Libri di testo: perché non aiutano a pensare?

in Letture in classe/Scuola by
Francesco Rocchi spiega perché, a suo parere, i libri di testo eliminano ogni ruolo attivo da parte degli studenti che non sia “ricordare e ripetere” (e fornisce qualche strategia alternativa)

Tra gli insegnanti italiani e le case editrici dei libri di testo talora c’è, sia pur sotterranea, una certa tensione. Io sono tra coloro che trovano nei manuali delle mie materie (italiano e storia) uno strumento non proprio ideale e qui vorrei provare a spiegare perché.

Nonostante la manualistica italiana sia un mercato vasto e conteso da numerose case editrici, l’offerta di libro di testo non è particolarmente varia o diversificata, ragion per cui è agevole fare un discorso complessivo. La ragione di tale conformismo è semplice: tutti le case editrici, in un modo o nell’altro, tendono verso lo stesso modello, quello fissato dalle Indicazioni Nazionali per i licei. E’ vero che ci sarebbero anche le Linee Guida per tecnici e professionali, ma questo non aiuta granché: per quanto riguarda la materia su cui mi soffermerò di più in questo articolo, italiano, i libri di testo per le scuole tecniche e professionali sono semplicemente una versione più breve dei manuali liceali, alleggeriti di qualche sezione considerata troppo difficile o specialistica. La maniera pacifica con cui viene accolta questa gradazione della difficoltà è già di per sé molto irritante, perché è frutto di una implicita svalutazione delle capacità e delle aspettative degli studenti non liceali, ma forse non è il problema principale, anche considerando che, curiosamente, questa semplificazione non si estende alla storia del biennio, i cui libri, dedicati principalmente alle civiltà antiche, sono gli stessi in ogni tipo di scuola superiore, nonostante il classico e lo scientifico tradizionale abbiano un focus particolare sulla classicità che giustificherebbe ampiamente una differenziazione

Cos’è dunque che non mi piace dei libri di testo? In sostanza, potrei dire la loro monumentale ponderosità, ma non è tanto la semplice voluminosità ad essere un problema, quanto le scelte di fondo che hanno portato ad una tale esplosione di carta (e di megabite, data la presenza obbligatoria di libri digitali). Il problema è l’affastellarsi di capitoli, paragrafi, sezioni, specchietti, note, digressioni al fine di soddisfare ad abundantiam le indicazioni ministeriali.

Si potrebbe pensare che avere così tanta grazia di Dio non possa che essere positivo (meglio abbondare, si dirà), ma in realtà a me non sembra proprio così. Al di là del peso e del costo di questi libri, che incidono profondamente tanto sui portafogli dei genitori quanto sulle spalle dei figli, i libri di testo nascondono dietro questo rutilare di materiali sempre lo stesso approccio didattico: introduzione ad un’epoca, introduzione ai singoli autori, (presentati sempre con lo schema “vita ed opere”) e infine i brani antologici, corredati di introduzione, commento, parafrasi, note, mappe, riassunti, schemi ed esercizi.

Se ne ricava talora l’impressione di un libro per autodidatti: tutto è spiegato più volte, ogni difficoltà è risolta con una nota esplicativa e nessun brano è privo dell’indicazione di come vada letto e considerato (quando non viene direttamente proposto in una parafrasi modernizzata senza l’originale antico). In più, le teorie critico-letterarie sono prese con grandissima serietà ed esposte come dati di fatto: Leopardi ha avuto tre fasi di pessimismo, il Seicento è un’epoca di decadenza, le varie correnti letterarie sono presentate in maniera così netta e precisa con la loro schiera di autori che si rischia di scambiarle per ordini professionali.

