreria. E, di nuovo, andare con il pensiero agli studenti, già conosciuti o da conoscere a settembre, sarà inevitabile.

Ma anche film, video, riviste, quotidiani!

Quando assisto a un bel film oppure osservo un cortometraggio o un video su Youtube, quasi in automatico scattano connessioni con possibili argomenti da trattare in aula al rientro a scuola. E allora eccomi ad annotare titoli e siti web su cellulare, su blocchi appunti improvvisati, su tablet, pc.

Anche le riviste possono rivelarsi ottime fonti di ispirazione: le informazioni riguardano tematiche di attualità e il linguaggio è alla portata di tutti: elementi non certo trascurabili. Ulteriore particolare interessante: immagini, foto e pubblicità al loro interno possono rivelarsi spunti di discussione incredibili.

E allora via di forbici e cartelline di archiviazione per ritagli cartacei da rispolverare in cattedra a settembre. Per non parlare di articoli di giornale degni di nota sui quali pianificare discussioni di attualità da proporre fin dai primissimi giorni di scuola.

Stesso principio: guardo film per me, sfoglio riviste e quotidiani per mio interesse personale, ma l’ottica a ciò che può essere riproposto in classe è sempre in agguato.

E poi arriva settembre!

Superato Ferragosto, il docente mentalmente è già in classe. A settembre, fin dai primissimi giorni e indipendentemente dal calendario di inizio lezioni, il docente è in classe anche fisicamente.

Iniziano le riunioni, i collegi, i consigli di classe, si seguono i primi incontri di formazione, si partecipa alle iniziative di scuola aperta e si fa tanto altro ancora.

Ma ciò che davvero ci infonde entusiasmo, arrivando a darci il batticuore, è il momento in cui apriremo la porta dell’aula e torneremo a guardare in faccia i nostri studenti. Curiosi di vedere quanto siano cresciuti, se li conosciamo già, o emozionati di vederli per la prima volta, se non li conosciamo affatto.

Sappiamo che i primi istanti del nostro incontro saranno cruciali e dobbiamo giocarceli bene: i ragazzi ci osserveranno minuziosamente, capteranno all’istante le emozioni che stiamo provando, esamineranno la nostra forma fisica, l’abbronzatura, i capi d’abbigliamento, il taglio di capelli.

Tutto questo trovo che sia emozionante, certo, ma anche molto divertente! Noi docenti siamo stati dall’altra parte della barricata un tempo e non ci comportavamo forse allo stesso modo? Importante è esserne consapevoli e vivere il momento dell’incontro con la giusta dose di emozione, senza scadere nel pessimismo o, peggio ancora, nell’irritazione.

I ragazzi hanno le antenne – si dice in gergo – e percepiscono perfettamente il nostro stato: se stiamo volentieri con loro, semplicemente lo sentono (e lo apprezzano). E proprio come i nostri studenti a settembre si preoccupano di ultimare i compiti delle vacanze e di acquistare i primi materiali utili, così anche noi docenti iniziamo a predisporre i nostri materiali di lavoro.

Partire con brio vuol dire procurarsi cancelleria, blocchi appunti e agende colorate. Vuol dire appuntare con cura la progettazione delle prime ore di lezione, pur sapendo che sarà soggetta a svariate modifiche e adattamenti continui. Ed è quasi incredibile che questa sorta di ritualità mantenga ogni anno il suo fascino immutato!

L’inizio di una nuova avventura

Percepire l’adrenalina ad ogni inizio d’anno vuol dire porsi nell’atteggiamento giusto per affrontare una nuova avventura e tutte le incognite che ad essa inevitabilmente si collegheranno.

Una nuova avventura che sarà occasione di crescita non solo per i nostri studenti, ma anche per noi stessi. Anzi, soprattutto per noi stessi, perché dai nostri studenti abbiamo sempre tanto da imparare. Ed è bello camminare insieme.

Buon anno scolastico a tutti!

Foto copertina by Seema Miah on Unsplash

Scuola e disagio: ecco il webinar!

in Webinar e formazione by

Giovedì 17 marzo si è tenuto il webinar dedicato al tema del ruolo della scuola di fronte al disagio: ecco il link per recuperarlo.

Abbiamo presentato nel dettaglio qui le tematiche relative al webinar realizzato da  Sanofi in collaborazione con Librì Progetti Educativi, che si è tenuto giovedì 17 marzo alle ore 16.30.

Ponendo l’attenzione sulle transizioni critiche della vita familiare, o sulle vicissitudini di traiettorie di vita complesse che possono riguardare lo studente, si è evidenziato che la scuola è spesso il contesto più significativo, se non il primo, nel quale il bambino/ragazzo esprime il proprio dramma.

Relatrice del webinar è stata Donatella Paggetti, psicologa – psicoterapeuta, che ha creato e gestito il Servizio di Psiconcologia all’interno dell’Oncoematologia dell’ospedale pediatrico Meyer dal 1999 al 2015. Da alcuni anni si occupa di vari progetti rivolti a minori, adulti e famiglie che prevedono anche il supporto domiciliare.

Tra i temi che la Dott.ssa Paggetti ha toccato troviamo:

  • i vissuti e le reazioni dell’allievo e dei componenti della famiglia ad un evento a forte impatto emotivo;
  • come riconoscere il disagio e rispondervi secondo il proprio ruolo e la propria competenza;
  • come la relazione con la scuola e con la classe costituisca il principale fattore di prevenzione delle conseguenze psicosociali negative causate da un evento traumatico.

Per coloro che si sono persi il webinar, ecco di seguito il video: buona visione!

Webinar “Conoscere e riconoscere il disagio: la funzione protettiva ed educativa dell’insegnante”

Foto di copertina by Chris Montgomery on Unsplash

Webinar: il ruolo della scuola di fronte al disagio

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Giovedì 17 marzo, alle ore 16.30, il webinar gratuito sul tema “Conoscere e riconoscere il disagio: la funzione protettiva ed educativa dell’insegnante.

Abbiamo affrontato in passato varie volte e in vari modi il tema del disagio (in questo articolo legato alla sfera psichica, in questo invece legato al disturbo della dislessia).

Stavolta invece lo facciamo con un webinar che affronta:

  • la tematica dei vissuti emotivi connessi ad eventi traumatici
  • l’impatto sul bambino/ragazzo e sull’intera famiglia
  • il ruolo della scuola nella sua dimensione educativa, sociale ed emotiva

Nelle transizioni critiche della vita familiare, o nelle vicissitudini di traiettorie di vita complesse, lo studente incontra eventi traumatici singoli o cumulativi che possono esporlo ad un grande disagio, ad una crescita sofferta, ad adattamenti spesso impossibili.

Il ruolo della scuola

La scuola è spesso il contesto più significativo, a volte il primo, nel quale il bambino/ragazzo esprime il proprio dramma. È quindi importante che l’insegnante possa conoscere come la mente umana risponde all’esposizione ad eventi traumatici, per poter riconoscere i segni di disagio che incidono sulle capacità di stare in relazione con la classe e con l’insegnante, e quindi sull’apprendimento.

Il webinar

Il webinar gratuito, realizzato da Sanofi in collaborazione con Librì Progetti Educativi, si terrà giovedì 17 marzo alle ore 16.30.

È rivolto a figure professionali che operano in ambito educativo, fornendo tecniche e strumenti per mettere in atto comportamenti e atteggiamenti che consentono di contenere la regressione emotiva e sociale che un evento traumatico può causare.

Nello specifico, il webinar consente di acquisire conoscenze e competenze su:

  • i vissuti e le reazioni dell’allievo e dei componenti della famiglia ad un evento a forte impatto emotivo;
  • come riconoscere il disagio e rispondervi secondo il proprio ruolo e la propria competenza;
  • come la relazione con la scuola e con la classe costituisca il principale fattore di prevenzione delle conseguenze psicosociali negative causate da un evento traumatico

La relatrice

Donatella Paggetti, psicologa – psicoterapeuta, ha creato e gestito il Servizio di Psiconcologia all’interno dell’Oncoematologia dell’ospedale pediatrico Meyer dal 1999 al 2015. Da alcuni anni si occupa di vari progetti rivolti a minori, adulti e famiglie che prevedono anche il supporto domiciliare.

Per iscriversi al webinar gratuito CLICCA QUI!

Giorno 4. Museo d’arte moderna

in Attività di classe by
Il 4° giorno del progetto “Il museo va a scuola”, è dedicato all’arte moderna: un’idea per un’attività con il gesso da fare in classe.

Mi capita spesso di constatare che i ragazzi e i bambini conoscano molto meglio l’arte antica di quella moderna; questo perché, a meno che i familiari non siano degli esperti per lavoro o passione, la formazione scolastica arriva raramente a trattare il ‘900 e si ferma spesso molto prima.

Partiamo con un “brain – storming”…

Per il giorno numero 4 ho pensato di partire quindi con un “brain – storming” sull’arte moderna chiedendo ai bambini che cosa si intendesse con questo termine.

Come sempre dalla discussione sono venuti fuori punti di vista molto interessanti fra cui l’opinione diffusa che ”arte moderna” fosse un po’ sinonimo di “voler guadagnare molti soldi facendo schizzi o buchi su di una tela”!

Per attivare ulteriormente la discussione, ho proposto la visione del silent book Museum” di J.S Castan e M. Marsol, un albo che sa essere contemporaneamente inquietante e divertente.

Penso che l’arte in generale sia uno dei modi che l’essere umano ha per esprimere ciò che ha dentro ma alcune modalità sono così distanti dal nostro modo di ragionare e sentire che è necessaria una mediazione.

Questa naturalmente può essere la guida del museo, che attraverso la visita guidata ci apre la porta ad un mondo nuovo: quello dell’autore, del suo modo di sentire, del suo modo di vedere e di trasmettere, attraverso tecniche e strumenti, il suo pensiero.

Anche il protagonista dell’albo “Museum” apre la porta di una strana casa in cima alla collina e, senza saperlo, comincia un’avventura straordinaria che lo porterà ad entrare ( nel vero senso della parola!) nell’immaginario dell’autore attraverso i suoi dipinti.

L’attività:

Volendo rimanere legata alla natura che circonda la scuola, ho pensato di creare degli stampi in gesso e argilla di composizioni botaniche realizzate con fiori e foglie raccolti nel giardino. Ho chiesto ai bambini di comporre, seguendo il proprio gusto, una composizione di fiori e foglie per realizzare un’opera d’arte che rispecchiasse loro stessi.

La ricerca dei materiali

Per prima cosa abbiamo passeggiato in giardino cercando alcune cose naturali ( rametti, foglie, fiori…) per realizzare una piccola composizione. Ho poi protetto i banchi con del cartone da scatolone e dato ad ognuno un panetto di argilla chiedendo di realizzare con essa un cerchio di circa 15 cm di diametro e alto almeno 2.

Questo cerchio d’argilla è la base per la nostra composizione perciò ogni bambino ci ha appoggiato sopra gli oggetti naturali raccolti e li ha schiacciati con delicatezza:  a questo punto l’argilla impressa è diventata il nostro stampo per il gesso.

Con una striscia di bristol ho circondato il cerchio d’argilla creando un cilindro che ci serve per contenere il gesso liquido.

Ho poi mostrato ai bambini come preparare il gesso in polvere mettendone un pò in un bicchiere di carta e aggiungendo l’acqua; una volta pronto il gesso, lo abbiamo colato nello stampo.

Il gesso catalizza in pochi minuti perciò, una volta pronto, abbiamo tolto la nostra argilla e pulito la nostra bellissima opera d’arte!

Concluso anche il 4° incontro, ci siamo preparati per l’ultimo dal titolo “ Il Museo delle Emozioni”.

I primi 3 appuntamenti hanno riguardato: il “Museo di me stesso”, “La Stanza delle Meraviglie”

Una favola d’amore come inno alla trasformazione

in Affettività e Psicologia/Letture in classe by

Attraverso la Favola d’Amore di Hermann Hesse, Valerio Camporesi ci parla dell’importanza del trasformarsi nella vita e nel mondo della scuola, e dell’amore quale forza inspiegabile, misteriosa, di tensione verso l’altro.

Keep Reading

Giorno 2 de “Il museo va a scuola: “La Stanza delle Meraviglie”

in Attività di classe by
Dal progetto “Il museo va a scuola”, parliamo de “La Stanza delle Meraviglie”: un’idea per un laboratorio da fare in classe.

