Con Valerio Camporesi affrontiamo un tema cruciale di grande attualità: i falsi miti della storia
Nel mio lavoro di insegnante di Storia mi è capitato (non spesso, ma neanche così raramente) di imbattermi in affermazioni e proposizioni di temi, da parte dei manuali, assai poco convincenti. Falsi miti, interpretazioni e rappresentazioni che – pur coincidendo spesso con quelle assunte dal sapere e dalla coscienza collettivi veicolati dalla scuola stessa e dai media come il cinema – mostrano, alla verifica dei fatti, grossi limiti di veridicità.
Smontare questi falsi miti o luoghi comuni mi è sempre parso un obiettivo non secondario della mia professione, anche come stimolo all’esercizio di quella intelligenza critica e a quell’apertura verso il dubbio cui spesso ci hanno richiamato i programmi e le indicazioni ministeriali.
La Guerra di Secessione americana
Si prenda, per citare uno degli esempi più significativi, la tanto celebrata missione di civiltà portata avanti dai “buoni” nordisti contro gli schiavisti del Sud durante la Guerra di Secessione americana (1861-1865), vero e proprio totem di una narrazione che ha posto in risalto anche nella cultura di massa figure come quella del “liberatore” Lincoln, assunto a vera e propria icona dello spirito liberale americano.
Un mito diffuso anche dai manuali di scuola e nella cultura di massa, nelle canzoni (chi non ha mai ascoltato o cantato la famosa canzone su John Brown?) come nel cinema, ma un mito appunto.
La realtà, a dire il vero, appare ben altra: nel suo straordinario (per passione, coraggio, lucidità) studio pubblicato per l’Enciclopedia storica de ”La Repubblica” (che a suo tempo coinvolse le maggiori firme della storiografia moderna, italiana e non solo), Raimondo Luraghi – uno dei massimi studiosi del conflitto americano – ci apre gli occhi a una realtà assai diversa, nelle quali a essere prioritarie non furono certo certo le ragioni umanitarie ma quelle politiche ed economiche, e nella quale non si trova granché traccia dello spirito umanitario tante volte associato ai ‘liberatori’, per i quali il permanere della schiavitù negli Stati del Sud non costituiva certo l’argomento decisivo della guerra. Tanto che lo stesso Lincoln arrivò a sostenere che:
Il mio obiettivo dominante in questa lotta è salvare l’Unione, e non è né salvare né distruggerela schiavitù. Se mi fosse dato di salvare l’Unione senza liberare nessuno schiavo, lo farei; e se potessi salvarla mediante la liberazione di tutti gli schiavi lo farei; e se per salvarla dovessi liberarne alcuni e lasciar stare gli altri, farei anche questo[1].
Ben altre furono le motivazioni e gli scopi di quella guerra, principalmente economici e politici: c’era da confermare l’egemonia politica ed economica del Nord industriale e capitalista contro il ‘barbaro’ mondo del Sud, per giunta contrario al protezionismo economico ad esso imposto dal governo federale al fine di garantire lo sviluppo di quelle fabbriche dove, sia detto per inciso, si sfruttavano i lavoratori senza alcun ritegno e nelle quali, evidentemente, lo spirito umanitario e liberale del civilissimo Nord conosceva una solenne amnesia.
Altri esempi si potrebbero fare, ma qui mi premeva sottolineare soprattutto come oggi, ancor più di prima, sia importante il ruolo dell’insegnante come di colui che mantiene le coscienze vigili, attente, propense a coltivare il dubbio.
Anche davanti alle asserzioni spacciate come verità assolute e inderogabili, ed è puramente voluto ogni riferimento al clima attuale nel quale – a proposito del tema Covid – si è voluta contrapporre una cosiddetta scienza (in verità molto più simile ad un insieme di dogmi monolitici che a quello spirito di ricerca richiamato da Il saggiatore di Galileo) a chi, a torto o a ragione, sosteneva posizioni diverse da quelle ufficiali, tutte accomunate in un fronte antiscientifico, retrogrado e anti moderno: sarà, anche questo, un mito o una verità?
[1] R. Luraghi, La secessione del Sud e la Guerra civile americana, p. 763, in La Storia, ed. L’Espresso, Roma, 2004