Marianna Balducci

Marianna Balducci has 28 articles published.

Illustratrice riminese, è laureata in moda e lavora a progetti pubblicitari e per l’editoria per bambini e ragazzi. Il disegno è il suo mestiere, il suo strumento preferito per comunicare e per esplorare il mondo. Le piace sperimentare combinazioni tra strumenti tradizionali e digitali e, in particolare, tra disegno e fotografia. Nel 2018 proprio con il suo primo libro foto-illustrato “Il viaggio di Piedino” (scritto da Elisa Mazzoli, edizioni Bacchilega Junior) vince il premio Nati per leggere. Al disegno affianca l’attività di docente in un seminario di comunicazione visuale per la facoltà di moda di Rimini (Alma Mater Studiorum, Bologna). Scrive di libri e attività educative legate al disegno per i magazine Ad Un Tratto e Occhiovolante. www.mariannabalducci.it www.facebook.com/mariannabalducciillustrator/ www.instagram.com/mariannabalducci_chidisegna

Creare un bestiario immaginario: la fantasia come strumento sovversivo

in Attività di classe by
Creare un bestiario immaginario: Marianna Balducci ci propone un’attività in classe che unisce fantasia, disegni e fotografie.

Spesso mi è capitato di parlare dei disegni come di “dispositivi parlanti”, inneschi capaci di generare discorsi nuovi. Mi piace generare questi inneschi partendo dall’osservazione del quotidiano a noi più prossimo, per dimostrare che la fantasia può essere uno strumento sovversivo potente. Non serve complicare: basta spostare il punto di osservazione. Dare nuovi pesi agli elementi che ci avevano permesso di identificare l’oggetto protagonista delle nostre incursioni come una certa cosa, fatta in un certo modo.

Gianni Rodari lo definiva “entrare nel mondo non attraverso la porta principale, bensì da un finestrino” (che è più divertente, specificava). E lo metteva in pratica con le varie declinazioni del suo binomio fantastico, inventando omini di vetro o palazzi di gelato.

Ma per generare le storie, per far funzionare l’innesco, la capacità di osservazione e analisi sono fondamentali.

Solo interrogandoci su come sia fatto il cristallo troviamo un posto a “Giacomo di Cristallo” (“Libri della Fantasia“), condannato a mostrare i suoi pensieri a tutti, ma anche a risplendere per il suo eroico destino.

“Analisi merceologica e analisi fantastica coincidono quasi perfettamente”, scrive Rodari (“Grammatica della Fantasia”). In una sorta di altalena necessaria per far sì che anche i più piccoli si approprino del reale e lo possano trasformare a loro piacimento.

Allora per esercitare la fantasia dandoci una pista, ci tornano utili i testi dotati di una struttura ordinata, quelli da cui possiamo prendere spunto: le enciclopedie, i dizionari, i bestiari.

I bestiari

Dal medioevo i bestiari vengono compilati non solo per catalogare le varie specie, ma soprattutto per raccontare comportamenti e addirittura sentimenti (usando allegorie, metafore, ecc.). Ne è un esempio il “Bestiario amoroso” di Richard de Fournival.

Ma l’astrazione può spingersi ben oltre la volontà di educare o divulgare e arrivare alla realizzazione di capitoli estremi, come quelli riccamente disegnati e scritti in lingua illeggibile del “Codex Seraphinianus” di Luigi Serafini.

Ma cosa succede se, per comporre il nostro bestiario immaginario, mettiamo in scena i meccanismi fantastici descritti da Rodari attraverso l’aiuto della fotografia?  

La fotografia è un’alleata preziosa: ci permette di registrare, catalogare, catturare le porzioni di realtà in tutta la loro sfacciata contingenza. Se abbiamo a che fare con gli oggetti, fotografarli isolandoli su sfondi neutri è il modo canonico per archiviarli in un inventario, con informazioni utili per conoscerli e riconoscerli.

Se contaminiamo queste immagini con il disegno per dar loro un senso nuovo, stiamo letteralmente corrompendo il sistema. Stiamo hackerando la realtà, insinuandoci in piccoli spazi vuoti per riempirli di possibilità.

Innanzitutto, per comporre la nostra “nuova fauna”, saremo costretti a verificare quanti animali sono già immagazzinati nel nostro archivio mentale. Se so come è fatto un narvalo, allora potrò riconoscerlo osservando il picciolo di un massiccio peperone ribaltato sul tavolo.

Consiglio di partire da un repertorio di oggetti fotografati già stampato e svolgere la fase di raccolta e osservazione a distanza di qualche giorno. Non dobbiamo trovare cose che somiglino palesemente a degli animali, dobbiamo raccogliere e soltanto dopo osservare quelle cose per vedere quel che ci suggeriscono.

Fotografare su sfondo bianco aiuterà a visualizzare meglio gli spazi vuoti sui quali intervenire (con matite, pennarelli, tecniche pittoriche a discrezione, l’importante sarà l’idea).

Per agevolare il lavoro di trasformazione bestiale, si potranno anche osservare alcune foto collettivamente, scrivendo alla lavagna gli spunti che emergeranno. Ciascuno poi lavorerà su un proprio nuovo animale, disegnandolo ma anche scrivendo le sue peculiarità.

Alcuni pensano che la combinazione tra disegno e fotografia (un ulteriore livello di lettura dei codici visivi) confonda i più piccoli. Ma è esattamente l’opposto.

Chi possiede già un proprio bagaglio di immagini (e noi iniziamo a costruircelo inconsciamente fin da piccolissimi) saprà perfettamente “stare al gioco”.

Aiutiamo piuttosto il pensiero a giocare con questa altalena in modo sempre più ricco e interessante e procediamo elencando tutte le proprietà dell’oggetto fotografato. Poi trasformiamole in caratteristiche del nuovo animale.

Quel groviglio di fili e auricolari è intricato, gommoso, dotato di altoparlanti, capace di condurre corrente e onde sonore. Una pecora elettrica che, invece di stare in silenzio come le altre del gregge, non può fare a meno di far sentire la sua voce, di captare segnali nuovi, di reagire alle scosse.

E quest’altra invece? Lei è una pecora nera, anzi, scusate, mora. Perché? Non c’è bisogno di dare tante spiegazioni: semplicemente, col suo manto, invece dei maglioni ci faremo marmellate. 

(Nota: la pecora elettrica è nata per sostenere l’omonima libreria romana incendiata per ben due volte e impegnata in una coraggiosa lotta per presidiare con la cultura il quartiere di Centocelle).

DA SCATTO NASCE… COSA? Un “giorno libero” con Tony Ray Jones.

in Attività di classe by
immagine copertina

Continuiamo il nostro viaggio nel mondo della fotografia in compagnia di Tony Ray Jones, facciamoci ispirare dai suoi scatti e realizziamo insieme una bella attività in classe

In molte occasioni la fotografia si è rivelata, per me, un dispositivo inventa-storie sorprendente. Ci sono scatti che contengono infinite narrazioni in potenza, alcune piste palesi e altre da indagare sguardo dopo sguardo.

Attraverso la combinazione di foto e disegni non solo spero di suggerire nuovi approcci con i quali esplorare la realtà che abbiamo a portata di mano, ma mi auguro anche che si crei un ponte verso la fotografia stessa, che incoraggi sempre più a frequentarne autori e progetti, per esercitare la nostra familiarità con le immagini o anche solo per il puro piacere di saperne di più.

Eccomi quindi a inaugurare un nuovo piccolo percorso qui su Occhiovolante: uno scatto di un grande fotografo o fotografa (del passato o dei giorni nostri) e un’attività foto-illustrata alla quale approdare, per iniziare la nostra personale collezione e metterci all’opera espandendo i confini del gioco.

La foto

Nel trascorrere “un giorno libero” in compagnia di Tony Ray Jones si aveva davvero l’impressione che potesse accadere di tutto.

Viene proprio dalla raccolta “A day-off” la foto di oggi che, come molti scatti di questo talentuoso e purtroppo prematuramente scomparso fotografo inglese, non mostra nulla di inverosimile ma ci sorprende per accostamenti surreali e atmosfere inconsuete.  

Una coppia che sembra appena uscita dalla dimora principesca di Downton Abbey trascorre un piacevole momento di lettura e convivialità… circondata da una mandria di vacche.

Per non parlare poi delle sedie e del tavolino pieghevoli che, in contrasto con l’abbigliamento dei personaggi, creano una specie di cortocircuito spazio-temporale. Insomma, sembra tutto normale eppure qualcosa non quadra.

“La fotografia può essere uno specchio della realtà”, dichiara Jones, “ma penso che sia anche possibile attraversare questo specchio, come Alice nel paese delle meraviglie, per risolvere gli enigmi nella nostra testa e trasformarli in una nuova visione del mondo”.