Ogni volta che rileggo il titolo di questo laboratorio mi torna in mente l’immagine del mio primo “museo dei fossili e dei minerali”, visitato insieme alla mia famiglia quando avevo circa 8 anni.

Gli oggetti, riposti con cura sotto i faretti, sembravano voler raccontare ognuno la sua storia…Storie della Terra, storie di silenzio e profondità…I colori e le forme dei minerali erano sorprendenti e mai avrei pensato che delle rocce, dei semplici “sassi”, potessero essere così!
Quando poi il guardiano ci raccontò le loro storie la mia passione divenne Amore e decisi che da grande avrei senz’altro fatto la Geologa!

Non diventai in effetti una Geologa ma la curiosità per la Terra e tutto quello che conserva nella sua pancia, fa ancora oggi parte di me.

Per quel che mi riguarda quindi, per creare un meraviglioso museo o una stanza delle meraviglie, non basta una collezione di oggetti interessanti; certo questo aiuta senz’altro, ma la vera differenza la fa chi ci racconta le loro storie e come ce le racconta!

Come nasce l’idea di Museo?

Per sviluppare l’argomento con i bambini della classe, siamo partiti da una domanda: “come nasce l’idea di Museo?” (inteso come luogo dove vengono conservati oggetti che raccontino storie).

Andando indietro nel tempo, scopriamo che l’antenato dei nostri attuali musei furono le cosiddette  “Stanze delle Meraviglie” chiamate anche “Wunderkammer” o “cabinet de curiositè”; si tratta di collezioni private di oggetti fuori dal comune che suscitavano in chi le vedeva un sentimento di Meraviglia! Gli oggetti “meravigliosi” potevano essere di origine naturale ma a volte si trattava anche di oggetti bizzarri creati dall’uomo. Questi oggetti collezionati venivano mostrati agli ospiti ai quali si raccontavano le storie dei viaggi e degli oggetti stessi.

Come introdurre il tema…

Per introdurre il tema degli oggetti che raccontano storie, ho letto ai bambini l’albo illustrato La casa che un tempo” di J. Fogliano e L. Smith, che racconta l’esplorazione di una casa abbandonata da parte di due bambini; chi è vissuto in questa casa? chi ha mangiato in questa cucina? Chi era la persona ritratta in questa foto? Queste sono le domande che si pone l’archeologo quando ritrova oggetti e strutture durante gli scavi archeologici!

Proviamo allora a ricostruire, usando la fantasia e l’intuizione, alcuni frammenti di vasellame ritrovati in veri scavi archeologici!

L’attività:

Ho consegnato quindi ai bambini alcune stampe in A4 con disegni di frammenti e ho chiesto loro di sceglierne uno, ritagliarlo, incollarlo su un foglio più grande, formato A3 e provare a ricostruire l’oggetto originale.

Questo esercizio apparentemente semplice, chiede ai bambini di mettere in gioco capacità di inferenza che non sempre sono sviluppate o allenate: immaginare ciò che non c’è, pensare a come può continuare una linea, collegare la forma di un oggetto al suo uso… sono tutte azioni che non vengono spesso richieste ai nostri bambini ma che ritengo invece importanti per sviluppare in loro un pensiero divergente e creativo.

Abbiamo terminato il laboratorio con una carrellata di ipotesi davvero degne di un equipe di scienziati poi abbiamo appeso i nostri reperti alle pareti della nostra aula-museo.

Così si è concluso anche il giorno 2 del progetto e ci siamo preparati per il nuovo laboratorio intitolato: “Museo dei Tesori Naturali”.

UN CLICK PER LA SCUOLA: in partenza la nuova edizione dell’iniziativa di amazon.it

in Attività di classe by

C’è tempo fino al 6 febbraio 2022 per iscrivere la propria scuola e accumulare credito virtuale da utilizzare su un catalogo di prodotti per le scuole: con UN CLICK PER LA SCUOLA Amazon.it prende a cuore le scuole d’Italia!

Cancelleria, arredo, articoli sportivi, attrezzature elettroniche o strumenti musicali: questo e molto altro potrà essere donato gratuitamente da Amazon.it a tutte le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado del territorio nazionale, che si iscriveranno all’iniziativa UN CLICK PER LA SCUOLA.

Obiettivo di tale iniziativa è appunto supportare le scuole che vi aderiranno, le quali riceveranno un credito virtuale da parte di Amazon utilizzabile su www.amazon.it per acquistare materiale scolastico, scegliendo da un ampio catalogo di oltre 1.000 prodotti!

Gli studenti e le famiglie scelgono la scuola che vogliono supportare, e Amazon le dona una percentuale dei loro acquisti sotto forma di credito virtuale!

Un’idea vincente, questa, che durante le 2 precedenti edizioni ha visto Amazon donare alle scuole italiane credito virtuale che ha permesso alle scuole di ricevere oggetti e accessori del valore totale di ben 5,9 milioni di euro! Il successo è stato così dirompente che l’iniziativa è stata replicata anche in Spagna, ottenendo anche lì un grande consenso.

Che tu sia insegnante, dirigente scolastico oppure studente: iscrivi o proponi di iscrivere la tua scuola all’iniziativa UN CLICK PER LA SCUOLA: è possibile farlo fino al 6 febbraio 2022, e le scuole potranno utilizzare il credito virtuale ricevuto e richiedere i prodotti per tutta la durata dell’iniziativa e oltre, fino al 10 aprile 2022!

Amazon Digital Lab

Ma non finisce qui! Grazie a UN CLICK PER LA SCUOLA studenti e insegnanti delle classi coinvolte potranno anche accedere ad Amazon Digital Lab, un vero e proprio mondo di risorse digitali totalmente gratuite: idee, strumenti e metodologie per una didattica innovativa vicina alle esigenze della scuola!

Qui sarà possibile trovare una selezione di risorse digitali: video tutorial con indicazioni pratiche su come usare gli strumenti, coding toolkit per supportare gli studenti nella programmazione di videogiochi, quiz e visual art, audiolibri e podcast Audible.

E ancora guide di alfabetizzazione digitale, link e contenuti per arricchire la didattica nei vari ordini scolastici; ma la grande novità di questo anno sono i webinar riservati ai docenti sui temi più attuali legati alle potenzialità della didattica digitale per il mondo della scuola.

UN CLICK PER LA SCUOLA metterà infatti a disposizione di tutti i docenti di ogni ordine e grado un percorso formativo totalmente gratuito, dedicato all’utilizzo consapevole della tecnologia, per una didattica davvero innovativa!

5 i Webinar previsti, ognuno dedicato ad un tema specifico, spaziando dalle neuro-scienze fino al game learning, e in partenza dal prossimo mercoledì 27 ottobre!

ISCRIVITI QUI

Tutti i partecipanti riceveranno poi un attestato di partecipazione all’iniziativa formativa per le ore svolte, in ottemperanza al D.M.170/2016.

Un click per la scuola
Come può partecipare la scuola?
  • Iscrivendosi a UN CLICK PER LA SCUOLA tramite il sitowww.unclickperlascuola.it
  • Comunicando a tutte le classi l’iniziativa
  • Accedendo all’Area Scuole del sito www.unclickperlascuola.it per visualizzare il credito virtuale accumulato, e richiedendo i prodotti di cui la scuola ha bisogno nel catalogo virtuale disponibile sul sito.

Nel caso poi di scuola appartenente e amministrata da un Circolo Didattico, Istituto Comprensivo o Istituto Omnicomprensivo, sarà l’Istituto stesso a partecipare all’iniziativa.

Come possono partecipare gli studenti e le famiglie?
  • Visitando il sito dedicato all’iniziativa www.unclickperlascuola.it e accedendo con le proprie credenziali di Amazon.it.
  • Scegliendo la scuola da supportare sul sito www.unclickperlascuola.it.
  • Condividendo l’iniziativa e invitando altri studenti e amici a partecipare!

L’iniziativa UN CLICK PER LA SCUOLA è soggetta a Termini e condizioni visualizzabili qui  https://www.unclickperlascuola.it/terms_and_conditions . Per saperne di più visita il sito www.unclickperlascuola.it e… corri a partecipare!

Leggere? Può diventare un bel gioco socializzante!

in Letture in classe by
Ripercorriamo insieme le tante strategie per giocare con i libri: perché leggere può diventare un gioco spassoso, e non solo una bella attività individuale!

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Il difficile rapporto Scuola-genitori

in Scuola by
La riflessione di Valerio Camporesi, insegnante, sul rapporto tra la scuola e i genitori, scritta ben 3 anni fa, appare ancora molto attuale. 

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Come capire la chimica? Con la tavola periodica!

in STEM ed Esperienze digitali/Zigzag in rete by
Grazie a Keith Enevoldsen e alla sua tavola periodica rivisitata, possiamo vedere come gli elementi di chimica vengono in realtà usati nella vita di tutti i giorni!

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Settembre, tempo di rientro in classe: come affrontarlo, in questi tempi così delicati?

in Scuola by
Per voi i consigli di Giulia Ammannati, psicologa psicoterapeuta, per prepararsi al rientro in classe a settembre e “riabbracciare” i più piccoli dopo l’ultimo anno e mezzo alle prese con il Covid-19.

A maggio 2020, quando ci apprestavamo ad entrare nella 2° fase della pandemia da Covid-19, abbiamo fatto una piacevole chiacchierata con la dottoressa Giulia Ammannati riguardo al rientro in classe.

Psicologa psicoterapeuta, la dottoressa aveva all’epoca da poco realizzato un vademecum ricco di utili consigli per insegnanti e genitori, per capire come parlare ai bambini di questa situazione e come aiutarli a tornare alle loro abitudini pre-pandemia.

Siamo a settembre 2021, alle porte con la riapertura delle scuole, e ancora ci pervade questo senso di dubbio riguardo alla ripresa delle lezioni e alle modalità in cui queste saranno affrontate. Inoltre, soprattutto con i più piccoli, è sicuramente necessario affrontare e rielaborare ancora quando successo in questo anno e mezzo.

Ecco perché ci sembra giusto riprendere esattamente le parole di Giulia Ammannati, valide ancora oggi per approcciarsi a questa nuova fase.

Ancora non sappiamo come avverrà il rientro a scuola, ma quali consigli possiamo già dare agli insegnanti per riabbracciare i loro piccoli studenti?

In questa nuova fase molti sono ancora i dubbi e gli interrogativi, in particolare sui bambini e sul rientro in classe. Credo che sarà fondamentale dedicare un tempo all’esperienza che abbiamo vissuto, non facendosi prendere dalla paura di dover recuperare.

Sarebbe molto rischioso far finta che nulla sia accaduto, o peggio ancora cercare di dimenticare. Più che ai programmi scolastici rimasti in sospeso, sarà importante dare voce ai timori e alle preoccupazioni che i bambini portano con sé.

Alle loro domande, al loro punto di vista, cercare di farli sentire abili e responsabili. Tenendo sempre in mente che ognuno di loro può aver sperimentato vissuti soggettivi molto diversi, a seconda delle emozioni che ha respirato in questo periodo.

Non dobbiamo dimenticare che i bambini e gli insegnanti durante questa didattica a distanza si sono “sperimentati”, reinventati. E hanno acquisito moltissime conoscenze e abilità. È proprio da qui che sarà importante ripartire.

È giusto che l’insegnante racconti ai più piccoli quello che sta accadendo? E qual è il modo migliore per farlo?

È molto importante prendersi del tempo per parlare di ciò che sta accadendo. I bambini non aspettano le spiegazioni degli adulti per interpretare il mondo, ma si creano una loro personale idea.

Per questo è fondamentale parlare con loro, anche per evitare che si creino idee sbagliate e confuse. I bambini percepiscono sempre le emozioni che circolano tra gli adulti, colgono i sentimenti, le preoccupazioni e tutto ciò che cerchiamo di nascondere.

Quindi non dobbiamo avere timore a parlare con loro in modo chiaro e diretto dell’esperienza che stiamo vivendo, ricordandoci di dire sempre la verità. A questo proposito sarà importante adeguare il linguaggio all’età cercando di trasmettere speranza e serenità, poiché è difficile aiutare e rassicurare gli altri se siamo eccessivamente preoccupati o spaventati.

