Fare philosophy for children in classe

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Sperimentare la philosophy for children in classe vuol dire permettere ai ragazzi di fare esperienza di pensiero in modalità condivisa e inclusiva. Vediamo come fare.

Qualche anno fa ho frequentato un corso di aggiornamento professionale presso l’Università di Siena sulla Philosophy for children and community e sviluppo del pensiero critico; in aula, poi, mi capita spesso di impostare delle pratiche didattiche che vi fanno riferimento.

Ma che cos’è la philosophy for children, comunemente indicata con la sigla P4C?

Le origini della philosophy for children

La P4C è una pratica educativa ideata negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ‘70 dal docente filosofo Matthew Lipman, in collaborazione con la pedagogista Ann Margaret Sharp.

Lipman si rende conto che ai suoi studenti mancavano di logica, capacità critiche e argomentative, qualità essenziali per vivere da cittadini consapevoli, e ne attribuisce la responsabilità alla scuola.

Nelle classi, infatti, poco spazio veniva dedicato – a suo avviso – alla scoperta, alla ricerca e allo sviluppo del pensiero autonomo.

Gli studenti non venivano stimolati ad apprendere e ad approfondire per un assunto di base sbagliato, ossia il fatto di non partire dalle loro domande bensì chiedere loro solo risposte, magari già date da altri.

Lipman cerca di intervenire proponendo un nuovo sistema educativo – la philosophy for children per mettere in grado i bambini e i ragazzi di imparare a pensare in modo eccellente.

Essere in grado di pensare in modo eccellente secondo Lipman è un aspetto essenziale ed esistenziale, è un diritto di tutti e prerogativa di vita felice.

Solo permettendo esperienze di riflessione del pensiero sarà possibile creare cittadini consapevoli e ragionevoli, a totale vantaggio di un benessere per la democrazia e la comunità sociale.

Come si fa ad educare al pensiero complesso? Come si fa a sperimentare la P4C in classe?

Vediamo innanzitutto gli aspetti propedeutici sui quali impiantare una sperimentazione  di P4C in classe:

  • dare spazio alle DOMANDE, alla PROBLEMATIZZAZIONE;
  • coltivare il DIALOGO e l’ASCOLTO delle parole altrui;
  • attenersi alla SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO;
  • promuovere un clima SOLIDALE e INCLUSIVO in cui a tutti sia permesso di esprimersi;
  • essere disponibili a RIVISITARE le proprie posizioni, le proprie idee;
  • essere disponibili a TRASFORMARE il ruolo da docente a FACILITATORE;

Secondo la philosophy for children si può pensare bene solo insieme agli altri e il gruppo classe è inteso come una COMUNITA’ di RICERCA.

Essa sarà in grado di assumersi la responsabilità del suo percorso di apprendimento motivato e argomentato, andando a incidere su capacità critiche e autonomia di pensiero.

La comunità di ricerca fornisce un ambiente nel quale il pensiero può essere praticato ed acquisito
(Matthew Lipman)

Come fare esperienza pratica di P4C in classe: le fasi della sessione

L’esperienza vera e propria di philosophy for children si chiama SESSIONE e prevede varie fasi:

1) Il testo pretesto

Una volta sistemato il setting d’aula, si procede con una LETTURA CONDIVISA DI TESTO PRETESTO, meglio se letto, a turno, da ciascuno.

2) Il setting

Il setting riveste un ruolo importante e la condizione migliore è quella della DISPOSIZIONE IN CERCHIO.

Per la scuola secondaria di primo grado il testo di riferimento è Il prisma dei perché di Matthew Lipman, corredato da un manuale per un corretto uso didattico destinato ai facilitatori.

Si tratta di un testo che presenta dialoghi volutamente semplici, inseriti in contesti di realtà abituali, che lasciano spazio a domande e possibili occasioni di riflessione.

3) L’agenda

Dopo la lettura, si passa alla costruzione della cosiddetta AGENDA, ovvero ad una RACCOLTA DI DOMANDE O AFFERMAZIONI che il testo appena letto ha suscitato all’interno del gruppo.