Se frequentate da un po’ i miei articoli qui su Occhiovolante, potete facilmente intuire perché io e Tony Ray Jones saremmo andati molto d’accordo.  

La sua ricerca si è concentrata principalmente sulla società inglese della fine degli anni ’60, in veloce divenire e rigorosamente catturata “in strada”, laddove la vita accade e bisogna essere acuti e attenti per cogliere il momento in cui le storie stanno per manifestarsi.

Ecco perché ci viene subito da chiamare i suoi soggetti “personaggi”, intenti a fare qualcosa e legati fra loro da una narrazione che si rivela solo entrando dentro allo scatto con un po’ di fantasia e molto spirito di osservazione, “with humor on top” diceva lui.

E allora, attraversiamo anche noi lo specchio e prepariamoci a mettere in scena storie sensazionali svelate inquadrando giornate assolutamente comuni.

Adesso tocca a voi

Adottando le intenzioni di Jones, useremo il disegno per ricreare quegli accostamenti surreali che accenderanno il nostro quotidiano. Ma prima, ovviamente, dobbiamo andare a caccia dello scatto giusto.

Al nostro autore piaceva agire sfruttando l’effetto sorpresa: estraeva la sua Leica solo al momento opportuno da sotto la giacca e op! Scattava!

Proviamo quindi anche noi ad aggirarci per le strade della nostra città con la fotocamera a portata di mano, ma prima di tutto concentrati sull’esercitare il nostro sguardo per captare qualcosa di potenzialmente interessante.

Ci serve un luogo e ci servono dei personaggi possibilmente intenti a fare qualcosa, perché proprio partendo da loro sarà più facile disegnare il pezzo mancante della nostra storia foto-illustrata. 

Guardiamo poi le foto raccolte, stampate in bianco e nero così da concentrarci solo su composizione e situazione in corso e dare al tutto un aspetto senza tempo. 

Io sono andata a passeggiare sul lungomare della mia città: mi ha colpito il contrasto di tante persone attive rispetto al bambino accoccolato su se stesso, gli schizzi d’acqua delle fontane a filo strada sembravano poi essere letteralmente sbucati dal nulla. 

Per disegnare il resto potete, come sempre, servirvi di carta da lucido e matita per sovrapporre un livello di bozza e fare esperimenti, sfruttando la trasparenza della carta che ci lascerà intravedere ancora la foto sotto.

Potete poi intervenire direttamente sulla foto con pennarelli acrilici, rapidrograph, penne biro e matite.

Continuate a lavorare rispettando il bianco e nero. Se volete, aggiungete elementi a collage magari prelevati da altre foto che avete scattato durante la stessa giornata. 

Cosa renderà speciale “il giorno libero” dei vostri soggetti?

Un incontro inaspettato con una creatura fantastica? O magari proprio il luogo in cui si trovano, opportunamente modificato dalle vostre matite? Decidete se intervenire partendo dall’ambiente o dai personaggi.

Per semplificare l’attività, potete decidere un tema, per esempio: incontri impossibili! Creature d’acqua si incontreranno con creature di terra, creature di cielo inizieranno a passeggiare per le strade,… D’altra parte, tutto può succedere, in un giorno libero “con l’umorismo in cima”.

DA SCATTO NASCE… COSA? Sei proprio una bestia, parola di Erwitt.

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

La seconda attività foto-illustrata è dedicata ad un grande fotografo: Elliot Erwitt

In molte occasioni la fotografia si è rivelata, per me, un dispositivo inventa-storie sorprendente. Ci sono scatti che contengono infinite narrazioni in potenza, alcune piste palesi e altre da indagare sguardo dopo sguardo. 

Attraverso la combinazione di foto e disegni non solo spero di suggerire nuovi approcci con i quali esplorare la realtà che abbiamo a portata di mano, ma mi auguro anche che si crei un ponte verso la fotografia stessa, che incoraggi sempre più a frequentarne autori e progetti, per esercitare la nostra familiarità con le immagini o anche solo per il puro piacere di saperne di più.

Eccomi quindi a inaugurare un nuovo piccolo percorso qui su Occhiovolante: uno scatto di un grande fotografo o fotografa (del passato o dei giorni nostri) e un’attività foto-illustrata alla quale approdare, per iniziare la nostra personale collezione e metterci all’opera espandendo i confini del gioco.

La foto.

Confesso: sono un topolino di città, di quelli che appena li porti in campagna, nonostante la fascinazione sincera e un barlume di istinto selvatico ancora in circolo, si sentono subito a disagio, in disordine, a volte persino un po’ in pericolo.

Sono cresciuta in mezzo a regole sfacciatamente umane, codici da acquisire per dimostrare di “sapersi comportare”.

Però… però arriva, prima o poi, quel momento in cui quell’ordine si rivela più precario di quanto sembrasse e per fortuna un po’ di imprevedibilità trova il modo di manifestarsi. In fondo, le storie si accendono proprio quando qualcosa interrompe il ritmo del rassicurante quotidiano.

Bu! E facciamo un salto, ma stavolta non come quello delle modelle di Munkàcsi di cui vi parlavo nello scorso articolo: stavolta è quel buontempone di Elliott Erwitt (Parigi, 26 luglio 1928) che si è messo ad abbaiare così dal nulla e ci ha fatto scomporre, a noi e a quel buffo cagnolino che la signora che ci cammina accanto sta portando a passeggio (sì, ha fatto un salto pure lei).

Faceva così Erwitt, lo dice lui stesso, sperando di generare le condizioni di uno scatto riuscito in cui il protagonista animale si possa prendere la scena, sparigliando per un attimo la compostezza a cui lo ha indotto la padrona. 

“I cani sono come gli umani, solo con più capelli” dice il nostro Erwitt

Fotografo statunitense (dopo una parte di infanzia passata a Milano, la famiglia emigra negli USA) specializzato soprattutto nella fotografia pubblicitaria e documentaria, con qualche esperienza anche in campo cinematografico.

Forse ha ragione: i nostri amici a quattro zampe ci somigliano molto più di quanto pensiamo, ma qualcosa loro, a differenza nostra, non l’hanno dimenticata.

Gli scatti di Erwitt sono pieni di ironia, non solo quella che ci fa ridere sfociando nella vera e propria comicità, ma anche quella sottile e straniante che si genera da un accostamento inconsueto che può lasciar spazio a più interpretazioni.

Degli animali di città apprezza ovviamente il fatto che, pur vivendo adattandosi a noi, si trasformano spesso nel nostro contraltare spettinato, nel riflesso inconsapevole di quello che noi facciamo di tutto per contenere e arginare.

Le fotografie più riuscite hanno un’ironia gentile che insinua uno o più dubbi” dice in un’intervista e, infatti, i suoi scatti a volte sono anche destabilizzanti e malinconici. Ma oggi restiamo sulla pista tracciata dalle zampe e vediamo quanto lontano ci può condurre.

Adesso tocca a voi.

Se gli animali piacciono tanto a Elliott Erwitt perché sono liberi dalle inibizioni e imprevedibili, proviamo anche noi a piacergli (e magari piacerci?) un po’ di più trasformandoci in uno di loro.

La sfida foto-illustrata di oggi prevede di risvegliare istinti e forme animalesche tra cappotti, vestiti e stivaletti trasformando i soggetti dei nostri scatti in bestiole di città.

Chissà cosa ordinerebbe un carlino se lo incontrassimo seduto al tavolo del bar… e poi quel gabbiano sta davvero benissimo con quel cappello… eh ma come è in forma oggi, signora gatta!

Partendo da foto che raffigurano persone ambientate in città, disegnate al posto delle loro teste delle fisionomie animalesche e inventate nuovi personaggi capaci di rendere decisamente sorprendente la nostra passeggiata. 

Si parte quindi in modalità “street photography”

Ovvero macchina fotografica alla mano, a zonzo durante la giornata con gli occhi bene attenti, cercate di catturare un soggetto non troppo lontano da voi altrimenti sarà difficile poi cambiargli i connotati.

Trovate quindi la giusta misura perché si veda sia la persona sia un po’ dello spazio circostante: qualcuno che telefona su una panchina, una persona in bicicletta ferma a guardare l’orologio, qualcun altro che sta passeggiando indossando un look particolare… nessuno deve essere in posa, ma colto in un momento il più possibile spontaneo.

Potete trasformare anche voi stessi nei soggetti delle vostre fotografie e farvi foto a vicenda.

Una volta scelti gli scatti, stampateli della dimensione desiderata e iniziate a fare ricerca: per trasformare i protagonisti in animali, bisognerà scegliere quali animali e il web, i libri, i documentari saranno ovviamente le fonti con cui riempirsi gli occhi (e le pagine del blocco schizzi) di appunti per cogliere dettagli e raccogliere le idee.