Credo che l’insegnante abbia un ruolo fondamentale in questo momento, soprattutto per quei bambini che non hanno avuto lo spazio per parlare di quest’esperienza con altri adulti di riferimento.

Soprattutto in alcune regioni, sono state settimane piene di paura, che hanno coinvolto anche i bambini. Cosa potrà fare un insegnante per cercare di riprendere nel migliore dei modi tutte quelle trame che fanno di tanti studenti isolati una vera classe?

Sappiamo quanto le relazioni sperimentate con gli insegnanti e con il mondo dei pari siano fondamentali per lo sviluppo affettivo ed emozionale. Dopo l’isolamento vissuto da tutti a causa dell’emergenza una prima e importante sfida per gli insegnanti al rientro in classe sarà quella di ricostruire un clima di serenità e fiducia, in se stessi e negli altri.

Con la didattica e le amicizie a distanza, le interazioni dei più piccoli sono cambiate andando così a interrompere un normale processo evolutivo. Gli insegnanti potranno aiutare gli studenti promuovendo forme di cooperazione, di ascolto, di comprensione e di scoperta delle nuove regole di comportamento, fornendo a ciascuno gli strumenti necessari per riprendere l’apprendimento lì dove era stato interrotto.

Considerando la difficile situazione, in attesa di settembre, può suggerirci uno sportello d’ascolto o qualche iniziativa di sostegno utile a grandi e piccoli? Ci sono state moltissime iniziative sia a livello regionale che nazionale, in rete è possibile trovare vari servizi di ascolto gratuiti.

Tra questi segnalo l’iniziativa dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, a cui sto partecipando insieme a molti altri colleghi, quella del Ministero della Salute che ha messo a disposizione un numero verde nazionale per il supporto psicologico di tutta la popolazione e il Telefono Azzurro che ha aperto una sezione sul sito dedicata al coronavirus.

Questo è un periodo emotivamente molto faticoso sia per i grandi che per i piccoli. Pensando proprio a questi ultimi, consiglio nel caso dovessero insorgere paure consistenti o ad esempio difficoltà a dormire o a giocare, di non sottovalutarle e di consultare un professionista. Alcune scuole inoltre hanno attivato sportelli di ascolto online per famiglie, genitori e insegnanti.

Quindi il mio consiglio è di informarsi presso il proprio Istituto Comprensivo se è presente questa possibilità di supporto.

Foto di copertina by Deleece Cook on Unsplash

Scuole d’eccellenza: la Margherita Fasolo a Firenze

in Approcci Educativi by

Il Nido e la Scuola dell’Infanzia Margherita Fasolo, a Firenze, promuove il concetto di Scuola Attiva che, opponendosi all’autoritarismo educativo, valorizza carattere e interessi del singolo alunno fin dall’infanzia.

Se inizialmente il Nido e la Scuola dell’Infanzia Margherita Fasolo era ospitato e finanziato dalla Società di Mutuo Soccorso “Andrea Del Sarto” di Firenze, negli anni è stato spostato in viale Segni, via Faenza, via Bolognese e, infine, è approdato al numero 5 di via Cambray Digny.

Margherita Fasolo

Ma chi è stata Margherita Fasolo, che dà il nome al metodo pedagogico e a questo istituto privato, diventato negli anni scuola d’eccellenza nel panorama fiorentino (e non solo)?

Nata a Torino e trasferitasi a Firenze per ragioni di studio, Margherita Fasolo si laurea nel 1934 in Pedagogia, seguita dal pedagogista Ernesto Codignola.

Negli anni ’50 diventa non solo assistente alla cattedra di Pedagogia del Magistero fiorentino, ma anche traduttrice (dal francese) di alcuni classici dell’attivismo pedagogico, come La scuola su misura di E. Claparède e L’autonomia degli scolari di A. Ferrière.

Pubblica dunque La finalità dell’educazione, partecipando a varie associazioni internazionali educative, tra cui i CEMEA (Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva), della cui delegazione toscana è a capo.

Gli anni della guerra

Margherita Fasolo si distacca subito dal fascismo, aderendo ad un gruppo segreto in cui si leggono libri considerati proibiti. Con lo scoppio della guerra, la sua casa a Firenze, al civico 92 di via dei Della Robbia, diventa un centro di ritrovo della lotta clandestina e di assistenza ai prigionieri alleati in fuga.

Terminato il conflitto bellico, Margherita Fasolo sente l’esigenza di ricostruire l’Italia, partendo dalla scuola: da una parte, per offrire un futuro professionale ai giovani che avevano perso anni di studio; dall’altra, per il bisogno di una riedificazione culturale.

Occorre, infatti, segnare una radicale discontinuità con la scuola fascista.


Per una società di individui attivi e responsabili

Nel 1953 esce il suo Orientamenti sul problema educativo, in cui riporta le principali soluzioni pedagogiche che si collegano al bisogno di democrazia.
L’intento è dare vita a una società formata da individui attivi, responsabili, collaborativi, partecipi.

Come fare? Per Margherita Fasolo, opponendosi all’autoritarismo educativo, e valorizzando carattere e interessi del singolo alunno fin dall’infanzia, orientandolo nella direzione dell’autogoverno.

La Scuola Attiva

Tutto questo si traduce nel concetto di Scuola Attiva: l’insegnante deve conoscere e capire la psicologia del bambino, così come i suoi interessi, centrali nella stessa attività scolastica.

Così, si rinnova radicalmente il modo di “far lezione”, e si valorizza, più che il ruolo del maestro, quello dell’ambiente educativo.

Una scuola privata che non ha fini di lucro, né intenti confessionali, non può che ricercare le proprie ragioni in un’idea pedagogica che abbia le mani libere per poter sperimentare forme educative innovative, decisamente centrate sul benessere del bambino.

Il Nido e la Scuola dell’Infanzia Margherita Fasolo

L’esperienza educativa di questa scuola ha inizio nel 1965, promossa da un gruppo di genitori e di educatori facenti parte del già citato movimento educativo dei CEMEA.

Tra le caratteristiche peculiari di questa scuola d’eccellenza troviamo:

  • La pedagogia dei piccoli numeri: ideale per compiere esperienze in una situazione seguita e rilassata, con condivisione affettiva e senza un eccessivo sovraccarico.
  • Lo spazio per accogliere il disagio, di qualsiasi natura, senza trattarlo come speciale, ma considerandolo “ugualmente speciale”.
  • La programmazione, l’analisi, la verifica dell’azione educativa come elemento irrinunciabile e strumento cardine del lavoro di educatrici e insegnanti.
  • Il coinvolgimento delle famiglie nel progetto educativo, alla ricerca di un confronto e di una reciproca formazione.
La Carta dei servizi della Scuola

Realizzata in collaborazione con i servizi educativi del Comune di Firenze, e attraverso un percorso condiviso tra genitori, educatrici e insegnanti, è un documento che fa luce sul significato e sul modo di fare educazione nella scuola Margherita Fasolo.

Tra i suoi valori, spicca quello di costruire un ambiente di accoglienza laico, dove le opinioni hanno pari dignità, e il rispetto per l’altro è osservato ad ogni livello e su ogni piano.

Valore, questo, che si lega al principio di libertà nei tempi e nel vivere gli spazi, e che si esprime in un’offerta formativa ricca di proposte aperte: i bambini possano così orientarsi, riconoscersi e scegliere in base al proprio talento.

Metodi dell’Educazione Attiva

I metodi dell’Educazione Attiva che si ritrovano nel Nido e nella Scuola d’Infanzia Margherita Fasolo, sono:

  • la fiducia nelle risorse proprie di ognuno
  • la globalità dei linguaggi
  • il rispetto dei bambini: agire educativo nella totale assenza di giudizio
  • il clima di libera espressione
  • l’importanza dell’ambiente di vita elaborato dal gruppo delle insegnanti e dalla coordinatrice
  • il costante riferimento alla realtà: ciò che si propone risponde alle esigenze e competenze di quei bambini e di quegli adulti in quel momento specifico
  • l’atteggiamento educativo delle educatrici: nessuna prevaricazione né intromissione, ma presenza costante durante tutte le attività
Linee guida della scuola

I principi sopra riportati si legano indissolubilmente a queste linee guida, che fanno della scuola Margherita Fasolo un punto di riferimento nel panorama educativo:

  • attività organizzate in piccoli gruppi
  • rapporto adulto bambina/o 1 a 10 nella scuola per l’infanzia e 1 a 7 nelle sezioni “margherita” e “primavera”
  • seguire il metodo del lavoro di gruppo tra le insegnanti
  • partecipazione attiva dei genitori
  • formazione e aggiornamento permanente delle insegnanti

Per ulteriori informazioni sul metodo e sulla scuola Margherita Fasolo, clicca qui.

Didacta 2021: un’edizione digitale per la scuola che si rinnova

in Scuola by
Con Didacta 2021 riportiamo la scuola nel cuore di tutti: scopriamo insieme l’entusiasmante 4° edizione, interamente digitale

Ai nastri di partenza, con il suo carico di interessanti novità, la Fiera Didacta 2021, evento nazionale sull’innovazione della scuola, il più atteso da docenti, dirigenti scolastici, educatori e professionisti in generale del settore!

Una fiera, questa, arrivata in Italia alla sua 4° edizione, e che si svolge solitamente a Firenze, presso gli spazi della Fortezza da Basso. Questo anno, però, causa emergenza Covid-19, l’evento si svilupperà interamente online.

E dunque dal 16 al 19 marzo tutti sintonizzati sul sito ufficiale, dove sarà possibile trovare e seguire circa 170 eventi formativi del programma scientifico, e oltre 200 organizzati da enti e aziende (per iscriversi cliccare qui).

Convegni, workshop, seminari che toccano varie tematiche: il programma è suddiviso per tipologie di attività, dalla scuola dell’infanzia all’università. Si va dall’ambito scientifico e umanistico a quello tecnologico, fino allo spazio dell’apprendimento.

Un grande spazio digitale in cui confrontarsi piacevolmente e condividere idee sul futuro della scuola e che, data la veste “virtuale”, non limita in alcun modo l’accesso e la fruibilità dei suoi contenuti.

Vediamo il bicchiere mezzo pieno: non ci sarà alcuna corsa tra uno stand all’altro, con il rischio di perdersi. Tutto sarà comodamente a portata di clic!

Tra gli eventi segnaliamo:

“Che lingua parla la Musica? Come fa a raccontarci le cose? Spunti per un ascolto consapevole ma libero

In programma martedì 16 marzo dalle 13 alle 15, un seminario sul valore della musica come linguaggio universale, e dunque l’importanza di indirizzare gli alunni verso un ascolto libero e consapevole.

“Pedagogia Hip Hop”

In programma mercoledì 17 marzo – dalle 13.30 alle 15 – un seminario sulla valenza pedagogica della cultura hip-hop, che comprende, tra altre forme espressive, la musica rap.

Il viaggio segreto del virus

Questo il titolo del nuovo libro per ragazzi scritto dalla virologa e direttrice del Centro di eccellenza One Health dell’Università della Florida Ilaria Capua, e presentato da lei insieme a Marco Cattaneo, Direttore di Le Scienze e National Geographic.

Tema del libro è la scoperta delle creature più piccole, dispettose e sorprendenti dell’universo: i virus! Segnatevela in agenda: la presentazione è mercoledì 17 marzo, alle ore 11.

Scienza, Sogni, Materie Stem e Futuro

In questo seminario che si terrà venerdì 19 marzo alle ore 11, troviamo la giovanissima Linda Raimondo (classe 1999), aspirante astronauta e studentessa di fisica all’Università di Torino, in compagnia del fisico Massimo Temporelli.

Tra le novità di questa edizione:

  • DIDACTA IN CLASSE: in cui gli insegnanti potranno partecipare con i loro alunni e le loro classi ad alcuni eventi in programma.
  • FARE, NON PROVARE nuove idee di leadership educativa: iniziativa gratuita a cura dei dirigenti scolastici per l’incontro virtuale con le aziende.

Un’edizione, questa, non solo importante ma necessaria – come dice il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi – per capire l’impatto della pandemia sulla scuola, e trovare i mezzi e le soluzioni per trasformare, ripensare e rinnovare la scuola e il modo di insegnare, stare insieme, crescere. E poi aggiunge:

 Quest’anno Didacta deve essere qualcosa di più: deve essere il momento in cui la scuola torna nel cuore di tutti.

