L’esperienza di Francesco Rocchi, in questi primi venti giorni di scuole chiuse e didattica a distanza.
Come insegnante, anch’io mi sono trovato da un giorno all’altro a lavorare da casa e a mettere in pratica la didattica a distanza, per come m’è riuscito di organizzarla in italiano e storia nel mio istituto tecnico.
Nei primi giorni, ho pensato che fosse utile recuperare quanto fatto, una sorta di ripasso generale, perché per molti studenti era una novità. Prima di imparare cose nuove, era meglio che imparassero a gestire il proprio apprendimento “digitale”. Inutile dire che questo ha dato tempo prezioso anche a me.
Terminato il ripasso-riscaldamento, ho iniziato a introdurre qualcosa di nuovo, ma sempre all’interno della rielaborazione di concetti e nozioni già noti.
Mi è parso meglio evitare di proporre uno schema del tipo “Abbiamo finito col ripasso, ora si va avanti”. In italiano, ad esempio, ho evitato di dire: “Ora facciamo Montale”. Piuttosto, ho ripreso due poesie già studiate, A se stesso di Leopardi e Annuncio di D’Annunzio, dicendo ai ragazzi: “Questa nuova poesia (Meriggiare pallido e assorto) è più vicina a Leopardi o a D’Annunzio? E perché?”.
Si noti che a una domanda del genere non c’è una risposta preconfezionata su internet. Forse sono andati a riprendere i loro appunti sulle poesie già fatte e li hanno tenuti davanti mentre cercavano di capire, ma ciò va benissimo: è un ripasso utile. Potrebbero anche essersi scaricati un’analisi della poesia di Montale, ma va altrettanto bene: per fare il confronto con Leopardi è necessario studiarsela bene. Per un eccezionale colpo di fortuna potrebbero anche aver trovato un confronto Montale-Leopardi già fatto, ma il compito richiedeva in ogni caso di scendere nel dettaglio della poesia e c’era da considerare anche quella di D’Annunzio. Insomma, sono ottimista.
In tutto questo non ho dimenticato il punto dolente fondamentale: ora gli studenti sono più soli, nonostante la strumentazione digitale.
Per evitare che si lascino andare o rigettino lo studio, i materiali di studio devono essere scelti con cura, e i libri di testo si prestano poco alla bisogna, dato che erano piuttosto respingenti anche prima. Mi sono così riproposto di usare oggetti di studio con cinque caratteristiche.
I materiali non devono essere troppo pesanti. Mi sono imposto di non dare documentari oltre la mezz’ora, se non spezzandoli. Su Rai Storia ce ne sono di eccellenti di un minuto o due, come “Un minuto di storia” di Gianni Bisiach. Con film e serie tv sono stato più lasco, ma sempre con prudenza. Allo stesso modo, niente letture (dal libro o narrative) troppo lunghe.
I materiali devono essere tanto comprensibili da poter essere fruiti senza assistenza. Questo significa fare massiccio uso di materiali divulgativi, illustrazioni, foto, testi narrativi, film. Non bisogna cedere alla tentazione di pensare “Se la cavino un po’ come possono!”. E non è facile trovare tutto ciò che serve nella situazione attuale.
Gli oggetti di studio devono essere delle sfide, o quanto meno suscitare domande. Ad esempio, per storia si può dare un’immagine che sappia ben catturare lo spirito o l’essenza di un passaggio storico importante, ad esempio di una battaglia, avendo cura che ci siano degli indizi da cui gli studenti possano cominciare a ragionare. Di quale battaglia si tratterà? L’importante non è azzeccarci, ma farsi venire in mente tutte le battaglie studiate.
L’esempio mi viene comodo perché ho proposto un quadro con una scena di soldati francesi sopraffatti dal nemico a Sedan, con l’idea che gli studenti si chiedessero: “Quali guerre ha combattuto la Francia nell’800? Quali ha perso? Quando?”. Altre volte ho fatto vedere dei video (ad esempio l’inizio del serial tv del 1982 su Marco Polo) o leggere delle poesie (come Proprietà di mercato vecchio di A. Pucci), chiedendo ai miei studenti di dirmi loro perché gli avessi dato quel materiale e a quali argomenti di storia si potesse ricollegare. Bonus: ancora una volta, non c’è una risposta reperibile già pronta su internet.
Si tratta piuttosto di genuine riflessioni meta-cognitive, con solidi agganci alle “nozioni”.
I materiali devono poter essere usati senza un particolare ordine cronologico. Mi son fatto l’idea che sia bene spaziare il più possibile su quanto già fatto, anche in maniera (apparentemente) disordinata, per tenere vivo il cervello degli studenti. In questo momento di confusione è facile che “il programma svolto” finisca nel dimenticatoio.
È bene allora richiamarlo il più spesso possibile alla mente. In altre parole, bisogna fare esercizio di “pratica variata” (che favorisce la memorizzazione) e di “pratica deliberata” (che migliora le competenze). Su questa falsariga, mi è venuto comodo in storia un lavoro che facevamo anche prima. Ho presentato dei testi su argomenti già trattati, ma con un taglio leggermente più approfondito, e ho chiesto loro di schematizzare creando due colonne: una per le nozioni già note e una per le nozioni nuove (o problematiche o curiose).
È l’ideale per affrontare possibili difficoltà senza ansia e si presta bene alla didattica per DSA. E neanche in questo caso internet si può sostituire alla testa di uno studente, dato il riferimento “interno” al lavoro già svolto dalla classe.
Perché la fruizione dei materiali sia possibile, infine, è bene non affrontare lavori di troppo largo respiro. Le unità di apprendimento devono essere tenute compatte, unitarie, vere razioni K del sapere, ovviamente stando attenti a non cadere nel superficiale. La comunicazione con gli studenti ora è inevitabilmente desultoria, per cui è bene che ogni volta che si stabilisce un contatto, nulla resti vago o in sospeso o rimandato ad altri incontri virtuali che potrebbero facilmente saltare.