Quando avrete fatto alcune prove e trovato la testa animalesca adatta al vostro soggetto, sarete pronti a disegnare per davvero. Potete intervenire direttamente sulla fotografia (pennarelli acrilici, rapidograph e matite possono essere i vostri alleati): divertitevi a incastrare perfettamente la testa tra i vari accessori (cappelli, scollature, maniche,…), decidete se tenere i capelli (di solito l’effetto è molto buffo!) o coprire con altri elementi. Braccia e gambe possono restare umane per amplificare l’effetto straniante della vostra opera.

Corredate il vostro reportage bestiale con delle didascalie che lascino la storia un po’ in sospeso. Potete ispirarvi a dettagli che sono finiti nell’inquadratura o aggiungere degli indizi voi contaminando anche l’ambiente (ma, attenzione, che sia solo un dettaglio).

Potete iniziare così, per esempio: “Ho visto un gabbiano con un gran bel cappello, lo sguardo interdetto, chissà poi perché…”

E ora indovinate chi si nascondeva originariamente sotto questa foto!

Scrapbook: l’album dei ricordi da fare con i bambini

in Attività di classe by
Marianna Balducci ci fornisce indicazioni per creare in classe uno scrapbook, individuale o collettivo, al rientro dalle vacanze

Non sono mai stata una persona ordinata. Cerco di disciplinarmi e magari ci riesco anche bene ma, quando muovo pensieri e mani senza incombenze lavorative di mezzo, mi accorgo di essere molto più vicina all’accumulatrice compulsiva che a Marie Kondo. Disegnare e soprattutto fare ricerca prima di impostare un progetto mi ha insegnato tante cose sull’ordine e sul disordine, sull’importanza di entrambi e sulla misura con cui gestirli di volta in volta. Quando incontro i bambini, per quanto le attività siano guidate da me, c’è spesso un momento di “disordine” in cui le idee possono circolare con fluidità, in cui non è ancora importante il peso che diamo alle cose (quello lo sceglieremo dopo, quando avremo un obiettivo da realizzare), in cui ci godiamo una divertita fase di “raccolta”. Le esplorazioni dei bambini sono fatte un po’ così, in fondo: non procedono necessariamente per prudenti e misurati passi, ma si slanciano da una parte all’altra, registrando informazioni a cui il peso specifico verrà attribuito e ridefinito consapevolmente magari in un secondo momento, anche molto lontano nel tempo. Intanto si fa archivio.

credits: Marianna Balducci

Complici le vacanze e quindi una finestra di tempo un po’ ampia libera dalla routine scolastica, potrebbe essere un buon momento per approfittare di tutto questo disordine e sfidare i piccoli esploratori a una grande raccolta. Obiettivo finale: confezionare uno scrapbook che somigli però un po’ anche a un carnet di viaggio, non importa se l’oggetto delle esplorazioni è il posto in cui stanno andando in vacanza o il proprio quartiere in quel particolare periodo dell’anno. D’accordo, un po’ vi sto imbrogliando: questo disordine avrà in realtà qualche input a cui rispondere, ma d’altra parte anche la stessa Marie Kondo continua a confondermi quando mi esorta a liberarmi di ciò che non è essenziale e, al contempo, mi consiglia di conservare le cose che mi rendono felice.

Partiamo da lui, lo scrapbook, per capire meglio cos’è e come potrebbe diventare fonte di gioco ma anche di lavoro. Lo scrapbook è tecnicamente un quaderno che raccoglie ritagli, segni, tracce funzionali a restituire una certa atmosfera, un mood estetico (infatti viene molto usato anche nelle primissime fasi di lavorazione delle collezioni di moda), o semplicemente, come sarà il nostro caso, a conservare la freschezza del ricordo di un’esperienza. Lo scrapbook non ha necessariamente un formato omogeneo, può essere pieno di cose stampate, fotocopiate, disegnate ma anche di piccoli reperti. Diciamo che è un album dei ricordi molto spettinato e con molta personalità. Ha un’origine antica e, in alcuni casi, anche una vera e propria deriva artistica molto affascinante.

credits: Marianna Balducci

Per comporre il proprio scrapbook esplorativo ciascuno dovrà impegnarsi a raccogliere e conservare, durante le sue vacanze, un insieme di elementi che parlino del posto in cui è stato. Il tutto verrà assemblato insieme, quando ci si ritroverà per raccontare cosa abbiamo fatto e visto, ma la fase di ricerca e accumulo dovrà essere libera di svolgersi con i tempi e le modalità che ciascuno riterrà più congeniali. Anche se la composizione dell’album avverrà una volta rientrati a scuola, è importante mostrarne alcuni esempi prima di mettersi in cerca. In rete se ne trovano moltissimi (vi consiglio un account instagram che ne ha archiviati alcuni davvero preziosi: PaperScrapbooks History). Mostrare tanti esempi darà una prima idea del possibile risultato finale, sarà un incoraggiamento e un suggerimento per far sì che il piccolo archivio di ciascuno non si fermi solo a cartoline e fotografie, ma includa scontrini di merende, sassolini e conchiglie, biglietti dell’autobus, bustine di zucchero, foglie e fiori secchi,…

Un piccolo aiuto potrebbe essere dare a tutti un quadernino e una scatola o un sacchetto con l’invito a riempirli di appunti, disegni, oggetti e riportarli a scuola per condividerli e comporli insieme. Vi lascio sbirciare tra i miei, raccolti e stilati durante un breve soggiorno in montagna. È importante che passi l’idea che non ci sono errori e non ci sono limiti. Le cose ci parlano, tutte intorno, l’unica bestiaccia da rifuggire è la pigrizia in favore della curiosità (e, se ci troviamo in un posto nuovo, è facile che quest’ultima vinca). Più oggetti e appunti raccoglieremo, più cose avremo da mostrare ai compagni per dar loro l’impressione di aver viaggiato un po’ con noi. E una volta rientrati? L’esito può essere la composizione di uno scrapbook personale o collettivo (creando vari collage su un formato condiviso, da rilegare o inanellare in un grande raccoglitore). Bisognerà scrivere il nome dei posti visitati e un bell’elenco di parole da distribuire accanto ai reperti conservati.

credits: Marianna Balducci

Il disegno ci viene in aiuto, per trasformare quanto raccolto in una galleria di storie che magari potremmo trascrivere o inventare tutti insieme nel corso dell’anno, utilizzando le nostre esplorazioni come spunto per comporre poesie, confezionare altre attività, condurre più approfondite ricerche. Ci sarà spazio per il disegno più didascalico con cui descrivere un paesaggio, ma anche per qualche sfida a trasformare gli oggetti raccolti in oggetti parlanti e renderli portavoce di una sensazione provata durante il soggiorno o maturata in seguito dopo averne parlato tutti insieme.

Dal macro al micro, dal generale al particolare

in Attività di classe by
Per allenare lo sguardo e “fare amicizia col territorio” in questo articolo Marianna Balducci ci invita a “condurre una linea a fare una passeggiata”

Paul Klee diceva che “Il disegno è l’arte di condurre una linea a fare una passeggiata” e anche la mia matita ogni tanto ama prendersi il tempo giusto, moderare i passi e il fiato, guardarsi attorno. Mi capita di definire spesso il disegno come il mio modo preferito di misurare e conoscere il mondo e, se siamo partiti addentrandoci nelle fessure e nelle crepe dei muri, adesso è il momento di aprire lo sguardo e concederci un più ampio respiro.

Quando ho lavorato a questo progetto foto-illustrato avevo un committente specifico: una voce istituzionale (parte di un più ampio progetto europeo) di un territorio dalla forte tradizione agricola, impegnato nella riscoperta della sua storia e proiettato verso scenari futuri sostenibili e socialmente virtuosi. Per quanto i contenuti di quello che sarebbe diventato un video fossero già scritti, c’era da scegliere chi sarebbero stati i “testimonial” che li avrebbero accompagnati. Volevo che fosse la terra, la natura a parlare, la vera protagonista, quella che sente su di sé il sollievo delle piogge, che accoglie con fiducia i vitigni e gli alberi da frutto, che si pettina con l’aratro per le grandi occasioni di semina.

Ma per interpretare la sua voce, dovevamo conoscerci un po’ meglio perciò (assieme a Diego Zicchetti, responsabile delle riprese e del montaggio video di questo progetto) è partita l’esplorazione, la “passeggiata” della linea, con l’intenzione di campionare i frammenti di quel paesaggio da raccontare. Hanno iniziato a fare capolino strani fantasmi delle colline, donne dai capelli frondosi, squadre di arance succose,… personaggi nascosti tra le pieghe del paesaggio che, come spiriti protettivi, mostravano il loro amore per la terra che li aveva ospitati.

Mi piace pensare che questa passeggiata della linea si possa fare anche a scuola, accompagnati dalle insegnanti proprio come quando si progetta una gita.