Per partecipare a Fiera Didacta 2021 occorre registrarsi online, consultare il programma scientifico e selezionare le attività che si desidera seguire, acquistando il biglietto direttamente sul portale (anche utilizzando la carta del docente).

Il biglietto, valido per tutti e quattro i giorni di mostra, ha un costo di 14€. Ma il valore dei contenuti della Fiera è decisamente senza prezzo.

La scuola allo schermo: le iniziative di INDIRE

in Arte, Musica e Spettacolo by
Con Carlo Ridolfi scopriamo oggi un “La scuola allo schermo”, un’utile piattaforma educativa di INDIRE.

Sono molto contento di segnalare un’iniziativa di grande interesse, che ha origine da un struttura pubblica, che si chiama INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa), e, in particolare, al suo interno, il progetto che si occupa delle piccole scuole.

Su www.piccolescuole.indire.it è possibile collegarsi ad una iniziativa veramente preziosa, che ha per titolo “La scuola allo schermo”.

Si tratta di una raccolta di risorse audiovisive rivolta a chiunque, in campo educativo, voglia approfondire temi culturali, sociali, economici.

Troviamo un repertorio di film, documentari, cortometraggi, interviste e altri materiali di finzione, per viaggiare tra diverse culture educative e metodi e strumenti didattici differenti.

Particolarmente indicato per la scuola primaria, ma utilizzabile a ogni livello scolastico, il “magazzino virtuale” coordinato da Pamela Giorgi e Giuseppina Rita Jose Mangione.

Il “magazzino” mette a disposizione una ricchissima bibliografia e sitografia e rimanda, tra le altre possibilità offerte, al sito www.cinemaperlascuola.it.

Il sito presenta anche il “Piano nazionale di educazione visiva per le scuole promosso dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero per i Beni Culturali”.

In più una ricca serie di webinar, davvero di grande interesse, in cui esperti e tecnici del settore raccontano le loro esperienze e riflettono sui possibili utilizzi nella didattica

Si va dalla introduzione al linguaggio cinematografico (Neva Cesari, Lanternemagiche) a “Capire, scrivere, fare il cinema a scuola” (Girolamo Macina, media educator), dal lavoro di regista di (bellissimi) documentari e in particolare del loro rapporto con la storia che propone Claudia Cipriani all’approfondimento sulla media education in ambito scolastico proposto da Alessia Rosa dell’INDIRE e dalla regista e docente di scuola secondaria di primo grado Elisabetta L’Innocente.

Questo, e molto altro, che si può trovare grazie ad un esemplare lavoro di servizio pubblico.

Fare e vedere teatro a scuola: ecco perché è necessario

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Dire, fare, vedere teatro: la perfetta armonia tra razionalità e creatività tra i banchi di scuola.

Sicuramente anche tu, nel tuo lungo percorso scolastico, ti sei avvicinato/a almeno una volta al fare e vedere teatro. Chi non ricorda, infatti, di aver preso parte ad una recita di fine anno, seppur nei panni del cespuglio immobile in 3° fila (comunque con una sua utilità ai fini della storia)?

Fare teatro è un’esperienza che coinvolge, fa riflettere, emoziona, avvicina agli altri; che siano le emozioni dei compagni sul palco, o l’empatico sentire del pubblico in ascolto.

Il medesimo turbinio di emozioni – dallo spegnersi delle luci in sala e il dissolversi del brusio, fino agli applausi finali – lo vive anche chi ne è spettatore.

Nella nostra società, in cui si moltiplicano le piattaforme social, è ancora uno strumento valido il teatro a scuola?

Oggi più che mai, con alunni che – figli dell’era Hi-Tech – mangiano pane e video Tik Tok, il teatro rappresenta uno strumento valido ed efficace. Contrasta infatti la loro grande incapacità di mantenere l’attenzione e la concentrazione, arricchisce le capacità creative e comunicative, migliora il lavoro di gruppo. Anzi, lo costruisce e fortifica, il gruppo.

Un gruppo da cui nessuno è escluso: al suo interno non esiste un qualcosa che non si sa o che non si riesce a fare, e le caratteristiche di ognuno/a trovano qui la propria dimensione.

Se ci fermiamo un attimo a pensare, il fare teatro appartiene all’istinto di ogni bambino/a che, in gruppo o da solo/a, si diverte giocando a “fare finta che”.

Facciamo finta che io sono una principessa e tu sei un principe, e voliamo con i nostri unicorni sopra l’arcobaleno, fino ad arrivare a toccare il sole?

Due personaggi, una storia, tanta fantasia: il teatro è servito.

Dunque l’attività teatrale è puro estro ed emozione?

Sicuramente è un  ottimo mezzo per il recupero della propria affettività, della propria immaginazione e creatività; non è però da intendersi solo su un piano puramente irrazionale.

L’attività teatrale è infatti anche costruzione, processo cognitivo, tecnica. Dunque, pura razionalità.

All’interno del programma didattico, l’attività teatrale – diversa dalla teatralizzazione – si pone come un lavoro trasversale. Ben impostata, si interseca con l’educazione linguistica e psicomotoria dell’immagine, del suono, della musica, ma anche con la storia, la geografia e – incredibile! –  persino con la matematica.

Come una qualsiasi materia scolastica, anche l’attività teatrale deve essere:

  • programmata annualmente
  • diluita nell’arco dell’anno
  • seguita da un operatore teatrale esterno, affiancato dal docente disposto a “mettersi in gioco”, con preferibilmente alle spalle corsi/laboratori di teatro

È bene ricordare di non separare le 2 componenti dell’attività teatrale: il fare e vedere teatro si prendono a braccetto e si rafforzano vicendevolmente, andando ad integrare con perfetta armonia quegli aspetti di razionalità e creatività spesso tenuti separati nella scuola.

Confliggere è inevitabile?

in Affettività e Psicologia by
Insieme a Giulia Lensi e Renato Palma parliamo di relazioni umane, chiedendosi se confliggere sia inevitabile o no.

Gli esperti dei Peace studies sostengono che i conflitti fanno parte della fisiologia delle relazioni umane (in pratica non è possibile “non confliggere”).

Se così fosse potremmo metterci l’anima in pace (scusate il gioco di parole) e pensare che il conflitto sia come il moto della Terra: è così e basta.
Poi viene da pensare che forse gli appartenenti a quel gruppo, solo qualche secolo fa, erano convinti, a ragione, visto che la maggioranza la pensava come loro, che la Terra fosse piatta e il sole viaggiasse su un carro.

Fatta questa breve premessa, occorre anche dire che una delle caratteristiche degli esseri umani a noi più care è il loro senso della possibilità, tanto che ci siamo inventati una serie di storie che hanno come protagonisti i Sissipole (in Toscana è così che si dice: sì, si può) ai quali dobbiamo la maggior parte delle scoperte e dei tentativi di miglioramento delle condizioni di vita. Il fuoco, le strade, le comunità, le case, l’infanzia, e chi più ne ha più ne metta.

Ci siamo immaginati che le condizioni di vita degli umani siano migliorate in questo modo. Una mattina, molti ma molti secoli fa, qualcuno (più probabilmente qualcuna) si sveglia e dice: “Ho dormito bene stanotte e ho fatto un bel sogno. Invece che sulla nuda terra avevamo organizzato un mucchio di paglia (l’idea che si potesse chiamare pagliericcio è successiva) ben delimitato sul quale dormire. Una meraviglia.

Il bello dei Sissipole era che l’idea era immediatamente accolta con entusiasmo e con una riflessione: vediamo come si può fare.

Naturalmente non tutti reagivano nello stesso modo. Qualcuno, o forse la maggioranza, scrollava le spalle, scuoteva la testa, disapprovava l’idea e se ne andava pensando: le solite donne. Erano gli Unsipole (non credo sia necessario spiegare perché li chiamavano così).

Vedete, l’espressione che più ci ha colpito nelle affermazioni rispettabilissime dei Peace studies è che la logica conseguenza del considerare fisiologico il conflitto è che, in pratica, non è possibile non confliggere.

Chissà allora quante altre cose non sono possibili, oltre a non confliggere. Se è fisiologico non avere ali, allora non è possibile volare.

Ma volendo giocare al gioco dei Sissipole, ci siamo chiesti cosa succede se non consideriamo né come fisiologico, né come inevitabile il conflitto, inteso come confronto nel quale vien fatto ricorso all’uso della forza da parte di chi sa già di essere più forte (una questione di fair play, se vogliamo), cioè nel mondo dell’educazione.

Poi ci siamo chiesti quale sia il momento di spostare una relazione dal campo affettivo a quello conflittuale, nel caso della relazione totalmente asimmetrica che si instaura tra adulti e bambini, e in questo caso ci siamo dati una risposta: il prima possibile, questo suggeriscono gli educatori più seguiti, in modo da evitare di farsi prendere la mano.

E in un certo senso li capiamo. Se si tratta di confliggere, meglio mettere subito in chiaro chi comanda.

Allora forse – un forse naturalmente gigantesco, perché i Sissipole sono pieni di possibilità e quindi di dubbi – abbiamo pensato che non è detto che tutti gli esseri umani abbiano come caratteristica fisiologica l’impossibilità di evitare il conflitto.

Così non ci siamo lasciati condizionare dai molti che sono convinti che i conflitti facciano parte della “fisiologia delle relazioni umane” e che, pertanto, ritengono che non sia possibile non confliggere.

Abbiamo solo pensato che, forse, sempre forse, è da questa loro convinzione che fanno derivare l’approccio conflittuale, e la sua giustificazione fisiologica, e anche che per questo il conflitto continua a essere, per loro, il modo in cui scelgono di educare i loro figli (o sono obbligati dalla fisiologia?).

E se invece i conflitti fossero riconducibili alle modalità con cui si stabiliscono le relazioni umane, e venissero trasmessi attraverso l’esempio delle persone di riferimento (educatori e genitori, nonni e zii e così via), che sono certi che non si possa fare altrimenti e, ovviamente, non amano essere contraddetti?

Cioè: e se il conflitto si apprende dall’esempio, come la lingua e molti altri comportamenti?

In questo caso il conflitto diventa soltanto una risposta adattiva a una relazione basata sul conflitto fin dai primi momenti dell’accoglienza. Bene, il fatto che si possa imparare a essere, generazione dopo generazione, sempre più umani, è un’idea che ci piace molto, certamente che ci rende più liberi e quindi più responsabili: i nostri comportamenti dipendono dalla cultura che creiamo o alla quale aderiamo.

È vero, siamo molto ottimisti, e pertanto, come dice Guenassia, certamente abbiamo torto, ma noi abbiamo deciso di impegnarci in una direzione del tutto diversa.

Ci siamo svegliati una mattina e ci siamo detti: secondo te è possibile immaginare un mondo senza conflitti?

Ovviamente abbiamo risposto: Sissipole!

Per questo non consideriamo i conflitti fisiologici, a un punto tale che cerchiamo di non crearne le condizioni, soprattutto nelle relazioni in cui si trasmette la cultura, e quella forma meravigliosa e molto raffinata della cultura che si chiama affetto. In questo modo quando il conflitto fa parte della relazione lo consideriamo una fase transitoria, un deficit di cultura, frutto di quel modo di vedere che lo considera inevitabile, e finisce per renderlo inevitabile.

Potremmo tentare un esperimento, ci siamo detti. Per rendere il conflitto evitabile non alleviamo le nuove generazioni nell’idea che il conflitto sia inevitabile, solo perché è uno strumento che noi scegliamo di usare. Ci è parso ovvio pensare che se semini conflitto raccogli conflitto. Proviamo, invece, a verificare la possibilità di creare un mondo nel quale la relazione, almeno quella tra due esseri umani, può diventare il luogo nel quale sia facile non ammettere l’uso neanche di una dose minima di forza, e quindi di maltrattamento.

Questo ci impegna a trattare ogni essere umano, a prescindere dall’età, come uno che ha gli stessi nostri diritti a essere trattato bene, senza quelle deroghe che sembrano necessarie a educarlo. Che dire, forse litigare per educare educa a litigare? In questo modo non sentiamo, per cominciare almeno nella relazione educativa, l’esigenza di imporre il conflitto come inevitabile. Questo perché non vogliamo giustificare in alcun modo la nostra sordità ai segnali di arresto, e quindi la scortesia, la mancanza di gentilezza.