Le domande possono essere poste sia in modalità individuale sia avvenire all’interno di un sottogruppo. Il facilitatore scrive le domande su un cartellone o una lavagna interattiva con il nome di chi le pone o, eventualmente, anche di chi le condivide e vi si associa.

Il tema e la discussione

Raccolte le domande, il facilitatore individua un TEMA attraverso il quale viene avviata la discussione. È importante che il criterio di scelta del tema sia condiviso (potrebbe essere, ad esempio, l’argomento più ricorrente o una parola ripetuta o una domanda che associa altre domande).

Affinché la discussione possa contribuire a sviluppare un pensiero complesso e multidimensionale, occorre che nella comunità di ricerca il DIALOGO venga regolato dalla LOGICA. È così che verrà dato modo di esercitare un pensiero riflessivo e consapevole.

I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo (Ludwin Wittgenstein)

Non si tratta di scambiarsi semplicemente delle opinioni, bensì di compiere un’esplorazione reciproca che tenga conto dell’autenticità e del riconoscimento della particolarità degli altri.

Secondo Lipman nella comunità di ricerca si sperimenta non soltanto il pensiero critico (con la sua disponibilità all’autocorrezione), ma anche il pensiero creativo (capace di produrre innovazioni) e quello caring (che spinge a prendersi cura di quello che stiamo facendo).

Nel dialogo c’è spazio per l’ascolto dell’intervento di ognuno e per l’accoglienza delle argomentazioni di ognuno.

Metariflessione finale e riferimenti alle Indicazioni nazionali

A fine sessione è importante prevedere un momento di metacognizione con la finalità di far riflettere sulle operazioni svolte e sulle sensazioni vissute.

Dalla sperimentazione e comprensione di questi step procedurali, la capacità individuale di pensare confluirà in esperienza progressiva di pensiero eccellente, come afferma Lipman.

Il riferimento allo sviluppo del pensiero critico e della capacità argomentativa vengono richiamati costantemente nelle Indicazioni Nazionali; per questo la P4C si configura come una pratica perfettamente in linea con la normativa programmatica vigente.

Il ruolo del docente-facilitarore nella philosophy for children

L’insegnante già conosce la classe e non ha bisogno di trasformare la sua identità nel caso in cui volesse sperimentare un approccio alla P4C.

Importante è che sia disposto a ridefinire il proprio ruolo e abbia desiderio di dedicare tempo a generare momenti di riflessione con i propri studenti, utilizzando e acquisendo idonei strumenti metodologici.

Tre suggerimenti

Il Professor Pierpaolo Casarin indica tre suggerimenti ai docenti che avessero intenzione di attivare un laboratorio di philosophy for children in classe:

  • avere profonda cura della dimensione relazionale-emotiva e creare le condizioni perché tutti possano liberamente esprimersi all’interno del gruppo.

Cercare anche di creare un clima solidale e legami interpersonali basati sulla fiducia.

  • provare ad impostare un diverso rapporto con il testo, così da permettere lavori non attesi.

Fare i conti, cioè, con un testo che possa aprire spazi per nuove interpretazioni e libertà nell’interrogarlo ulteriormente.

  • saper essere correttibili e considerare l’autovalutazione come processo di consapevolezza delle nostre azioni e dei nostri comportamenti.

Il docente può davvero contribuire alla costruzione di bravi cittadini e non solo di bravi studenti, creando figure consapevoli che siano in grado di riflettere, argomentare e relazionarsi tra loro in maniera fattiva.

Consulta qui un’esperienza di P4C realizzata in occasione delle iniziative didattiche relative alla Festa della Toscana!

Foto di copertina by Kenny Eliason on Unsplash

Docente di lettere in una scuola secondaria di primo grado della provincia di Arezzo, studio e sperimento variegate metodologie e pratiche di didattica attiva. Gestisco un blog in cui condivido esperienze significative realizzate all’interno delle mie classi.

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