Si sceglie insieme, innanzitutto, la destinazione e in questo caso, per agevolare il nostro ampio respiro, è bello pensare a un luogo che ci permetta di misurarci con paesaggi naturali (il bosco, il parco, la campagna, ma anche il mare se ci sono zone un po’ incontaminate con gli scogli per esempio). Si traccia poi l’itinerario (magari si disegna una mappa che tutti terranno come riferimento). Basteranno anche solo 3 punti di interesse su cui concentrare l’attenzione. Nei 3 esempi estrapolati dal mio progetto ci sono un campo ampio (un panorama), un campo medio che si concentra su un solo elemento (l’albero), un campo ristretto su un dettaglio (le arance). Ragionare su quali tipi di sguardo ci permette di adottare il luogo che visiteremo è già un buon esercizio (dal macro al micro, dal generale al particolare).

Macchina fotografica alla mano, si va quindi a caccia di scatti cercando di rispettare la consegna data e concentrarci proprio su quei 3 sguardi. Confrontarsi su come organizzare l’esplorazione è importante per non disperdere le energie in un ambiente che sicuramente ci darà tantissimi stimoli. Per rendere la sfida più interessante e costringere i nostri piccoli fotografi a una selezione più ragionata, si possono stabilire dei vincoli: solo 9 foto a testa (3 scatti per ogni tipologia di sguardo).

Una volta rientrati a scuola, sarà bello confrontare le foto di tutti, stamparle e iniziare a pensare a dove collocare gli spiriti del paesaggio che la fantasia sarà in grado di risvegliare

Anche in questo caso, il disegno sulle foto si può realizzare con pennarelli acrilici oppure con la tecnica del collage. Un altro modo divertente di intervenire può essere disegnare sulla carta da lucido che renderà i fantasmi ancora più nebbiosi e misteriosi.

In un momento storico che ci implora di essere sensibili verso la natura circostante, sempre più consumata, ignorata, male interpretata, magari non possiamo imbarcarci in grandi imprese ma iniziare da cose semplici come sviluppare la consapevolezza di quel che abbiamo vicino per proteggerlo e averne cura. Non discorsi astratti ancora troppo grandi per essere davvero afferrati, ma piccole esplorazioni quotidiane alla nostra portata, che ci facciano spezzare il fiato (come si dice per le camminate in montagna) prima di raggiungere vette più ambiziose. Quanta natura abbiamo intorno a noi? Come è fatta? Chi la abita? Che storie custodisce?

Ogni spirito disegnato porterà un suo messaggio o magari un piccolo racconto nato dall’approfondimento fatto in classe o dalle testimonianze di chi la natura la conosce meglio di noi.

Quanto addentrarci, con lo sguardo e col pensiero, è una scelta che si può calibrare in base al tempo, alle risorse disponibili, agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Il risultato saranno tante cartoline o magari un album collettivo che ci avrà aiutato a fare amicizia con l’ambiente che ci sta attorno, portando gli occhi e la matita a passeggio in un posto che ci sta a cuore, come si fa con i più cari amici.

Credits: tutte le illustrazioni sono courtesy of © Marianna Balducci

DA SCATTO NASCE… COSA? Un salto nella fotografia d’autore con Martin Munkàcsi

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by

Un’attività che coniuga educazione all’immagine, creatività, tecnica e… tempismo con l’uso di una fotografia d’autore

In molte occasioni la fotografia si è rivelata, per me, un dispositivo inventa-storie sorprendente. Ci sono scatti che contengono infinite narrazioni in potenza, alcune piste palesi e altre da indagare sguardo dopo sguardo. 

Attraverso la combinazione di foto e disegni non solo spero di suggerire nuovi approcci con i quali esplorare la realtà che abbiamo a portata di mano, ma mi auguro anche che si crei un ponte verso la fotografia stessa, che incoraggi sempre più a frequentarne autori e progetti, per esercitare la nostra familiarità con le immagini o anche solo per il puro piacere di saperne di più.

Eccomi quindi a inaugurare un nuovo piccolo percorso qui su Occhiovolante: uno scatto di un grande fotografo o fotografa (del passato o dei giorni nostri) e un’attività foto-illustrata alla quale approdare, per iniziare la nostra personale collezione e metterci all’opera espandendo i confini del gioco. 

La foto

Avremmo potuto fare un primo passo in questa nuova rubrica e invece facciamo proprio un salto! Senza paura, ma sempre con una certa eleganza, accompagniamo in una surreale passeggiata a qualche centimetro da terra la modella ritratta in questo celebre scatto di Martin Munkàcsi (Cluj-Napoca, 1896 – New York, 1963).

Munkàcsi non solo è il fotografo della moda in movimento, ma della donna in movimento!

Di modelle splendidamente in posa e posate ne abbiamo avute a sufficienza, i soggetti di Munkàcsi sono dinamici e al passo con un rinnovato tempo di liberazione dei corpi e presto anche dei ruoli. Si chiama “Neues Sehen” (dal tedesco, “nuovo sguardo”) il movimento che dagli anni ’20 del ‘900 vede protagonisti molti esponenti (non solo fotografi) che privilegiano prospettive e inquadrature inconsuete, valorizzando sempre più la pratica fotografica come pratica che sia anche artistica, attraverso la quale esprimere una propria cifra stilistica. 

Martin Munkàcsi viene dalla fotografia sportiva e forse anche per questo, quando approda alla moda, sfrutterà la sua familiarità col tempismo per ritrarre modelle e grandissime star del cinema in azione!

Adesso tocca a voi.

Ci servono gambe elastiche e mani veloci. Fotografarsi saltando non è mica così facile! Se avete un cellulare o una fotocamera con modalità multiscatto potete un po’ “barare”, ma cogliere al volo nel momento perfetto il proprio soggetto è una soddisfazione a cui vi consiglio di non rinunciare, a costo di dovervi cimentare in più tentativi.

Chi scatta può scegliere di collocarsi frontalmente, alla stessa altezza di chi verrà catturato. Ma, se vogliamo davvero esercitare anche noi il “neues sehen” di Munkàcsi e colleghi, dovremo abbassarci un po’ rispetto al soggetto (stare almeno in ginocchio) e orientare l’obiettivo dal basso verso l’alto per amplificare l’effetto dell’elevazione.

Chi salta, dal canto suo, dovrà mettere alla prova slancio e coordinazione:

non è fondamentale saltare molto in alto, ma riuscire a tenere in aria anche solo per pochi decimi di secondo una posa precisa potrebbe complicare il gioco e renderlo più divertente.

Provare per credere! Iniziamo da una camminata sospesa proprio come la modella del celebre scatto: gambe e piedi tesi e non scordiamo di usare anche le braccia (alternate, aperte, incrociate). Potete prendere una piccola rincorsa per coprire col vostro passo volante una distanza maggiore e aumentare le possibilità di ottenere una buona foto oppure trovare un piccolo dislivello (un sasso, un gradino) da cui compiere il salto.

Fatto il primo salto “buono”, sbizzarritevi!

Fate tante prove: accennate passi di danza, saltate selvaggi come un animale in agguato, fate un salto di esultanza e uno come se foste in procinto di spiccare il volo,…

Un consiglio per chi scatta: lasciate un margine ampio attorno al corpo del saltatore, vi lascerà più spazio per disegnare dopo.

Rientrati alla base, è il momento di visionare gli scatti e decidere su quali disegnerete.

Obiettivo: trasformarli nella locandina del vostro personalissimo film… d’azione, ovviamente. Osservate le pose e le storie che vi suggeriscono: potreste diventare nuovi supereroi (o supercattivi!), creature magiche, combattenti!

Lasciatevi ispirare dalla vostra espressione (una smorfia buffa, un grido di battaglia?). Il gioco funziona anche al contrario ovvero progettando prima che tipo di film vorrete interpretare. 

Scelto lo scatto perfetto, si stampa e si disegna.

Come vi ho suggerito in altre occasioni, potete lavorare sovrapponendo la carta da lucido alla foto per progettare il disegno e poi disegnare direttamente sulla foto quando sarete sicuri dei vari elementi.

Pennarelli acrilici (magari anche colorati) e rapidograph saranno, come sempre, utili alleati soprattutto se stamperete su carta comune. Se stampate su cartoncino, potrete osare anche tempere e pennelli. 

Non dimenticate di lasciare il posto per il titolo del vostro film (titoli e sottotitoli potranno essere scritti a mano o composti a collage con font d’impatto scritti al computer) e magari, a parte divertitevi, a scriverne la trama. Pronti, scattanti… azione! 

Una cartolina per te da Monte Conchiglio

in Attività di classe by

In compagnia di Marianna Balducci, ancora una volta, andiamo oltre lo sguardo quotidiano con l’aiuto di una cartolina!

Che si appartenga al team dei nostalgici che ancora la mandano per posta, o a quello del digitale che sceglie la rete, la cartolina resta impigliata nell’immaginario, efficace, immediata da interpretare per chiunque. 