Il conflitto, per noi, non è mai qualcosa da trasmettere “a fin di bene” o da utilizzare se “porta a una crescita”. Solo cambiando il nostro approccio, possiamo evitare di far sperimentare ai nuovi arrivati il conflitto come normale, persino utile e fisiologico. Ovviamente si può eccepire che non tutti i litigi sono conflitti, e noi, per superare queste utilissime osservazioni, preferiamo parlare di uso della forza, che viene percepita come fatica.

Se l’educazione viene percepita come faticosa da chi educa e da chi è educato, è ovvio che si sta o usando la forza o resistendo all’uso della forza. In più, quando la forza entra nel tessuto della relazione ha come conseguenza la creazione di un sentimento che certamente non facilita lo stare insieme: la paura.

I bambini hanno paura dei loro educatori, così come all’inizio gli educatori avevano paura dei bambini. Paura significa non fidarsi. Non fidarsi obbliga a difendersi e dà una brutta piega all’affetto, che comunque fa parte dello scambio di esperienze. Si può volere bene e confliggere? Per molti la risposta è ovviamente sì. Ma la domanda dovrebbe essere: si può trattarsi bene e confliggere? Qui la risposta non è così immediata.

Il conflitto non è mai un modo di trattarsi bene, o di trattare bene.

Il conflitto rompe i legami di fiducia, genera paura e distanza, rende difficile la comunicazione, impossibile l’intimità. Allora, come sanno molti, anche nelle relazioni è meglio prevenire, se possibile, i conflitti e quelle forme di maltrattamento che generano sofferenza. Non dimentichiamo che stiamo parlando di relazioni di prossimità che sono la matrice della relazione con sé stesso.

Pertanto preferiamo chiederci come fare per evitare una sottovalutazione di qualsiasi uso della forza. È successo così.

Un’altra mattina qualcuno si è svegliato e ha detto: abbiamo già fatto tanto a inventare la scuola, la famiglia. Che ne pensi se troviamo il modo di rendere la scuola, e in generale la relazione educativa, uno spazio gentile?

La risposta potete immaginarla.

Auguri di buon Natale… con le rime di Maria Loretta Giraldo

in Redazione by
Librì Progetti Educativi vuole augurare un sereno Natale a tutti i lettori di Occhiovolante con un’inedita filastrocca di Maria Loretta Giraldo.

Dunque, auguri alle insegnanti e agli insegnanti, auguri alle ragazze e ai ragazzi, auguri alle bambini e ai bambini, auguri alle famiglie… e a tutti quelli che ogni giorno si impegnano per rendere migliore la nostra scuola.

25 DICEMBRE 2020
di Maria Loretta Giraldo

In questo giorno,
ognuno lo sa,
verrà Natale
e ci porterà
magi, capanne,
stelle comete,
tante lucine
appese all’abete…

…E un vecchio Babbo
con tanti doni
per i bambini
che son stati buoni.

Però quest’anno,
Babbo Natale,
ti prego, scendi
in ogni ospedale,
va’ silenzioso
di stanza in stanza
col sacco pieno
di gioia e speranza,
mettine tanta
in ogni pacchetto,
che ognuno la trovi
ai piedi del letto.

Qui trovate il nostro calendario 2021: https://bit.ly/CalendarioLibrì2021

A scuola con la dislessia

in Bisogni Educativi Speciali by
La dislessia è uno dei disturbi dell’apprendimento più diffusi, eppure ancora oggi la dislessia non viene sempre riconosciuta, creando problemi in bambini e ragazzi.

Bianca è una bambina che frequenta la classe terza della primaria, è piena di vita e le piace fare sport, ma ha un problema. Ogni volta che la maestra la chiama per leggere ad alta voce, le lettere davanti ai suoi occhi cominciano a muoversi, a ribaltarsi, a contorcersi e le parole perdono di significato. Sì, perché è così grande l’impegno che Bianca deve mettere per leggere quelle parole, che alla fine non riesce neanche a capire quello che ha letto. Eppure Bianca non è svogliata né pigra, e sta sempre molto attenta quando la maestra spiega.

Col tempo, questa difficoltà è diventata così ingombrante che Bianca si sente spesso a disagio, è fragile, e col tempo le ha creato dei problemi nell’apprendimento e nell’andamento scolastico. Anche nei rapporti con i suoi compagni e con gli adulti, Bianca si sente spesso in difficoltà: è stanca di vedere sul volto degli altri la delusione o il sorriso. Si sente sempre più inadeguata, meno intelligente, e si chiude sempre più in se stessa. Finché un giorno una giovane insegnante appena arrivata nella sua classe intuisce qual è il problema di Bianca…

Questa di Bianca è una storia inventata, ma non così tanto, perché assomiglia alla storia di tanti altri  bambini e bambine che soffrono di dislessia, considerata oggi il disturbo dell’apprendimento più diffuso: secondo i dati dell’AID – Associazione Italiana Dislessia, sono circa 1.500.000 gli individui che ne soffrono in Italia.

Ma cos’è la dislessia?

Forse è meglio dire cosa non è la dislessia! Non è un deficit di intelligenza né è dovuta a problemi ambientali o psicologici, né a deficit sensoriali o neurologici. L’International Dyslexia Association ci dice che “è caratterizzata dalla difficoltà ad effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio”.

Il risultato è che il bambino dislessico fa così tanta fatica a leggere e a scrivere – perché impegna tutte le sue energie! – che si stanca prima degli altri, è quindi portato a commettere degli errori, a rimanere indietro, ad avere difficoltà nell’apprendimento. Anche se sono studenti intelligenti, svegli e creativi! Per questo è importante riconoscere subito questo disturbo: per la loro autostima, per far vivere loro con serenità il gruppo classe.

Ed è, questo, un aspetto fondamentale! La dislessia, come tutti gli altri disturbi dell’apprendimento e come altre patologie di diversa natura, ha un ruolo importante anche nelle relazioni della classe. Riconoscerla e mettere in moto gli strumenti necessari significa favorire la nascita di una classe inclusiva:

“Educazione per tutti significa effettivamente per tutti, in particolare quelli che sono più vulnerabili e hanno maggiormente bisogno”. (Prefazione alla Dichiarazione di Salamanca su educazione e bisogni educativi speciali)

Parliamo di temi importanti, come la diversità e l’inclusione scolastica, argomenti quanto mai attuali nel mondo della scuola. Questi sono anche i temi principali diPiù unici che rari”, una campagna nazionale rivolta alle scuole secondarie di I grado, realizzata da Librì Progetti Educativi e Sanofi. Il progetto vuole porre l’attenzione dei ragazzi – e delle loro famiglie – su tutte quelle difficoltà e barriere che possono nascere in una classe in presenza di determinati disturbi o patologie.

Oltre ai DSA come la dislessia, o ad altre patologie, la campagna vuole accendere i riflettori anche sulla categoria delle malattie rare, riguardo alle quali Sanofi è da molti anni in prima linea nella ricerca e nello sviluppo di terapie e soluzioni.

Una campagna educativa che oggi è diventato anche un libro, scritto da Sabrina Rondinelli e illustrato da Francesco Fagnani.

A proposito di dislessia, tra i più giovani ha avuto un grande successo – e tantissime visualizzazioni su Youtube – la canzone scritta e interpretata da Lorenzo Baglioni, L’arome secco sé.

La canzone, sviluppata con la collaborazione di AID, “affronta il tema della dislessia con ironia e leggerezza ma anche con sensibilità e rispetto”, senza dimenticare che tutto il ricavato delle vendite digitali della canzone verrà destinato ai progetti AID a favore dei ragazzi e delle ragazze con DSA.

Giornata mondiale dell’insegnante: 6 parole per il prossimo decennio

in Scuola by
In occasione della Giornata mondiale dell’insegnante, indetta dall’UNESCO per il 5 ottobre, abbiamo raccolto 6 parole-chiave da docenti di diverso ordine e grado

Pensata e voluta dall’UNESCO nel 1994, la Giornata mondiale dell’insegnante promuove la cultura e l’educazione in tutto il mondo per raccontare una professione che riveste un ruolo così delicato e fondamentale in tutte le società.

Istituita per ricordare la sottoscrizione delle “Raccomandazioni sullo status di insegnante” del 1966, documento di riferimento per i diritti e le responsabilità dei docenti a livello mondiale, è l’occasione per riflettere sulle condizioni, non sempre facili, in cui gli insegnanti spesso devono svolgere il proprio lavoro.

Un ruolo, quello dell’insegnante, che negli ultimi anni è divenuto sempre più centrale grazie anche all’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 sottoscritta dalle Nazioni Unite, “Istruzione di qualità”: l’obiettivo indica proprio negli insegnanti quei soggetti fondamentali per attuare, a livello mondiale, un’educazione di qualità, equa e inclusiva per tutti.

Quest’anno più che mai ci sembra importante celebrare questa ricorrenza dando voce proprio agli insegnanti. Abbiamo parlato con tre docenti di diverso ordine e grado, chiedendo loro due parole ciascuno che possano guidare la scuola attraverso le sfide del prossimo decennio.

Carla Caiafa, della scuola primaria, ha raccontato le parole autorevolezza e fiducia.

Autorevolezza: è fondamentale per il presente e per il futuro ripristinare e affermare il ruolo autorevole che gli insegnanti rivestono di fronte alle famiglie e nella società. Essere docenti significa saper trasmettere il sapere, saper educare e valorizzare i propri alunni. Insomma, è un mestiere molto difficile, che può svolgere solo chi ha fatto un percorso di studi ben preciso. Queste figure professionalmente competenti e preparate, quindi, meritano il riconoscimento e il rispetto molto spesso dimenticati.

Fiducia: in particolare per la scuola primaria, è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia e di stima reciproca con le famiglie e soprattutto con i bambini, mantenendo molto chiaro e fermo il ruolo che ognuno riveste. Le famiglie devono potersi fidare del lavoro e della figura dell’insegnante a cui “affidano” i propri figli per molte ore al giorno; i bambini devono essere accolti in un clima di serenità che stimola l’apprendimento e la relazione sociale. La figura del docente deve valorizzare le singole individualità, stabilire poche ma essenziali regole e promuovere l’entusiasmo per lo studio cercando strategie varie che “aggancino” l’interesse e la motivazione degli scolari. Bisogna, inoltre, stare sempre molto attenti a rispettare i tempi e le modalità di apprendimento individuali, poiché ogni studente ha una maturazione intellettiva e conoscitiva diversa.

Valerio Camporesi, della scuola secondaria di I grado, ci ha portato le parole individuo e libertà.

Individuo: Nella società di oggi, ”di massa”, essere individui è forse la cosa più difficile. Il continuo afflusso di messaggi e di richiami veicolati dai media tende inevitabilmente a uniformare le coscienze e i comportamenti degli individui, ridotti sempre più a ‘persone’ nel senso latino di ‘maschere’, funzionali e assoggettate a un pensiero unico che non lascia molti spazi di libertà. Questo processo di omologazione in cui siamo immersi – già descritto nel lontano 1919 da Herman Hesse nel suo memorabile incipit di Demian – non poteva non toccare anche gli insegnanti, sempre più costretti ad adeguarsi in modo più o meno conscio a parole, stilemi, modelli imposti dall’alto. Un esempio è quel vocabolario caratterizzato da un lessico quasi imposto ai docenti da ormai troppo tempo, fatto di parole tutte uguali, ripetute, che è riuscito a svuotare di ogni significato vocaboli di per sé nobili come “empatia” e “resilienza”; svuotate perché divenute standard e non il prodotto di un moto individuale. Si pensi anche al dominio culturale del pensiero unico a livello economico, che è riuscito a imporre nella valutazione dell’esame di Stato lo spirito di imprenditorialità, come se un alunno di terza media potesse avere qualcosa a che fare con una simile categoria. Perché un insegnante non può opporsi a una tale aberrazione? E si pensi anche ai modelli imperanti stile Attimo fuggente, sempre estroverso, attoriale in senso quasi clownesco, tanto giovane da dialogare con gli alunni attraverso i mezzi propri dell’uniformazione. È ancora ammesso essere insegnanti diversi, magari vecchio stile, poco o per nulla alla moda? Se anche nel mondo della scuola spingiamo sul pedale dell’uniformazione non potremo avere che un mondo sempre più massificato, fatto di ‘maschere’ incapaci di pensare con la propria testa. Se gli insegnanti sono costretti all’omologazione, molto probabilmente lo saranno anche i loro allievi e la scuola perderà la propria funzione primaria, quella di e-ducere, trarre fuori da ognuno la propria individualità e manifestare il proprio essere un tentativo prezioso e davvero unico.

