Un’insegnante alle prese con l’intelligenza artificiale

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Grazie al contributo di un’insegnante di scuola secondaria di secondo grado, parliamo dell’uso inappropriato dell’intelligenza artificiale a scuola

Oggi vi voglio raccontare una piccola “disavventura” scolastica, che però è il segnale dell’avvento di un problema molto complesso: l’intelligenza artificiale. Giorni fa mi misi con rassegnazione a svolgere una delle attività che maggiormente detesto nel corso dell’anno scolastico: la correzione di 39 verifiche (due classi quinte di liceo, 4 testi diversi) su caratteristiche e comportamento chimico dei derivati degli idrocarburi. La detesto perché è un argomento ampio e articolato, che non va studiato a memoria ma va capito, per cui cerco di dare domande aperte di ragionamento, ma ciò implica che poi devo seguirli e controllarli tutti, questi 39 ragionamenti, e in questa operazione soffro moltissimo per capire attraverso quali percorsi mentali i miei alunni arrivano alle risposte.

Inizio, mi scandalizzo qua e là, arrivo al compito di D., lo leggo.

Fluido, ricco di aggettivi, prodigo di informazioni, non trascura nessun dettaglio: 8 colonne di doppietti elettronici non condivisi, interazioni deboli, lacune elettroniche, atomi polarizzati mi danzano davanti agli occhi con grande disinvoltura, laddove gli altri ne hanno scritte al massimo 3….

Eppure qualcosa non funziona, le conclusioni non sono quelle che mi aspetto.

Prima di dubitare di lui, dubito di me stessa, controllo sul testo e sulle mie fonti, ma non trovo conferme. Sono stanca, lascio lì il compito e lo riprendo il giorno dopo. Niente, sembra che sappia tutto, tira fuori certe considerazioni che io non ho mai fatto, scardina le mie convinzioni, mi fa pensare che l’Alzheimer sia alle porte, eppure….

Lo accantono, riprendo gli altri, ritrovo gli strafalcioni a cui sono affezionata e le mie certezze. Passa un altro giorno e la mattina dopo a scuola trovo che la mia giovane collega laureata in Chimica ha l’ora libera insieme con me. Ne approfitto, le chiedo se mi dà un parere sul compito di D..

Lo rileggiamo insieme passo passo e le esterno i miei dubbi, che progressivamente diventano anche i suoi. Siamo così immerse ed avvitate nella discussione che non ci rendiamo conto che un’altra collega ci osserva incuriosita. Ci vede leggere, discutere, ipotizzare, smentire… Ad un certo punto ci chiama e ci offre una interpretazione possibile:

il ragazzo si è servito di chatGPT?

Mi sembra strano: mi sono fatta consegnare i cellulari e gli smartwatch , ma niente impedisce che abbia avuto altre diavolerie addosso. E poi, chatGPT, non era stata bloccata? Certo, ma si può scaricare ugualmente per vie traverse.

A riprova di quello che dice mi chiede di formulare una domanda sull’applicazione e vedere che risposta dà. La risposta ovviamente non è identica al compito, ma lo stile è inequivocabilmente lo stesso. Ci guardiamo in faccia sfinite e stupefatte. La collega ci dice “Ragazze, questo è ciò che ci aspetta per il futuro”. Io penso a 39 compiti così e mi sento male. Però penso anche che sto per andare in pensione, e questo mi rincuora moltissimo.

Qualche giorno più tardi viene pubblicata sul New York Times un’intervista, poi ripetuta dalla BBC, a Geoffrey Hinton, uno dei padri dell’intelligenza artificiale, dimessosi da Google proprio per avere libertà di parola sull’argomento. Oltre all’inquietudine sollevata dall’ammonimento sul pericolo che tale strumento finisca nelle mani sbagliate, mi colpisce un passaggio che mi auguro sia originale, in quanto virgolettato:

“Attualmente, ciò che stiamo osservando è che sistemi come GPT-4 sono in grado di oscurare una persona per quanto riguarda la quantità di conoscenza che sono in grado di apprendere, e la oscura di gran lunga. Per quanto riguarda il ragionamento, al momento non è molto buono, ma questi sistemi sono già in grado di formulare ragionamenti semplici.”

Mi rendo conto che l’affermazione calza perfettamente sui miei riscontri. Probabilmente nel sistema non sono ancora previste le domande sul comportamento chimico dei derivati degli idrocarburi, ma nozioni generali di chimica con cui giostrarsi ci sono già.

A mio avviso la possibilità da parte della scuola di accedere con facilità ad un patrimonio “superumano” di conoscenze può permettere di realizzare percorsi molto più interessanti, connessi e ricchi di informazioni, anche se ho qualche dubbio sulla possibilità di strutturazione di tutto questo sapere a livello didattico, però allo stesso tempo si apre un grosso problema nella gestione delle verifiche scolastiche.

Il lavoro di valutazione diventa faticosissimo ed è fatalmente destinato a fallire a mano a mano che l’AI si perfeziona e rende impossibile identificare l’apporto autonomo dello studente.

Metto un 5 al compito di D., il quale giustamente, convinto di aver scritto la Treccani, non se ne fa una ragione. Però mi sono preparata, e ribatto punto per punto. Alla fine cerco di estorcergli una confessione, ma non mi dà soddisfazione, ammette solo di aver guardato qualche video su Youtube.

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