Un’immagine testimonia il nostro passaggio in un certo luogo, e poche parole esprimono il nostro pensiero a una persona cara. Nella cartolina cartacea, in particolare, mi piaceva quando, oltre ai saluti, ci trovavo o ci annotavo caratteristiche del luogo (il clima, il cibo, un aneddoto). Mi piaceva trovare la misura perché tutto restasse privato e affettuoso, pur esponendo le parole alla mercé del postino, perché il testo sul retro non godeva della protezione della busta.

Una cosa mi piaceva più di tutte e cioè il pensiero che potesse anche trattarsi di un grande bluff: comprare il cartoncino nella località di passaggio che non è proprio quella del soggiorno perché si era di fretta, inscenare false partenze o falsi ritorni spedendo tutto in differita quando si è già di nuovo a casa, peggio ancora, oggi, rubacchiare un’immagine in rete per far credere che si è gente di mondo (e c’è chi lo fa, ve lo assicuro). Ma c’è un altro tipo di bluff che mi interessa di più ed è quello che, passando per la grammatica della fantasia (per dirla alla Rodari), è capace di far viaggiare ancora più lontano, laddove si annidano le storie. 

E allora “saluti dal…” mare? Così sembrerebbe visto che qui ho un mucchio di conchiglie e sassolini ritrovati sulla battigia e un cartoncino screziato di azzurro (che mi sono divertita a realizzare con un tutorial trovato in rete perché l’acqua era difficile da catturare). Partiamo quindi da una prima fase di raccolta di cose ma anche di suggestioni (come le bolle riprodotte sulla texture del cartoncino) che ci ricordino il posto in cui le abbiamo trovate. Andranno bene allora sia i reperti che il mare mi consegna, sia l’idea di mare che mi sono fatta e che sono in grado di riprodurre. Lavorare con i pattern utilizzando anche gli stessi oggetti trovati intinti nel colore a tempera come fossero timbri può essere un modo interessante di ricreare effetti grafici tutti da scoprire.

Credits: Marianna Balducci

Però vi ho promesso una cartolina bugiarda e dispettosa perciò non sarà dal mare che manderò i miei saluti.

Bruno Munari sarebbe d’accordo, lui che la bugia l’ha portata fin dentro alle teche del suo museo impossibile di “oggetti trovati”, un campionario di reperti raccolti in modo apparentemente arbitrario e presentati come fossero le tracce di un’antica civiltà, come testimonianze interessanti della vita che accade e della natura che agisce. Lui che ha visto un sasso che però “da lontano era un’isola”, proprio lui mi ha spinta a pensare che forse, anche quando mi sembra di stare in un posto solo, in realtà sono potenzialmente in tanti altri posti diversi e incredibili. Guardo il mio mare in scatola e penso al suo opposto: le conchiglie diventano fronde di alberi antichissimi, colline arse dal sole, montagne dal cucuzzolo perlato. E poi ce n’è una, con strani buchi, somiglia al becco di un rapace… Ormai è chiaro, non sono stata al mare, sono alle pendici di Monte Conchiglio. 

Capovolgere lo sguardo è quindi il secondo esercizio: partire dal luogo di ispirazione e spingerci mentalmente quanto più lontano possibile. Sono stata al mare? Allora la mia cartolina dispettosa vi parlerà di montagne. Sono stata al parco? E chi lo dice che in realtà non fosse il suolo di un pianeta inesplorato? Non ci sono limiti alla messa in scena del meccanismo di ribaltamento che molto verrà aiutato dall’osservazione di quanto si è raccolto. Prima di decidere che sarà davvero una cartolina di montagna, mi guardo il mio mare in scatola da tutti i versi, penso con la testa e con le mani, rigirando e componendo sul foglio gli oggetti in piccoli assembramenti per assecondare le loro forme e distaccarmi, piano piano, dall’idea del posto a cui originariamente appartengono. Lavorando con un gruppo di bambini può essere interessante concentrarsi sul medesimo luogo di raccolta (magari effettuando la caccia al reperto tutti insieme) e poi lasciando che ciascuno inventi il suo “non-luogo” con quanta più fantasia possibile. La sfida è generare spaesamento e arrivare a confezionare una cartolina che, pur nella sua assurdità, sia assolutamente credibile.

Una volta disposti gli oggetti a ricreare il nuovo orizzonte desiderato, bisognerà fotografare ciascuna composizione e stamparla in un formato uniforme (magari un 13×18 cm che conserva l’idea delle cartoline postali ma ci lascia un po’ più di spazio rispetto al più vincolante 10x15cm standard). È arrivato il momento di disegnare gli elementi mancanti per rendere la nostra cartolina dispettosa davvero completa. Può essere utile stampare più copie per consentire ai disegnatori di effettuare più prove. Si può disegnare con la matita una traccia e poi procedere con pennarelli acrilici e indelebili o confezionare piccoli disegni da incollare. Non servono tanti colori, anche solo il bianco e il nero potrebbero essere sufficienti visto che interveniamo su una foto già molto ricca di elementi. E poi servono i saluti e pensarci mentre si sta disegnando aiuterà l’uno e l’altro processo: se mi trovo a Monte Conchiglio dovrò spiegare perché, dovrò descrivere chi ho incontrato e come ci sto. E allora, ancora una volta, il disegno segue a ruota le idee che sarà divertente stimolare osservando insieme le foto su cui lavorare mescolando anche gli spunti dei compagni. Io a Monte Conchiglio mi sono trovata benissimo e magari la prossima volta ci torniamo insieme.

Foto di copertina by regularguy.eth on Unsplash

Caccia al pattern con gli stencil narranti!

in Attività di classe by
In vista della bella stagione, vi proponiamo un’attività divertente con gli stencil narranti di Marianna Balducci per inventare tante storie divertenti.

Quando proviamo a cimentarci con la fotografia, una delle cose fondamentali è la scelta dell’inquadratura. Attraverso l’obiettivo, selezioniamo quella esatta porzione di mondo congelandola nel nostro personale racconto. I confini dello scatto tracciano un nuovo confine anche nello spazio che guardiamo, escludono delle cose e ne includono altre stabilendo, più o meno consapevolmente, nuove gerarchie. Quando ci siamo esercitati a scattare dal macro al micro in un precedente articolo, abbiamo potuto constatare come certi soggetti possano essere percepiti in modo totalmente differente se il nostro punto di vista è lontano o vicino. Per comprendere meglio questo processo ed esercitarci nell’inquadratura, può essere utile muoversi nello spazio reggendo in mano una cornice di cartoncino bianca che ci permetta, appunto, di circoscrivere quel che vediamo, allargando e restringendo il campo (mano a mano che noi fisicamente ci allontaniamo o avviciniamo al soggetto) e creando un po’ di spazio neutro attorno.

Ma l’inquadratura non è solo un processo tecnico. Come molte delle strategie di osservazione della realtà che abbiamo sperimentato, possiamo usarla come espediente creativo e divertirci non solo a campionare il mondo attorno a noi, ma anche a dare avvio a delle storie. L’attività che vi propongo può essere fatta sia tra le mura domestiche, sia all’esterno. Se in questi giorni state piano piano assaporando qualche passeggiata, questo esercizio di inquadratura sarà una buona scusa per tornare a esplorare anche i luoghi conosciuti e a divertirci continuando a mantenere la distanza di sicurezza richiesta. E allora, si dia avvio alla caccia al pattern!

Ma cos’è un pattern?

Un pattern è una composizione grafica che, replicata potenzialmente anche all’infinito, dà vita a un motivo decorativo applicabile a una qualche superficie (pensiamo, per esempio, ai tessuti a fantasia). Tutto intorno a noi può diventare un pattern e a volte anche le cose più inaspettate possono rivelarsi soluzioni originali per rivestire storie e personaggi, connotandoli in modi inconsueti. Per individuarli dovremo subito verificare che come tali possano funzionare ed ecco che inizia il nostro gioco di inquadrature.

Non sarà una lineare cornice bianca a tracciare i confini della realtà che registreremo, bensì degli stencil narranti: vi ho preparato 3 figure (e 3 potenziali storie) con delle parti da ritagliare (le vedete tratteggiate). Sarà con loro che inquadreremo il mondo attorno. Portate gli stencil narranti in giro per la città (oppure iniziate esplorando gli angoli di casa che, come vi ho detto in un precedente articolo, possono nascondere un sacco di sorprese) e, non appena stanate un pattern che vi soddisfa, scattate una foto.

Vi consiglio di stampare i disegni su cartoncino rigido così riuscirete meglio a farli stare dritti. Potete anche creare un piccolo rinforzo attaccando col nastro adesivo degli stecchini lunghi ai bordi (in modo da creare un piccolo telaio sul retro del cartoncino che lo irrigidisca).