Libertà: parola strettamente connessa alla prima, e dai significati quanto mai complessi, anche in riferimento al lavoro dell’insegnante. Non c’è traccia, nei nostri paesi avanzati, di quella mancanza di libertà di insegnamento di cui parla il documento dell’Unesco: mancanza terribile, difficile anche solo da immaginare per noi occidentali, e che purtroppo caratterizza le aree più emarginate e sfortunate del globo. Ma nei ‘nostri’ paesi c’è, o rischia di esserci, una mancanza di libertà più sottile, quella che, in base alla malaugurata introduzione del concetto di competitività anche tra le scuole, sempre più in gara ad accaparrarsi iscritti, spinge i dirigenti a premere sui docenti affinché si allineino a determinati parametri, a determinati modi di insegnare e di valutare, più accattivanti verso gli utenti (perché adesso si chiamano così). Le forme di pressione sono state e possono essere le più varie, dalla valutazione agli stili di insegnamento, tali comunque da rischiare di condizionare quella libertà di docenza cui tanto spesso ci si riferisce e di cui parla – e bene – anche la nostra Costituzione. Per valorizzare appieno il ruolo ed il lavoro degli insegnanti occorrerebbe riflettere su come la competizione – questa parola cardine del pensiero unico attuale – possa forse andar bene quando parliamo di gelati o di cellulari ma non di istruzione, un mondo che dovrebbe essere lasciato libero – per l’appunto – da ogni forma di condizionamento affinché possa veramente assolvere alla propria funzione, a quell’educere di cui parlavamo prima.

Francesca Maggi, della scuola secondaria di II grado, ci ha portato le parole ascolto e conoscenze.

Ascolto: è imprescindibile per progettare una scuola rinnovata in grado di reggere la sfida del presente e del futuro; questo del resto si rivela sempre più difficile da prevedere, data la velocità dei cambiamenti che siamo chiamati ad affrontare. Bisogna intanto ascoltare gli studenti: si tratterà, sì, di comprenderne umori ed esternazioni, dunque richieste, ma oggi l’insegnante medio si impegna, fortunatamente, a farlo; ma anche di ascoltare gli stessi docenti, soggetti fondamentali della pratica educativa, perché sanno cogliere i bisogni nei ragazzi e possono riconoscerne le carenze, aiutandoli a non rimanere intrappolati nell’inganno della Rete, che facilmente crea l’illusione di possedere conoscenze, competenze a capacità. Solo premendo un pulsante puoi visualizzare molteplici dati, ma ciò può anche non derivare da un tuo “merito” specifico. La scuola del futuro non dovrà perciò rinunciare ad ascoltare i docenti, perché quello che loro percepiscono, con la passione e l’impegno quotidiani, è qualcosa che i burocrati non sono in grado di cogliere, perché distanti dalle realtà singole e specifiche. Noi docenti abbiamo sempre più netta la percezione di una distanza tra il palazzo e la piazza, di una nebbia (Guicciardini, Ricordi) che deve essere rapidamente diradata.

Conoscenze: credo che la questione della “didattica per competenze” ci sia sfuggita di mano. Gli slogan, utilizzati prima per “risvegliare” le coscienze, possono diventare parole vuote. Non si devono abbandonare le competenze come obiettivi (il loro esplicito riconoscimento è stato un necessario cambiamento rispetto alla scuola del passato). Ma nel tentativo improvvido di sostituire le conoscenze con le competenze, la scuola si è spogliata del suo compito: educare gli studenti a formarsi un bagaglio perenne di conoscenze, da ampliare poi autonomamente grazie alle competenze acquisite. Le conoscenze che davvero possono dirsi tali sono quelle che restano, punto di riferimento duraturo e in fondo i giovani le chiedono, perché solo dall’unione di conoscenze e competenze si crea una sicurezza. Viviamo in un “mondo liquido”, fatto di globalizzazione e digitalizzazione, che possono illudere che non ci si debba più affannare a studiare, ma il punto è un altro. Non si tratta allora di intraprendere una battaglia contro il digitale (comunque strumento di miglioramento e velocizzazione delle operazioni), ma di far emergere la necessità anche di conoscenze apprese con l’impegno costante: perché “non fa scienza, sanza lo ritener, l’aver inteso“.

In copertina: Giulia Orecchia per Librì “Una classe di tutto rispetto”.

La scuola al primo posto?

in Scuola by
La riflessione di Valerio Camporesi sull’importanza, oggi, della scuola all’interno della società italiana.

Essendo la nostra una società dell’apparire, da giorni la scuola appare al primo posto sui media e nei dibattiti politici: ma lo è veramente? Lo è senz’altro in quanto a preoccupazione, visto che una falsa ripartenza pregiudicherebbe le sorti non solo del ministro ma forse dell’intero esecutivo: avendo avuto il governo mesi di lavoro a disposizione e non essendo i cittadini più in grado di far fronte a una scuola che non c’è, gli italiani non tollererebbero passi falsi. Pre-occupazione, dunque: ma occupazione? Quanto ci si è occupati veramente della scuola?

Non abbastanza, verrebbe da dire subito, a sentir parlare anche l’ex ministro Fioramonti, che ha più volte denunciato la carenza degli organici, in particolar modo di quello relativo agli insegnanti di sostegno, docenti la cui presenza è ancor più importante e necessaria in questo periodo emergenziale e che invece in molti casi non saranno disponibili alla ripresa della scuola. Non ci si poteva pensare prima, così come per il problema del trasporto degli studenti o per quello della carenza degli spazi? Faceva effetto, in questi primi giorni di ritorno a scuola, vedere i colleghi con i volti velati dalle mascherine, far fatica a sentire le voci “mascherate”. Faceva ancora più impressione sentir parlare di aule Covid, di misure da adottare in caso di sintomi, di un distanziamento che si cerca di attuare ma che, inevitabilmente e almeno in parte, non ci sarà.

È come se un linguaggio diverso, estraneo al mondo della scuola, fosse improvvisamente piombato all’interno delle nostre aule. E lo smarrimento di questi primi giorni è già non poca cosa: cosa sarà dopo, di fronte ai purtroppo prevedibili momenti di confusione, indecisione o – peggio ancora – panico che potrebbero scatenarsi durante il periodo delle inevitabili influenze stagionali? Saranno gli alunni e i docenti, il corpo della scuola tutto, in grado di reggere l’urto?

Il peso, effettivamente, sembrerebbe troppo, e per questo servirebbe – ma presto, molto presto – che le scuole venissero aiutate veramente, per esempio dotandole di personale medico adeguato (il vecchio medico scolastico, che soltanto ragioni di bilancio hanno a suo tempo eliminato). Ma di questo, almeno per ora, non c’è traccia. Eppure se ne avverte il bisogno fin da questi primi giorni, nei quali si intravede come, accanto al problema sanitario, ne possa emergere un altro, non necessariamente secondario: quello di un disagio psichico che la società già manifesta (valga per tutti l’indicatore dell’aumento spropositato del consumo di psicofarmaci). Ecco, di fronte a queste emergenze (purtroppo realistiche), la scuola non può essere lasciata sola e sarebbe bello se questa fosse l’occasione di un’inversione di rotta che mettesse l’istruzione al primo posto non nelle parole ma nei fatti.

Per ora, al di là della buona volontà dei singoli (ministri, sottosegretari, funzionari), si stenta a riconoscere il segno di un cambiamento vero. Prova ne sia la vicenda – davvero imbarazzante – delle elezioni fissate a ridosso della riapertura delle scuole, così da rendere zoppo e problematico il loro cammino fin dall’inizio in quello che si preannuncia come l’anno più tormentato della scuola italiana. Eppure sarebbe bastato poco, cosa costava anticipare l’appuntamento elettorale al 7? Ma sono le ragioni della politica, non la politica che si occupa della polis ma quella che si occupa degli interessi dei partiti e della loro sopravvivenza, a venire sempre prima; e la scuola, almeno per ora, a venire dopo.

La scuola che verrà: i limiti e i problemi

in Scuola by
Proviamo a far luce, insieme a Valerio Camporesi, sui limiti e i problemi della scuola. Ma anche a immaginare come sarà nel prossimo futuro.

Forse mai come in questo periodo si parla così tanto di scuola: lo si fa sull’onda dell’emergenza e dei pesanti dubbi su ciò che accadrà a settembre, tanto da riempire spesso le prime pagine dei giornali. L’emergenza Covid-19 ha fatto venire al pettine i tanti nodi irrisolti e i limiti del sistema Italia (come la Sanità). Nel caso della scuola, ha messo in luce in modo improcrastinabile i limiti e le difficoltà di un sistema gravato da miliardi di euro di tagli e da nessuna, o scarsa, considerazione in sede politica.

Trovare fondi per la scuola appare oggi un’impresa titanica, laddove ne sono stati stanziati molti di più per altre cause, sempre più importanti, sempre più indifferibili, o a volte già perse (come per Alitalia). La scuola all’ultimo posto, potremmo dire per rovesciare – in modo ahimè ben più realistico – uno slogan oggi ricorrente.

A differenza di altre volte, però, c’è qualcosa di diverso. O la scuola riparte, e riparte sul serio, oppure il Paese si fermerà, e non sarà una fermata breve. Non è possibile infatti immaginare milioni di famiglie impossibilitate a lavorare a causa di una scuola che non c’è, né milioni di studenti che, confinati nelle loro case, saranno destinati ad accumulare ritardi incolmabili nei programmi e nella didattica, con danni irreparabili per i destini individuali e collettivi.

Per fare ripartire la scuola occorre però un cambio di paradigma, a partire da una centralità non più solo esternata verbalmente ma praticata nei fatti, iniziando dalla restituzione di tutti quei fondi tagliati; a partire dai famosi tagli ”lineari” della non rimpianta ministra Gelmini.

Senza di ciò la scuola non ripartirà, perché le misure di distanziamento non potranno essere applicate in classi di venticinque o trenta alunni, così come le altre norme. C’è voluto il Covid-19, forse, per fare emergere la realtà delle aule sovraffollate, in cui i docenti non sono in grado di fare lezione. A volte ci vuole un evento forte per illuminare le cose.

Dovremmo smettere di dire che la scuola può ricominciare con tutta quella serie di misure.

Quelle misure infatti non saranno mai adottate per il semplice fatto che non sono realizzabili in strutture scolastiche: dalle mascherine al distanziamento, dagli alunni fermi sei ore sui propri banchi, sui quali dovrebbero consumare anche la propria merenda, fino alle ineffabili barriere di plexiglas. Perché non dire la verità? La scuola deve ripartire con le modalità tradizionali perché è l’unico modo di fare scuola, dai tempi dei tempi: alunni (nel numero giusto), un’aula, un insegnante. E invece no: dalle lezioni nei parchi a quelle nelle piazze, nei teatri o in strutture non meglio specificate, che i presidi dovrebbero (con quali poteri?) individuare, è stato tutto un profluvio di immagini, narrazioni, discorsi irrealistici.

Non si può non riconoscere l’oggettiva difficoltà di chi ha dovuto e deve prendere decisioni in campo scolastico partendo dalle indicazioni degli organismi sanitari non sempre chiare e coerenti. Però vorremmo più ragionamenti seri, basati sulla realtà: ad esempio (e a proposito di tagli), non sarebbe forse questa l’occasione per ripristinare le ore di compresenza alla scuola media? Si trattava infatti di uno spazio che funzionava benissimo, circa quattro ore a settimana in cui la classe veniva divisa in sottogruppi ognuno dei quali assegnato ad attività specifiche e ad hoc (recupero, potenziamento), purtroppo eliminato dalla riforma Gelmini che altro non era che un corposo piano di tagli generalizzati.