In realtà, questo non è nemmeno un approccio per autodidatti: è un approccio da omogeneizzato, da cui è escisso ogni ruolo attivo da parte degli studenti che non sia “ricordare e ripetere”. Di nuovo, c’è una sfiducia di fondo nelle capacità e nelle competenze degli studenti: ogni brano deve arrivare agli studenti mediato da quel gigantesco apparato di cui dicevamo, al fine presumo di esorcizzare la possibilità -evidentemente catastrofica- che uno studente possa avere un dubbio un incertezza, e che se la risolva da sé.

Un simile setting però non si limita a forzare in uno schema prefissato soltanto gli studenti: coinvolge anche il docente. Questi sceglierà dal libro i materiali che preferisce (dato che sarebbe materialmente impossibile “fare tutto il libro”), ma fatta questa selezione quel che ci si aspetta da lui è semplicemente che in classe spieghi quel che sul libro c’è già, ma potrebbe ancora presentare qualche difficoltà agli studenti.

In una tale situazione gli svantaggi sono due: il primo è che gli studenti sviluppano nei confronti del libro un atteggiamento fideistico. Il libro è il Verbo, il docente è ancillare. Se trovo questa cosa insopportabile non è soltanto per orgoglio personale, ma perché una maniera di ragionare così pedestre la si vorrebbe sradicare ogni volta che si presenti, non fomentarla. L’altra è che ogni volta che il docente vuole fare qualcosa di autonomo, la prima cosa da fare è, molto spesso, proprio togliere di mezzo il libro di testo.

Per spiegare questo paradosso, vorrei portare ad esempio una tecnica didattica che impiego con profitto ed è giocoforza alternativa al libro di testo.

Molto spesso porto in classe brani (scelti con estrema cura) di cui non indico l’autore, o il genere di appartenenza: sono gli studenti che devono capirlo. Se fornisco delle note esplicative, è per passaggi realmente oscuri (su cui ho magari faticato io stesso) o per parole davvero desuete. Lo sforzo di capire il testo da sé e formulare delle ipotesi (giuste o sbagliate interessa relativamente poco) è molto formativo e motivante, ma è un’attività che non si può in alcun modo svolgere su libri strutturati nel modo che dicevamo prima.

Non solo: poiché trovo importante fornire una periodizzazione storica dei testi che leggiamo e ci tengo molto che l’impalcatura cronologica sia ben interiorizzata, questo lavoro di lettura “anonima” dei testi spesso lo faccio portando in classe più testi di epoche diverse, anche lontane tra di loro. L’idea è che che un’analisi contrastiva possa far emergere i caratteri salienti di ogni epoca in maniera vivida e facile da interiorizzare (senza le indebite semplificazioni che nascono nel momento in cui il focus dell’attenzione non è più sui testi ma solo su un apparato fine a sé stesso), ma è impossibile muoversi in tal senso se i testi tocca recuperarli su tre o quattro volumi diversi, che spesso gli studenti ancora non possiedono.

Eppure non è che io sia ostile al sostegno, talora molto comodo, di un manuale preconfezionato. Semplicemente, mi servirebbe un manuale adatto allo scopo: agile, con poche ma chiare definizioni, una buona periodizzazione, un ricco glossario (n sostituzione delle note a pié di pagina), pagine di critica “vera”, di alto livello, e soprattutto una selezione di testi che punti alla sintesi, non all’enciclopedismo.

Non è un desiderio che credo si realizzerà molto presto: un simile manuale metterebbe in difficoltà le case editrici, timorose di perdere quote di mercato, e forse non piacerebbe nemmeno a molti docenti che tutto sommato trovano agevole affidarsi al libro di testo senza avventurarsi molto al di là di esso.

Però, vivaddio, nulla ancora mi impedisce di fare come mi pare, nelle mie classi.

Credits foto: particolare da https://photogrist.com/street-george-natsioulis/

Docente di italiano e storia al liceo E. Montale di Pontedera, ha fatto parte del gruppo di docenti che cura il blog "Condorcet. Ripensare la scuola". Scrive di scuola ed è animatore del laboratorio di metodo di studio "Tieni banco!", a Pontedera

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