Chissà per quale occasione Serena potrebbe sfoggiare il suo vestito se fosse fatto di foglie verdi e freschissime, chissà quanto sarebbe leggero se fosse fatto addirittura di cielo! E quel supereroe fatto di mattoni deve essere davvero fortissimo… anche se credo che persino quello profumatissimo laggiù potrebbe dare del filo da torcere (magari agli allergici al polline!).

Divertitevi a raccontare le storie dei personaggi, vedrete come cambieranno mano a mano che troverete nuovi pattern. Le storie sono contenitori da riempire, diverse ogni volta a seconda degli strumenti che usiamo per costruirle: a volte può spuntare una finestra inaspettata dalla quale affacciarsi, a volte possono diventare così importanti da trasformarsi nella casa ideale da abitare.

Ma la caccia al pattern non finisce qui! Potete riempire i miei stencil narranti, ma potete inventarne anche di nuovi. Si può partire disegnando intorno a un ritaglio semplice (come una forma geometrica), attorno al quale disegnerete il personaggio o la situazione che il pattern andrà a condire. Un cerchio può diventare il pancione di un animale, un ritaglio irregolare potrebbe essere la capigliatura spettinata di un uomo buffo, un triangolo potrebbe essere la vela di una barca.

Divertitevi a inventare e a raccogliere e, se vi va, condividete con noi i vostri scatti!

Nota: scarica e stampa gli stencil narranti. Sono proporzionati per essere stampati su A4.

Un’attività divertente per scoprire e condividere in classe i gusti di tutti!

in Attività di classe by
Una divertente attività da fare in classe per scoprire, condividere e discutere i nostri gusti in fatto di cibo!

Proseguiamo con la TOP 10 dei nostri articoli più letti con un’attività divertente da fare in classe, in grado di rendere i cibi dei veri e propri protagonisti.

Parliamo di 4 campioni, capaci di superare il tempo e lo spazio sbaragliando i più grintosi avversari!

Una storia che si guarda e… si assaggia, perché i campioni in questione non sono i personaggi che vedete nei disegni, bensì i cibi protagonisti degli scatti fotografici!

Cuturusciu, zuccarina, grika, pappaiottula: sono i nomi di un tarallo, una patata, un’insalata e un mix di così tante cose che non c’è un’altra parola adatta a nominarlo!

Il cibo è un innesco straordinario per le storie

Ci offre l’occasione di recuperare esperienze che parlano del nostro passato, delle tradizioni, ma anche dei tempi che cambiano.

Ci permette di condividere e discutere i nostri gusti, ci offre un catalogo visivo di forme e colori di cui gli occhi non possono che essere golosi. 

L’esercizio foto-illustrato che vi propongo questa volta è dedicato ai campioni del gusto, ovvero proprio quei cibi o ingredienti tipici di una certa regione, località, città.

Campioni perché da anni, a volte persino da secoli, fanno parte della storia gastronomica delle loro comunità.

Campioni anche perché li metteremo al centro di nuove specialissime prestazioni, proprio come ho fatto io con i miei protagonisti (Cuturusciu, zuccarina, grika, pappaiottula… a ripeterli in fretta sembra quasi una formula magica!) che vengono dalla bella Puglia.

Quando mi è stato chiesto di trasformare queste 4 pietanze (al centro di un progetto di divulgazione culturale che mette in rete diverse pro-loco, una chef e tanti altri ingredienti e che potete recuperare qui: Borghi in cucina), ho subito pensato che, per quanto fossero diversissime, avevano tutte compiuto la medesima missione: resistere accanto ai piatti sfiziosi e aggiornati della cucina contemporanea, dimostrando di essere ancora i piatti migliori, portandosi dietro forse anche tanti ricordi e battendo non pochi record di resistenza. 

Naturalmente servivano dei personaggi per mettere in scena questi record e, per decidere in quali sport o attività si sarebbero cimentati, per prima cosa mi sono procurata le foto dei cibi su fondo bianco.

Scegliete i cibi o gli ingredienti campioni della vostra terra: sarà la prima cosa che farete anche voi.

Sicuramente in famiglia e a scuola troverete dei validi aiuti e, se siete fortunati, vi guadagnerete anche qualche assaggio.

Se svolgete questa attività in classe

Potrete dedicare un’intera giornata per allestire una fiera del gusto, portare cibi e ingredienti a scuola e posizionarli su un grande foglio bianco sul pavimento per poterli fotografare dall’alto uno per uno.

Oppure potreste fare una ricerca (su internet, sulle riviste di cucina) e selezionare le foto dei cibi da ritagliare e incollare su uno sfondo neutro che vi lasci spazio per disegnarci attorno.

Non importa trovarne tanti, sono sicura che anche dalla stessa foto può venir fuori più di un’idea (lo abbiamo visto insieme anche in altre occasioni, vi ricordate?).

Prima di disegnare

Ancora una volta vi chiedo di guardare attentamente le cose fotografate e concentrarvi sulla forma che hanno. Per esempio, la mia insalata grika sembrava proprio una montagna.

Ecco perché il suo record è stato quello di perfetta insalata in salita, un percorso dove ogni passo ha un sapore diverso (avete visto, no, quanti colori e ingredienti?) e la vetta si raggiunge solo se si è una buona forchetta!

I vostri cibi campioni diventeranno i protagonisti di nuove storie

Più conoscerete come sono fatti (e che sapore hanno) e più sarà divertente anche scriverle! Pensate agli assoli che si possono suonare con la patata zuccarina. Questa patata ha un cuore dal colore caldo e dal sapore dolce e sicuramente, nonostante la scorza dura, saprà coccolare chiunque ascolti la sua musica. Con il cuturusciu, ovvero il tarallo, è stato facile vedere subito due ruote veloci ma scegliere se fossero quelle di una bici, di un’auto o di un carrello della spesa ha richiesto un altro po’ di sforzo.

La pappaiottula, infine, ovvero il mix misterioso, era così denso di cose che l’unica scelta sensata era buttarcisi a capofitto, in apnea, come in una grande piscina. Perché nelle storie si fa così: ci si butta e non guasta farlo con un po’ di appetito!

Cara Casa, ti scrivo…

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Scopriamo insieme un nuovo gioco-illustrato tutto dedicato alla propria…casa!

Ho sempre abitato quasi nello stesso posto, mi ci sono ritagliata i miei spazi, l’ho trasformato in quello che è diventato anche il mio spazio di lavoro. Non sono mai stata e non mi sono mai sentita sola a casa mia e, anche se tra poco dovrò affrontare il mio primo vero trasloco, sono certa che sarà lo stesso finché riesco a tenere con me quello che mi sta davvero a cuore.

Se dovessi scrivere una lettera alla mia nuova casa, direbbe così:

Cara casa,

ci sono alcune cose che devi sapere di me: sono tutta un groviglio e non è sempre semplice contenermi, ho bisogno di sentire il mare vicino come fosse un parente, dovrai accogliere molte idee (non tutte buone) che probabilmente faranno un po’ di confusione e a volte forse mi sentirai cantare (chissà se ti piacerà).

Ecco l’attività

Il gioco foto-illustrato che vi propongo questa volta parte da una lettera da scrivere alla propria casa.

Gli elementi che useremo saranno proprio quelli della tradizionale corrispondenza: un foglio per la lettera e una busta per… lo vediamo tra poco.

Possiamo approcciarci a questa attività a più livelli:

Se abbiamo a che fare con ragazzi più grandi o con un gruppo di adulti, può diventare un esercizio di esplorazione molto intimo, ma possiamo lavorare sulle emozioni anche con i più piccoli o semplificare ulteriormente lasciandoci puramente ispirare dal foto-illustrato e costruire un’intera città.

La busta, infatti, sarà al centro della composizione e diventerà simbolicamente la casa a cui parliamo. Che somigli per davvero alla nostra non ha importanza, ma possiamo condirla con quello che le stiamo raccontando, riempirla di elementi disegnati, fotocopiati, di bigliettini e finestre, di personaggi e accessori.

Fornire in partenza al gruppo diverse tipologie di coppie busta-foglio può essere interessante per stabilire subito un’istintiva connessione con i materiali, diversi come diverse saranno le cose che tireremo fuori. Ma anche partire da uno stesso modulo standard può dare esiti sorprendenti proprio perché, da una base comune, la personalizzazione poi risalterà ancora di più.

Un consiglio:

Se al centro della vostra attività volete tenere il contenuto (e quindi far arrivare di conseguenza la sua rappresentazione), partite proprio dalle parole con cui vi rivolgete alla casa. “Cara casa,..” può contenere varie tracce (o solo una di queste):

  • Cara casa, cosa sei per me: bella/brutta, rifugio, abitudine, noia, la mia camera, il posto in cui vivo con…
  • Cara casa, ti racconto un segreto: una cosa di me che mi sento al sicuro se è protetta da te.
  • Cara casa, vorrei che fossi…: più grande, con le ali, con una torre per un drago, gialla al mattino e blu di notte,…
  • Cara casa, io ti conosco e tu? Io sono fatto così, mi piace… non mi piace…

“Casa” in fondo è il posto che abitiamo non solo fisicamente:

“Casa” è quel concetto che ci contiene, ci accetta e ci offre rifugio. È qui che allora la busta si apre e si prepara a contenere quel che abbiamo scritto e confessato, ciò su cui abbiamo riflettuto o immaginato.