Crediti immagine di copertina: Roel Dierckens

Roberto Piumini per Occhiovolante

in Letture in classe by
Roberto Piumini
Si chiude in questi giorni il più lungo esperimento didattico (involontario) che la scuola italiana abbia conosciuto. Riceviamo e con gratitudine pubblichiamo due poesie di Roberto Piumini su questo difficile periodo.
Il virus venne, misteriosamente,
e si attaccò, fattivo e silenzioso,
al gran corpo di noi, bruciando fiato
a molti, spaventandoci, filando,
attorno a noi, un bozzolo d’attesa,
sfocata e ottusa, immobile sorpresa.
La macchina mondiale ha scricchiolato,
in un dubbioso brivido, di sé,
e, come feti acerbi, ha generato,
più che di norma, nuove povertà.
Feroci, pronti a prendersi il primato,
si accendono i vaccini, qua e là.

I morti è gente quieta: 
il loro dire, è solo il nostro eco, e loro assenza
è il mancamento della nostra vita,
loro silenzio è la nostra voce
taciuta in faccia al mondo.
I morti sono, sotto la loro quieta apparenza,
l’ansiosa lena del nostro futuro,
la reticenza di felicità,
il sogno balbettante e solitario
che ci guasta la veglia; i morti sono,
l’alta pazienza, la consolazione,
attorno al nostro lamento d’amore.

Roberto Piumini http://www.robertopiumini.it/ è nato a Edolo (BS) ed è autore saggista e traduttore.
Ha scritto racconti, romanzi, fiabe e poesie per bambini, ragazzi e adulti, pubblicati per i maggiori editori italiani ed esteri. È autore di testi per opere musicali e teatrali, trasmissioni tv (L’Albero Azzurro), radiofoniche (Il mattino di zucchero) e cartoni animati. Per Librì Progetti Educativi ha realizzato I giochi coraggiosi (2011) https://www.occhiovolante.it/2017/leggere-un-gioco/ , Batticuore e altre emozioni (2012) e Lo zio diritto (2007)

credits immagine: https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Incontro-con-Roberto-Piumini-4289465.html

Maratona letteraria: gli insegnanti leggono Pinocchio

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Il 30 maggio dalle ore 15.00 va in scena la prima maratona letteraria dedicata a Pinocchio, il più famoso burattino del mondo e a tutti i docenti d’Italia.

82 insegnanti, provenienti dalle regioni di tutta Italia, leggeranno i 36 capitoli di Pinocchio in versione integrale. La maratona letteraria è un evento straordinario – in diretta YouTube Premiere – per riscoprire un grande classico della letteratura italiana e mondiale.

L’iniziativa nasce da Librì Progetti Educativi come un ringraziamento verso tutta la classe docente italiana così straordinariamente provata nei lunghi mesi di chiusura scolastica. Ma anche per porre in risalto un aspetto mai troppo sottolineato: il grande legame relazionale e affettivo tra docente e studente, fondamento della relazione educativa.

Per l’occasione, il professor Franco Nembrini – pedagogista, insegnante e volto noto della televisione, nonché uno dei massimi studiosi italiani di Dante e Collodi – ci racconta il valore di leggere oggi Le avventure di Pinocchio

Il bello della grande letteratura è che è in grado di rispondere a qualunque tipo di domanda. I testi letterari infatti non sono – come certa critica vorrebbe, e ahinoi troppi manuali scolastici insegnano – cadaveri di cui fare l’autopsia. Sistemi chiusi in se stessi di cui cercare solo le corrispondenze interne, per ricavare al massimo le “intenzioni dell’autore”.

No, un testo letterario è una creazione viva, che ha la straordinaria capacità di dare risposte sempre nuove a seconda delle domande poste dal lettore.

I grandi scrittori hanno una grande esperienza dell’umano. E per questo io posso interrogarli e scoprire nella loro esperienza qualche elemento che può illuminare la mia.

Come dice, con altre parole, uno dei massimi studiosi di letteratura del nostro tempo, Tzvetan Todorov, nel suo prezioso pamphlet La letteratura in pericolo:

Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità e ci arricchisce, perciò, infinitamente, per cui il mondo reale diventa più ricco di significato e più bello.

Collodi, con le sue “Avventure di Pinocchio”, si concentra sull’infanzia, con l’idea che se vogliamo costruire un mondo migliore dobbiamo ricominciare dai bambini; e nel parlare ai bambini ritrova, consapevolmente o meno, quell’immagine del mondo che lui stesso da bambino aveva respirato, quello della tradizione cristiana, che ha dato forma alla civiltà occidentale.

In fondo questo ritorno all’infanzia, e al linguaggio fantastico e simbolico che la caratterizza, è sempre un ritorno alle origini, un ritorno alle sorgenti della vita e del linguaggio stesso.

Le cose più grandi e più importanti non si imparano attraverso complicati ragionamenti ma con l’immediatezza di un’immagine in cui sia descritta, fotografata, un’esperienza reale.

In questo forse il compito della letteratura in generale e della letteratura per i bambini in particolare, è più grave che in passato: si tratta di aiutarsi a riconoscere e ad affrontare le domande fondamentali dell’esistenza cioè le domande sul senso delle cose, sul loro destino”.

Per seguire l’evento in diretta basta connettersi su  www.maratonapinocchio.it o cliccare qui: https://youtu.be/rd2Rrw8Gt2s

Vi aspettiamo sabato 30 maggio 2020 dalle ore 15:00!

La geografia: una materia da rimettere al centro

in Approcci Educativi by
Cecilia Caproni ci racconta la sua esperienza di insegnante e il modo in cui la geografia può dare agli studenti importanti strumenti operativi

Riportare la geografia al centro del discorso didattico non è un’impresa da poco. Negli ultimi anni sono comparsi diversi articoli che ne denunciano la marginalità all’interno del bagaglio di conoscenze e competenze che i ragazzi organizzano lungo il percorso scolastico.

La domanda che mi pongo, a partire dalla mia personale esperienza di insegnante, è: “quali strumenti operativi può dare la geografia a ventisette ragazzi di una periferia complicata, spesso cruda, che li fa crescere così tanto rapidamente rispetto ai loro coetanei?”.

Se la geografia, come tassello del vasto mosaico della “cultura”, serve alla sopravvivenza personale, non basta dirlo! Si deve anche dimostrare ogni giorno ed è indispensabile che i ragazzi innanzitutto sentano che la materia con cui lavorano sia calda e attuale.

Percorso in aula

Il percorso in aula si apre con quella che chiamiamo pillola d’attualità; sollecitando la loro curiosità, espongo la principale notizia dal mondo, della settimana. Ci serviamo della LIM per trovare articoli, saggi, video-testimonianze: tutto quel materiale che ci aiuti a focalizzare l’argomento. Nascono così meravigliose e intricate mappe di gesso e ardesia: dalla notizia di una scoperta scientifica, di un’epidemia, di un costume in diffusione globale, di un’iniziativa sociale con adesioni crescenti, iniziamo a dare forma ai territori da cui quella proviene.

La mappa si può espandere anche tramite semplici domande che sollecitino l’immaginario collettivo: “Cos’altro sapete del Perù?”, “A cosa pensate se dico cultura orientale?”, “Come immaginate sia il deserto?”.

Gruppi cooperativi

Verificata la fondatezza delle informazioni, attraverso il fact-checking, i ragazzi – organizzati in gruppi cooperativi – si confrontano, si scambiano informazioni, discutono, collaborano. Si costruisce attraverso queste esperienze di partecipazione un senso adeguato di comunità e una percezione positiva di sé stessi, in quanto stimolati, ascoltati, inclusi.

Grazie a questa prima fase di lavoro, diamo una vera e propria tridimensionalità al territorio: ci serviamo di carte geografiche semplificate o mute, per collocare a livello spaziale immagini, parole e persino piccoli oggetti che racchiudano fatti, costumi, tradizioni, cibi, dinamiche economiche, caratteristiche climatiche e ambientali, popolazioni… In questo modo, le carte diventano “vive” e fanno da supporto alle clip che i ragazzi si costruiscono interiormente.

È necessario inserire queste clip in una trama di sequenze poi organizzate a loro volta nel “film” verbale dell’esposizione, perciò individuiamo le connessioni tra gli aspetti peculiari dell’area geografica considerata. Per farlo, riporto all’attenzione dei ragazzi gli “indizi” inseriti all’interno della carta geografica, avviandoli alla loro sistematizzazione.

Scoprendo ad esempio che esistono diverse tipologie di cereali, la cui coltivazione può essere legata o meno al fenomeno della monocoltura, rileviamo l’incidenza socio-economica che questa ha sulla popolazione locale e sugli attori esterni, generando particolari condizioni di povertà o sviluppo, dunque di urbanizzazione.

La sfida

A ciò si arriva attraverso il momento ludico della sfida: i ragazzi, ancora divisi in gruppi, devono appuntarsi quanti più nessi di causa-effetto possibili creando dei piccoli “temi”, elicitando il pensiero logico e il pensiero divergente, con associazioni originali e punti di vista inediti.

Si ritorna finalmente assieme per commentare i nessi tematici, argomentandone la validità, in modalità “dibattito”.

I “temi” vanno a costituire i passaggi di un primo testo informativo collettivo sui cui lavorare per l’esposizione individuale.

Il ragazzo può progettarne individualmente l’ampliamento, attraverso gli artefatti della sua creatività.

Un caso si è sviluppato dalla realizzazione di un bellissimo dipinto incentrato sulla figura della geisha. Stimolata non solo dall’abilità e dagli interessi di una mia alunna, ma anche dalle conoscenze acquisite sul Giappone, con la contestualizzazione geografica e artistica effettuata grazie al contributo dell’insegnante di arte, in un’ottica interdisciplinare.

Opera di narrativa

Un altro esempio è stato fornito dall’elaborazione critica di un tema, approntata da un piccolo gruppo di studenti, a partire da testimonianze tratte da opere di narrativa: una presentazione argomentativa è quanto hanno realizzato circa il fenomeno degli uragani e la sua incidenza nei confronti delle fasce sociali più deboli della popolazione americana, traendo spunti di riflessione dalla lettura di alcuni capitoli del libro di Jesmyn Ward, “Salvare le ossa”, imbastendo un confronto empatico col vissuto della protagonista, loro coetanea.


Un percorso didatticamente specifico può dare, in questo modo, ai ragazzi, il senso liberatorio della possibilità espressiva e al tempo stesso la consapevolezza che le proprie capacità debbano crescere con gradualità, grazie a radici solide, coltivate con impegno e coraggio, sottraendo spazio a quei processi di “falsa crescita”, messi inconsapevolmente in atto in seguito a richieste incongruenti dell’esterno: anche questi piccoli tentativi di educazione culturale possono essere utili ad invertire la propria rotta interiore.

Credits foto copertina: Sam Klein

La comunicazione prima e dopo il Coronavirus

in Approcci Educativi by
Come cambia la comunicazione ai tempi del Covid-19: ne parliamo con la professoressa Benedetta Baldi.

Un virus inaspettato e dal nome sinistramente evocativo ha fatto irruzione in maniera inaudita nelle nostre vite. L’emergenza legata al Coronavirus (Covid-19) ha creato un cambiamento radicale nel nostro modo di vivere e, conseguentemente, nel nostro modo di comunicare e stare con gli altri.

Nelle aziende si è messo in atto lo smartworking, finora poco utilizzato nel nostro Paese; Pubblica Amministrazione e musei si stanno sempre più appoggiando ai social. E nelle scuole di ogni ordine e grado è partita – anche se in maniera non uniforme sul territorio – la didattica a distanza.

Nella scuola italiana, a livello tecnologico, è stato fatto un improvviso salto in avanti nell’uso di social e piattaforme on-line, che molti già auspicavano.

Suona dunque profetico un celebre aforisma di Kafka: “Da un certo punto in là non c’è più ritorno. È questo il punto da raggiungere”.

Per capire insieme agli insegnanti e agli educatori che seguono Occhiovolante cos’è accaduto e cosa potrebbe accadere, in ambito scolastico, abbiamo rivolto qualche domanda alla professoressa Benedetta Baldi.

La professoressa è Presidente del Corso di Studio in Scienze Umanistiche per la Comunicazione dell’Università di Firenze e Coordinatore del Master in ‘Pubblicità istituzionale, comunicazione multimediale e creazione di eventi’.

Prima di tutto, grazie per averci dedicato un po’ del suo tempo. In queste settimane, insegnanti di ogni ordine e grado si sono dovuti “reinventare” docenti a distanza per continuare la didattica. Come pensa che gli insegnanti – ma anche i bambini e i ragazzi – abbiano risposto a questo nuovo modo di fare scuola?

