Quale fu la reale capacità del Fascismo di diffondere la propria ideologia presso le giovani generazioni? Scarsa, nonostante la censura sempre più invasiva. Ecco perché
A differenza di altri paesi, in Italia l’indagine sul fumetto è stata relegata ai margini degli studi storici e coltivata soprattutto da appassionati e specialisti del settore. Eppure il fumetto – “nona arte” secondo la definizione di Francis Lacassin, pioniere della cattedra di Histoire et esthétique de la bande dessinée alla Sorbona – è a tutti gli effetti da considerare una fonte storica alla pari di altre, in grado di fornirci chiavi interpretative delle realtà in cui si contestualizza.
Nel nostro caso, ci troviamo di fronte a uno dei tanti paradossi del regime: da una parte il Fascismo cerca di utilizzare il nuovo medium alla pari degli altri come la radio o il cinema e promuove la pubblicazione di fumetti di propaganda. Tuttavia, appesantiti dalla retorica nazionalista e dal moralismo, pieni di personaggi oltre modo virili che dovevano incarnare l’uomo nuovo ma che non di rado risultavano ridicoli, le strisce “fasciste” non riusciranno mai a riscuotere successo presso i giovani italiani.
Dall’altra parte, il Minculpop scatena una campagna di critica verso i fumetti americani, tacciati di esaltare l’individualismo (si pensi ai protagonisti dei maggiori fumetti USA) e di diffondere un’immoralità caratterizzata dalla rappresentazione di una forma di violenza ‘barbara’, tipica della mentalità americana, e da una raffigurazione della donna a dir poco ‘disinibita’ (si pensi alle donne fatali e talvolta discinte che popolavano fumetti come Flash Gordon). Nulla a che vedere con l’idea di uomo nuovo che il regime voleva infondere presso le giovani generazioni.
Oggetto di attacchi particolarmente feroci è “L’avventuroso”, il famoso settimanale di Nerbini che, grazie alla presenza delle più importanti serie americane (Flash Gordon, Mandrake, L’uomo mascherato) arrivò a riscuotere un successo strepitoso (500.000 copie settimanali!). Dal 1935 si susseguono sulla stampa articoli di critica feroce verso i comics, finché alla fine del 1938 – in piena autarchia – il Minculpop, dopo un’analisi dei periodici per ragazzi durata anni, emana l’ordine: a partire dal primo gennaio del 1939 le strisce americane devono scomparire.
Parallelamente, si organizza addirittura un grande convegno accademico a Bologna, presieduto da Marinetti, che ribadisce l’urgenza della svolta censoria verso produzioni caratterizzate da “stravaganti, confuse, truci o melense immaginazioni”. Unica e considerevole eccezione fu fatta per Topolino edito da Mondadori, anche in virtù dei saldi legami tra l’editore milanese e le autorità del regime. I fumetti americani scompaiono e le redazioni dei giornali a fumetti, in particolare quella de L’avventuroso, si riempiono di lettere di protesta: i fumetti di propaganda, di qualità oggettivamente pessima, sono rifiutati dai giovani lettori italiani, gettando nella disperazione i molti editori che avevano puntato sul fumetto.
Ma – e qui si evidenzia un elemento di notevole interesse dal punto di vista storico – molti editori si ribellano e ripresentano, a volte sotto spoglie appena camuffate, i comics americani, contravvenendo alle severissime direttive del regime. Con loro grande soddisfazione, fino al 1941 i giovani lettori troveranno in edicola i loro eroi made in USA, ribelli e individualisti, ai quali si è messo soltanto un po’ di trucco: l’americano L’uomo mascherato diventa l’italiano Il giustiziere mascherato, Mandrake assume il più italico nome de Il mago 900, il fantascientifico Brick Bradford si trasforma nel nostro Marco Spada.
Scarsa, scarsissima, la presenza di fumetti propagandistici, relegati ai margini delle riviste. È soltanto dopo l’entrata in guerra contro gli Stati Uniti che interviene una nuova – e questa volta drastica – svolta censoria: le tavole d’oltreoceano scompaiono per davvero. Per gli editori è un vero e proprio disastro, sotto i colpi della censura cadono addirittura Topolino e L’avventuroso che, privati delle strisce americane, registrano un calo spaventoso di vendite e sono costretti a cessare le pubblicazioni.
La presenza per tanti anni di una stampa dai contenuti così radicalmente lontani dagli ideali fascisti e il clamoroso fallimento dei fumetti fascisti sembrano costituire un fatto di rilievo per l’analisi storica: mettono in evidenza una volta di più quella “appropriazione imperfetta” – per citare un famoso testo di Scotto di Luzio – che caratterizzò la diffusione della propaganda fascista, capace di permeare la società italiana in modi assai meno totalizzanti di quanto, per esempio, non accadde in Germania.
Il regime era in parte a coscienza di una frattura con una generazione poco permeabile ai richiami dall’alto, sfuggente, estranea ai valori che si volevano imporre. Riconosceva che i ragazzi leggevano ancora solo e soltanto Cuore e Pinocchio; i manuali fascisti e i romanzi coloniali, si ammetteva a malincuore, “finivano per non dire nulla al fanciullo” e venivano riposti sullo scaffale. Niente a confronto con le storie di gangster e di altri mondi che popolavano le strips d’oltreoceano.