Sollevando la patta, abbiamo il tetto; dalla parte contenitiva sbucano le cose e i personaggi che ci abitano sotto. Lavorate a collage (analogico o digitale) o direttamente sulla busta, con elementi disegnati o piccoli oggetti, costruite fisicamente la composizione che diventerà il vostro omaggio poetico a ciò che per voi è “casa”.

Potete anche fotografare voi stessi e posizionarvi dentro al collage. Potete estrapolare alcune parole della lettera e nasconderle dentro alla casa-busta. 

Al termine, avrete tante case che potrebbero formare un lungo skyline, una accanto all’altra e avrete tante lettere, anche loro possono rientrare nella composizione finale, esposte sotto alla casa corrispondente o rilegate come guida per questa nuova città tutta da esplorare. 

Non perdete l’occasione di conservare anche ogni singolo modulo con un unico scatto che combina casa e lettera (come vedete qui sotto) e, per decidere quali di questi stimoli fanno più al caso vostro e della vostra classe, fate prima questo esercizio da soli (e magari fateci sapere come è andata!).

Forme a sorpresa: il gioco foto-illustrato

in Attività di classe by

Insieme a Marianna Balducci scopriamo un nuovo gioco foto-illustrato

“I suoi piccoli occhi osservano senza sosta”. Lo dice Katsumi Komagata di sua figlia che, fin da piccolissima, diventa il centro non solo delle sue attenzioni di babbo, ma anche di molte delle sue riflessioni da autore di libri per la primissima infanzia. Proprio da lui arriva lo spunto per il mio gioco foto-illustrato di oggi.

Esplorare autori come Komagata è una specie di pratica zen che disciplina lo sguardo e le mani e li riporta all’essenza delle cose. Non a caso uso il verbo “esplorare”; “leggere” sarebbe riduttivo. I libri di Komagata sono inclusivi proprio come certi libri di Bruno Munari (di cui è stato nominato un po’ l’erede) perché ci chiedono di attivare tutti i sensi insieme, come fa il bambino quando inizia ad appropriarsi del mondo.

Sono “macchine per le risposte”, sono dispositivi che ci inducono ad agire e comunicare, come li descrivono bene gli approfondimenti introduttivi del catalogo “I libri di Katsumi Komagata” (Lazy Dog edizioni) che vi consiglio di recuperare per avere una panoramica su questo artista così speciale. Quando avrete un indice di opere da cui partire, se non vi sarà facile reperirle in libreria o biblioteca in prima battuta, cercatele su YouTube, dove le vedrete sfogliate in tutta la loro piccola grande materica genialità.

Nella serie “Little eyes” (quei “piccoli occhi”, non a caso) si parte proprio dalle forme pure declinate in buchi, tagli, spicchi, parentele cromatiche, giochi di ombre e sovrapposizioni. Si arriva a qualcosa di figurativo dopo qualche capitolo della serie, in “Walk and look” per esempio, in cui il gioco di scomposizione dei moduli ci mostra un gallo e un gufo disegnati su una carta piegata a fisarmonica, così da cogliere le due figure nella loro interezza solo se incliniamo il libro in un verso o nell’altro. 

Per trasformare i nostri oggetti fotografati attraverso il disegno, più volte vi ho consigliato di lavorare per analogie, di scomporre mentalmente quell’oggetto in forme semplici e capire cos’altro quelle forme ci ricordano. In altre occasioni abbiamo interrotto bruscamente il confine delle cose per poi ricostruirne i pezzi mancanti a nostro uso e consumo fantastico.

L’attività da riproporre per andare per creare delle forme a sorpresa

Oggi, con Komagata come guida e Munari sempre a vegliare su di noi, proviamo a creare delle forme a sorpresa. Ci servirà partire da oggetti con forme semplici, regolari o meno dipende da quanto vi sentirete audaci. Io ve ne lascio alcuni scomposti e stampabili in proporzione A4 qui di seguito (salvate le immagini in fondo all’articolo o, sulla base di quelle, createne di nuove). Il grande spazio bianco che separa una metà dell’oggetto dall’altra sarà lo spazio da riempire disegnando. Ma prima andiamo a piegare per preparare il nostro effetto sorpresa. 

Piegate il foglio a metà e poi piegate una delle due metà ancora a metà, così da far nuovamente combaciare l’oggetto spezzato

In questo modo, il nostro foglio a4 è diventato una specie di Leporello che, una volta dispiegato, rivelerà il disegno che avremo fatto. La vostra stampa non è precisa? Potete anche piegare il foglio prima e successivamente incollare l’oggetto fotografato e tagliato in due, per far combaciare i contorni. Questa fase, così gestita, potrebbe essere un passaggio da fare tutti insieme invece di consegnare già pronti i fogli al vostro gruppo di disegnatori e disegnatrici.

In cosa si trasformeranno ora quelle due metà di un’arancia? Nelle orecchie di un orso? Nel casco di due piloti che si stanno per sfidare in una gara e si guardano in faccia? Nelle ruote di uno strano veicolo? Unica regola: partire dai confini delle forme interrotte e restare nell’area centrale del foglio che le pieghe nasconderanno (altrimenti il nostro effetto finale non sarebbe davvero una sorpresa). Ecco le mie: una l’avete vista quando avete iniziato a leggere e l’altra la scoprirete cliccando sul video. Perché proprio un’arancia per iniziare con voi il gioco? Perché, ve l’ho detto, Bruno Munari veglia: è lui che ci dice che, quando un bambino rompe un giocattolo, il più delle volte lo sta in realtà “aprendo” per capire cosa nasconde, come funziona, allo stesso modo in cui uno apre un’arancia per mangiarsela!

Date quindi le foto di questi “oggetti rotti” in pasto alla fantasia e lasciate che si spalanchino nuove storie che, per fare un agguato alla noia, basta aprire un foglio di carta con le intenzioni giuste. 

Ecco le immagini scaricabili per realizzare l’attività:

L’atlante dei pianeti non ancora scoperti.

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Insieme a Marianna Balducci scopriamo nuovi pianeti mai visti prima e realizziamo una simpatica attività da fare in classe.

“Se fossimo soli, l’immensità sarebbe davvero uno spreco” diceva Isaac Asimov, uno dei più importanti scrittori di quel genere che si chiama Fantascienza. Come suggerisce il nome stesso, la Fantascienza comprende tutte le storie di fantasia che però hanno a che fare anche con qualcosa di scientifico: spazio sconfinato, laboratori di chimica, forme di vita sconosciute o esperimenti misteriosi,…

Sappiamo ancora così poco della straordinaria complessità del nostro mondo e di quel che lo circonda, nonostante i tanti progressi fatti dalla ricerca, che restano un mucchio di zone vuote che chi inventa storie si è divertito negli anni a riempire.

Sono nati così romanzi, film, serie a fumetti pieni zeppi di avventure incredibili che ci vedono alle prese con robot impazziti o servizievoli, alieni buffi o del tutto male intenzionati, mutazioni e portali verso nuove dimensioni. A volte, certo, ci sembrano davvero impossibili ma, se ci pensiamo bene, molte straordinarie scoperte scientifiche sono arrivate grazie alle capacità visionarie e alla fervida immaginazione dei loro responsabili.

Anche laddove si sono poi svolte rigorose verifiche e calcoli, l’intuizione per cercare proprio nella direzione che nessuno aveva ancora esplorato può essere arrivata dalla capacità di immaginare qualcosa che nessun altro credeva ci fosse.

Una divertente attività da portare in classe

Fantasia e Scienza, quindi, possono ogni tanto fare pace e trovare qualche pomeriggio libero per fare merenda insieme.

In questo esercizio foto-illustrato, di merende dovremmo metterne da parte un bel po’ perché stiamo per intraprendere un lungo viaggio.

Metteremo alla prova l’immaginazione per costruire un atlante fantascientifico di pianeti non ancora scoperti. Non sprecheremo nemmeno un briciolo di quell’immensità di cui parlava Asimov e partiremo, come sempre, dal nostro universo più quotidiano con una prima missione: se i pianeti inesplorati sono il nostro obiettivo, la caccia fotografica si concentrerà su tutte le forme tonde e sferiche che troveremo sulla nostra via.

Possiamo raccogliere le idee in classe e cercare le immagini su internet o sulle riviste, meglio ancora se riusciremo a trovare noi degli oggetti rotondi da fotografare. Il consiglio è di scattare con uno sfondo neutro. Fuori dal loro contesto abituale, oggetti piccoli e oggetti grandi perderanno i loro consueti riferimenti e potremo ingrandirli o rimpicciolirli a nostro piacimento.

