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Don Milani, oggi: tanto frainteso quanto necessario?

in Approcci Educativi by
Donmilanismo e celebrazioni agiografiche a parte, l’attualità del Priore di Barbiana nelle parole di Valerio Camporesi, docente, mezzo secolo dopo “Lettera a una professoressa”

Ogni volta che leggo le pagine di Lettera a una professoressa di Don Milani mi commuovo: bastano le note a piè di pagina che spiegano chi fosse Bach, la preposizione sbagliata di a prima media o l’inversione di aggettivo e nome in a pieno tempo per entrare dentro un’Italia diversa che non c’è più, un’Italia minore che chiedeva il riconoscimento del proprio diritto di esistere e d emanciparsi. Un’Italia povera ma vera, fatta di sentimenti umani che oggi sembrano sempre più rari: il passaggio dall’I care all’I like tanto agognato nella società dei socia media suona inclemente, come se in tutti questi anni fosse maturata una frattura insanabile, come se a distanza di cinquant’anni i due mondi non potessero comunicare più.

Eppure Lettera a una professoressa comunica molto anche alla scuola e all’Italia di oggi, a partire dal richiamo alla difesa degli ultimi che esistono eccomi anche oggi: non sono più i ragazzi mandati nei campi come allora ma quelli a cui la scuola ha comunque chiuso la porta per incapacità o indifferenza, quelli che ogni anno si perdono per strada nell’atroce calderone della dispersione scolastica. Certo i termini son cambiati, e non solo per la scomparsa della civiltà contadina: son cambiati i parametri delle fasce più deboli, entro le quali stanno anche i professori sottoposti oggi al dileggio e al discredito collettivo, sminuiti nella loro professionalità e additati qualunquisticamente come fannulloni anche da qualche ministro. Son cambiati, e per fortuna in meglio, tanti aspetti della scuola: gli alunni ripetenti alle elementari sono ormai un lontano ricordo, le nostre aule si sono aperte già dagli anni Settanta agli studenti con handicap, il classismo imperante nella scuola dell’epoca si è forse ridotto. Ma i messaggi del libro restano: la scuola come luogo di amore e non di competizione, di apprendimento che serva anzitutto per emanciparsi e vivere una vita degna, la necessità di dare ascolto anche agli ultimi; tutto questo fa di Lettere a una professoressa un testo quanto mai attuale, per non dire urgente.

Perché di un po’ di anima e di un po’ di amore si ha bisogno sempre nella vita, e più di tutti ne hanno bisogno i bambini e i ragazzi, e ogni insegnante può forse combattere in primo luogo come individuo questa battaglia (sì, lo è) contro la disumanizzazione della scuola, contro la volontà di introdurre anche nelle aule d’insegnamento i principi della vita come competizione ad ogni costo.

La scuola è altro e deve fare altro. La scuola basta a sé.

E di richiami ce ne sono molti anche a livello concreto: dall’importanza decisiva della competenza linguistica – senza la quale non si sarà mai alla pari dei più forti – alla centralità dell’educazione civica, che un recente provvedimento ha forse reintrodotto ma con modalità tutte da verificare. E quanto è importante l’attualità, il saper leggere un giornale, il conoscere il mondo, le questioni dell’oggi. Tutto questo dovrebbe far parte integrante di una scuola viva ora come lo era un tempo quella di Barbiana, una scuola che va difesa dai messaggi collettivi che – dai media al passaparola – diffondono una vera e propria celebrazione della scuola come luogo della noia per antonomasia.

Come sempre, anche il messaggio del Priore e dei ragazzi di Barbiana va attualizzato, fuori – sia detto chiaramente – da ogni donmilanismo e da ogni celebrazione agiografica. E va anche, in alcuni casi, sottratto ad alcuni equivoci che si sono sommati nel tempo, primo tra tutti l’atteggiamento ‘buono’ che l’insegnante donmilaniano sarebbe chiamato ad avere: un insegnante può anche essere severo, come lo era Don Milani (“Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare“), anzi a volte lo deve, pena il ridursi come una mia collega dichiaratasi seguace di Don Milani dove le mura delle cui classi, però, tremavano dalla confusione. Nella severità a volte necessaria c’è l’amore e, come dicono i ragazzi di Barbiana, “in questo secolo come vuole amare se non con la scuola?“.

Credits immagine: “Il maestro” di Fabrizio Silei e Simone Massi, Orecchio Acerbo editore

Nato a Firenze il 25 febbraio del 1970, si è laureato in Lettere con indirizzo storico all'università di Firenze nel 1998. Dal 2001 insegna Lettere alla Scuola Secondaria di primo grado. Nel dicembre del 2014 ha pubblicato il suo romanzo d'esordio, "L'amore al tempo della rete" (Carmignani Ed.). Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati all'interno di raccolte antologiche; un suo articolo è apparso sulla "Antologia" del Lab. Vieusseux nel 2016.

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