La familiarità con i mezzi di comunicazione digitali ha senz’altro facilitato la maniera di affrontare una contingenza così imprevista e drammatica. Certo, gli insegnanti e gli studenti hanno dovuto abituarsi ad un utilizzo del digitale più intenso, complesso e con nuove finalità. Rispondendo in generale in maniera efficace.

Tuttavia, l’intera comunicazione, non solo quella scolastica, risente di un disagio generale legato al fatto che negli esseri umani l’interazione in presenza, l’esperienza diretta e il coinvolgimento attivo sono essenziali dal punto di vista cognitivo.

Gli insegnanti mirano a riprodurre queste condizioni. Cercando di superare le differenze culturali e socio-economiche per cui ancora il 33,8% delle famiglie non ha un computer.

Quali consigli può dare, da esperta sulla comunicazione, agli insegnanti per utilizzare al meglio gli strumenti della didattica on-line?

In molte aree dell’insegnamento, le tecnologie multimediali hanno da tempo favorito nuove modalità di apprendimento, come nel caso delle lingue. Inoltre l’impiego di strumenti digitali per aumentare e compensare le conoscenze mostra che è possibile realizzare forme di collaborazione all’apprendimento, anche non in presenza.

Le potenzialità offerte dai mezzi digitali e dai social sono molte, come la possibilità di combinare oralità, materiali scritti e immagini in attività di tipo collaborativo.

In questa prospettiva, la comunicazione degli insegnanti dovrebbe tendere a privilegiare cultura e umanità che sono alla base di una scuola che mira a promuovere le capacità di ricerca e la curiosità dell’apprendente.

Gli alunni di tutta Italia si sono ritrovati improvvisamente lontani dalle aule, dagli insegnanti, dai compagni, dai gesti quotidiani. Secondo lei come possiamo aiutarli nello studio e sostenerli a livello emotivo in questo momento?

Come ricorda Dehaene nel suo bel libro “Imparare”, l’apprendimento si basa su capacità cognitive di cui disponiamo dalla nascita che dobbiamo parametrizzare sulla base delle esperienze e delle informazioni che riceviamo.

Apprendere non è imprimere sulla ‘cera molle’, in maniera arbitraria, ma attivare questa ricca dotazione e la plasticità cerebrale degli apprendenti, al fine di sviluppare conoscenze e abilità, quali scrittura e lettura, calcolo e matematica.

Il primo compito della scuola è favorire una modalità attiva da parte del discente, con una comunicazione impegnata a stimolarne la ricerca personale. Il rischio maggiore è legato alle distorsioni soggettive, autoreferenziali che questi mezzi consentono: lo studente deve essere educato ad un uso consapevole della discussione e del ragionamento online.

Quando saremo usciti dall’emergenza, cosa rimarrà di tutta questa esperienza nella didattica?

Il ritorno nella classe tradizionale sarà un momento emozionante, per tutti. La mancanza di socialità è il vero punto debole del processo a cui assistiamo. L’interazione tra persone crea la situazione e il contesto, cioè quell’insieme di contenuti e informazioni, implicazioni, ipotesi e conoscenze, emozioni, che solo lo scambio reale riesce a generare.

Questi sono gli aspetti che la lezione a distanza o l’interazione tramite mezzi digitali riducono drasticamente, anche se non completamente. Resterà forse l’esperienza di questa comunicazione ridotta, piuttosto che aumentata, visto che qui la tecnologia non si aggiunge alla comunicazione ordinaria, potenziandola, ma la sostituisce.

Si sarà fatto tuttavia un esercizio critico di particolari tipi di comunicazione artificiale, per quanto nati dall’uomo.

Crediti foto di copertina: uncoolbob

La scuola che manca

in Scuola by
Insegnanti, alunni, genitori: insieme a Valerio Camporesi, parliamo di una scuola che manca come luogo di dialogo e confronto.

Cos’è successo nella scuola italiana all’indomani della chiusura per il Covid-19? Si susseguono sulla stampa e in rete racconti diversi, ma forse con alcuni tratti in comune, il primo dei quali è il disorientamento. La scuola non era preparata a una simile evenienza, e sconta con l’ovvia difficoltà la situazione attuale: sono le problematicità ben note (alunni che non dispongono degli strumenti per la didattica a distanza, collegamenti che non sempre funzionano), in cima alle quali metterei la mancanza del rapporto diretto.

È possibile fare lezione senza guardare in faccia gli alunni, rinunciando a quelle dinamiche relazionali tra docenti e discenti costruite nel tempo e, spesso, con fatica? Se, come molti sostengono, il lavoro di un insegnante è anche attoriale (nel mio caso, insegno Storia ricorrendo spesso a piccole rappresentazioni sceniche in classe), può svolgersi a distanza? Verrebbe da dire di no, che il massimo che si potrà fare sarà tenere in qualche modo il filo di una comunicazione e, solo in minima parte, di una didattica. Forse, alla fine, conterà più di tutto non aver fatto sentire soli gli alunni, aver creato uno spazio di dialogo e di confronto in mezzo all’isolamento forzato che stiamo vivendo.

Eppure, nonostante i limiti e le difficoltà evidenti fin dall’inizio, nel corpo docente si è manifestata – non in tutti, non sempre – un’ansia da prestazione talvolta strisciante, talvolta debordante: nelle chat tra docenti era una gara a voler fare, un mettersi in prima fila a mostrare che si stava lavorando, che si era pronti, anche laddove i dubbi e il disorientamento apparivano più che legittimi.

Un’ansia che forse viene da lontano, da quella delegittimazione sociale profonda, instillata da decenni di narrazioni qualunquistiche veicolate anche da ministri (il noto Brunetta, secondo il quale gli insegnanti guadagnavano anche troppo, visto che “lavorano mezza giornata”), da percezioni svalutative di una professione difficile e nella quale il tempo passato a scuola costituisce di norma la metà di quello lavorativo effettivo (tra lezioni da preparare, compiti da correggere e riunioni). Una percezione e una narrazione che, tristemente, rischiano oggi di rafforzarsi, laddove gli eroi (giustamente) conclamati sono altri, lasciando nell’ombra tutti gli altri lavoratori che, pure, stanno continuando a lavorare (come gli insegnanti).

Anche le prime parole del ministro sono apparse significative: un voler mettere le mani avanti, fin da subito, un dire che “la scuola sta lavorando, è tutto come prima”, come se la scuola avesse una tara da correggere, una colpa da espiare, qualcosa che non permettesse di dire fin da subito: no, non sta andando come prima, la situazione è complicata.

Il rischio è che questo scenario si ripeta, magari rafforzato, quando si faranno i conti di questa crisi e si vedrà che, a fianco dei tanti caduti in miseria, ci sono i “privilegiati”, quelli che – come gli insegnanti – godono di uno stipendio fisso visto ormai come un privilegio e non, come dovrebbe essere, un diritto. Lo stipendio più basso d’Europa, eroso da tagli decennali, palesemente incongruo, ma tant’è.

La scuola però è fatta soprattutto dagli studenti, allora è lecito chiedersi: che tracce lascerà in loro quest’evento che qualcuno ha già definito periodizzante, tale da incidere profondamente nei modi di vivere e di pensare? Anche qui si sono susseguiti analisi e responsi, alcuni ai limiti della profezia. Non avendo doti profetiche, mi limito a dire: non so.

Mi preoccupa però l’effetto che il distanziamento sociale provoca negli studenti: che effetto avrà la rinuncia forzata a quel luogo di socialità e di incontro che è il mondo della scuola, con tutti i suoi contrasti e le sue dinamiche a volte anche conflittuali (tra alunni e insegnanti, tra alunni stessi)? Mai come adesso ci si accorge di quanto la scuola non sia solamente un’istituzione dispensatrice di nozioni, bensì in primo luogo un luogo di vita indispensabile, e la sua assenza rischierà di pesare. Nel momento in cui la scuola tornerà a vivere si troverà di fronte – forse – alunni ancora più disorientati, deprivati di quelle funzioni emotive che solo la relazione con gli altri può dare.

L’ultima riflessione riguarda la scuola che manca ai genitori, agli insegnanti, ma anche agli studenti: è forse questa la base da cui ripartire per darle più valore e legittimazione, per farla ricominciare con qualche stereotipo in meno, in primo luogo quello sulla scuola brutta e noiosa per definizione. Se fosse così brutta e noiosa, non mancherebbe così tanto!

Scopriamo la Democrazia Affettiva®

in Affettività e Psicologia by
La Democrazia Affettiva: teorie e buone pratiche per fare della scuola uno spazio in cui tutti stanno bene.

La Democrazia Affettiva: teorie e buone pratiche per fare della scuola uno spazio in cui tutti stanno bene.

Molti studenti, piccoli o grandi che siano, associano alla scuola una sensazione non gradevole. Spesso raccontano di convivere ogni giorno con l’ansia e con la paura di essere continuamente misurati, cosa che li porta a sentirsi non all’altezza di quello che viene loro richiesto o addirittura poco intelligenti.

Di contro molti docenti, anche quelli più disponibili a mettersi nei panni dei loro alunni, sono convinti che sia normale che le prove della vita, compresi compiti a scuola e interrogazioni, debbano creare un po’ d’ansia.

Alcuni affermano che, anzi, sia salutare il disagio che gli studenti lamentano, perché mette loro addosso la giusta tensione che li aiuta a mantenere la concentrazione.

Poi succede che qualcuno fa due conti e si accorge che ci sono studenti che soffrono di attacchi di panico, o si bloccano di fronte a un esame, o abbandonano la scuola. E questo succede sempre prima nel percorso che noi adulti abbiamo immaginato per aggregarli al nostro gruppo. C’è poi un altro piccolo problema: la scuola non è ancora un posto per noi.

È un luogo di noi e loro. Noi che ci lamentiamo della fatica che ci fanno fare loro. Loro che si lamentano della fatica che noi facciamo fare loro.

Il progetto della Democrazia Affettiva, che immagina la scuola come uno spazio affettivo nel quale sia possibile sperimentare quanto è bello e interessante fare, imparare e stare insieme, cerca di dare una risposta alla domanda di relazione che ci rivolgono i ragazzi e alla domanda di minore fatica che viene dai docenti nello svolgimento del loro compito.

Questa figura, che disegna un circolo virtuoso, spiega bene cosa succede di solito nella relazione educativa, ma propone anche un cambiamento fondamentale nel modo di stare insieme.

Nella maggior parte dei casi gli adulti partono dall’idea che una Buona Educazione sia la base per creare una Buona Relazione.

Quindi intervengono correggendo, indirizzando, dando regole, perché pensano che i bambini (e i ragazzi) vadano prima di tutto educati e che questo risultato debba essere raggiunto nel minor tempo possibile e senza nessun cedimento.

I bambini mostrano di non gradire quello che noi proponiamo loro. Noi pensiamo che piangeranno un po’, ma poi si abitueranno (visto che non hanno alternative).

In questo lavoro faticosissimo per noi, e doloroso per loro, si creano due effetti collaterali:
  • Il primo è la rottura dei vincoli di fiducia.
  • Il secondo è un attrito che inizialmente vinciamo con piccole dosi di forza, ma che nel tempo diventa paralizzante.

Il circolo diventa invece virtuoso se cambia il nostro punto di partenza (e si sovrappone a quello dei bambini, che manifestano fin dalla nascita un gran desiderio di stare con noi). Una delle regole che si dà la Democrazia Affettiva è che nessun obiettivo da raggiungere vale un peggioramento della relazione.

Se, attraverso scelte culturali, noi stiamo con i nostri giovanissimi e giovani compagni di apprendimento con pazienza, intelligenza e generosità, succede quello che vediamo nella figura, perché sappiamo che se il punto di partenza con loro è avere una buona relazione (che loro imparano attraverso l’esperienza diretta), il risultato sarà soddisfacente per tutti.

Infatti una buona relazione fa fare poca fatica, rende piacevole lo stare insieme, produce una buona educazione, fa sì che l’apprendimento sia piacevole per tutti.

* Codice identificativo MIUR: 31568 – https://sophia.istruzione.it

Articolo di Renato Palma, Lorenzo Canuti, Giulia Lensi, Anna Maria Palma, Gianni Spulcioni.

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