Come in altri esperimenti già fatti insieme, il primo approccio ai nostri pianeti fantastici verrà dalla loro osservazione: di cosa sono fatti gli oggetti rotondi o sferici che abbiamo fotografato? A cosa servono? Che sensazioni ci danno al tatto? Profumano? Rimbalzano? Più informazioni raccoglieremo per identificarli e più la scheda pianeta si scriverà da sé e il nostro atlante si riempirà di storie.

Compilare la scheda pianeta sarà proprio il passo successivo. Scrivere vi tornerà utilissimo per poi passare finalmente al disegno. 

Ecco un esempio di scheda da compilare.

Potete stampare questa oppure confezionarne una tutta vostra!

Il pianeta Bottondo

Chissà quanto dista il pianeta Bottondo dal pianeta Arancione. I Bottondi sono così tanti che formano quasi un cosmo tutto loro (con costellazioni cucite su misura). Ma Arancione è così grande e profumato… forse lo avete scoperto seguendone proprio l’aroma?

Di sicuro chi lo ha colonizzato non vuole sprecarne nemmeno un po’, si intuisce dai buchi e dalle pompe che compaiono se solo ci avviciniamo di più alla sua ruvida scorza (non deve essere stato facile perforarla!). Quei misteriosi esseri sapranno fare buon uso delle sue risorse o lo stanno depredando? 

Le schede pianeta

Come vedete, possono trasformarsi facilmente negli spunti per scrivere delle storie e arricchire il nostro atlante di leggende o fatti di cronaca, mettendo anche in relazione i pianeti che ciascuno di voi ha trovato.

Potrete stabilire alleanze, parentele,… e speriamo non ci siano invasioni! Sono certa che, anche alle prese con le più strampalate forme aliene, sarete degli ottimi difensori della pace universale.

D’altra parte, l’equilibrio di un pianeta è qualcosa di prezioso e delicatissimo e purtroppo ce lo sta insegnando anche la nostra Terra.

Lo sanno molto bene anche gli abitanti di Bolla 2304 (i pianeti Bolla sono tantissimi, nascono e svaniscono di continuo) la cui permanenza da un Bolla a un altro è brevissima. Essere pronti a trasferirsi spesso però non vuol dire trascurare il luogo che si abita perciò, ad ogni soggiorno, i Bollani umidificano i loro terreni, lucidano le loro abitazioni e, seppur per brevissimi istanti, trovano sempre ma proprio sempre il tempo per godersi gli splendidi colori riflessi dell’arcobaleno.

Foto-illustrazione: la prima idea è sempre la migliore?

in Attività di classe by
Una nuova attività di foto-illustrazione di Marianna Balducci.

Con l’attività foto-illustrazione di oggi proviamo a rispondere a una domanda: la prima idea è sempre, in fondo, quella buona? Ovviamente la risposta è “dipende”. E il “da cosa dipenda” è influenzato da una quantità di variabili ingestibili in un unico articolo.

Però da qualche parte bisogna pur cominciare e, proprio perché spesso l’incertezza è la principale scusa per rimandare le decisioni cruciali, da qualche parte cominceremo, guardando, fotografando e, naturalmente, disegnando. Quando ci cimentiamo nella combinazione tra disegno e fotografia (cioè la nostra foto-illustrazione) per definire in cosa la nostra matita trasformerà l’oggetto reale in questione, facciamo appello al nostro archivio mentale di immagini, riferimenti, esperienze.

La nostra capacità di lavorare per connessioni, di creare associazioni tra forme e concetti ci permette di risalire a una sorta di catalogo di opzioni: ciascuna di esse è arrivata alla ribalta richiamata da questioni estetiche, cromatiche, a volte anche per via di inneschi molto personali generati da ricordi e fatti accaduti.

Quella forbicina appoggiata sul tavolo chiusa e con la punta rivolta verso il basso spalanca subito il cassetto dell’immaginario cartoon che ho assimilato da bambina: due occhi tondi e un becco a punta, basta aggiungere un paio d’ali al posto giusto e un uccellino dall’espressione buffa è atterrato sul foglio in un lampo.

Però devo dire che il mio bagaglio adulto sgomita, cerca di farsi spazio pure lui e, con la medesima forbice nella medesima posizione, reclama una donnina felliniana dal seno abbondante e l’aria familiare. 

Si vede perciò che la domanda “a cosa somiglia?” è sufficiente a generare più di una via che possiamo prendere per il nostro esperimento foto-illustrato. Bruno Munari in “Fantasia”, a questo proposito, esortava a prenderci cura della nostra “cultura”: solo assimilando molte cose nel nostro archivio saremo in grado di rendere quelle famigerate connessioni sempre più interessanti e ci concederemo il lusso di affermare che davvero la prima idea che è arrivata magari è la migliore e non la risposta obbligata da una gamma ristretta di possibilità. 

Con la nostra classe o sfidando noi stessi, proviamo a trasformare questo allenamento in un gioco.

Scegliamo uno o più oggetti e prepariamoci dei fogli in cui siano fotografati più di una volta e magari da più punti di vista.

Fotografiamoli su un fondo neutro (appoggiandoli su un foglio bianco e ben illuminati) e poi componiamo i mix fotografici anche sperimentando con la fotocopiatrice (che ci permette di zoommare con facilità su una o più versioni dello stesso oggetto).

Con oggetti come le forbici il gioco si fa subito interessante perché le possiamo fotografare aperte o chiuse, frontali o di lato (facendole stare in bilico con l’ausilio di una pallina di nastro adesivo). Se lavorate su fogli a4, vi consiglio di fare un massimo di 3 oggetti per foglio per lasciare spazio per disegnare intorno.

Ma sarebbe bellissimo posizionare le tante versioni fotografate dello stesso oggetto anche su un’unica lunga striscia di cartoncino stesa per terra dove tutti potranno disporsi a disegnare. 

Il gioco può svolgersi in due fasi: la prima è ovviamente disegnare quante più cose ci vengono in mente a partire da quell’oggetto fotografato.

Possiamo mettere a disposizione più copie dello stesso mix fotografico, possiamo classificare gli esiti e premiarli con menzioni speciali: l’animale foto-illustrato più buffo, il personaggio più matto (gli oggetti suggeriscono spesso facce ed espressioni), il mezzo di trasporto più geniale! Victor Nunes, illustratore, grafico e art director, in questo è un vero maestro.

Potete scoprire le sue numerose declinazioni foto-disegnate sulla sua pagina facebook.

La seconda fase può restringere il campo e complicare il gioco sfidando a inventare una storia con i 3 elementi di uno dei nostri composit, improvvisandola e costruendola anche collettivamente in classe, un po’ come ho fatto io con questi due esempi.

Mi raccomando, il segreto, come sempre, non è tanto saper disegnare ma è saper guardare quindi osservate (e ruotate il foglio in tutti i versi, se necessario) e raccontate!

Composit forbici

C’era un ragazzo molto alla moda, talmente puntiglioso da pretendere il taglio di capelli più alla moda del mondo. Il signor Baffonis era il barbiere più rispettato a livello internazionale e quindi sicuramente quel che faceva al caso suo. In effetti, il taglio che gli confezionò era impeccabile, ma il ragazzo era così puntiglioso che tartassò l’illustre barbiere con mille domande e lui, esasperato gli rivelò il suo segreto: a curare i tagli dei clienti più esigenti era il suo amico Forbicino, un rarissimo pennuto dal becco tanto preciso da poter rifinire le basette perfino a un topolino! 

Composit fermaglio

Quella mattina, a casa di Lucia sembrava tutto tranquillo eppure il postino stava per recapitarle una lettera d’amore… del tutto anonima! Chi l’avesse scritta era un mistero, ma Lucia era comunque contenta di sapere che una persona si era presa la briga di scriverle parole tanto dolci e decise che anche lei avrebbe spedito una bella lettera misteriosa a qualcuno, anche solo per far contento per una mattina.

Buchi illustrati per aprire passaggi segreti

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
Con Marianna Balducci una nuova attività per mescolare disegno e fotografia e… riempire i buchi con delle illustrazioni!

Per spiegare da dove partire quando si mescolano disegno e fotografia a chi si approccia per la prima volta a questa tecnica spesso suggerisco di concentrarsi in prima battuta sugli spazi vuoti. Sono gli spazi che una composizione fotografica ci lascia a disposizione per spostare il peso di quell’immagine da un’altra parte, sono in realtà anche i buchi, gli spazi vuoti, in cui la nostra fantasia trova posto quando osserviamo le cose intorno a noi con attenzione e quelle ci iniziano a suggerire una nuova via per esplorarle e magari trasformarle

In esercizi precedenti abbiamo generato quel vuoto attorno all’oggetto su cui intervenire, mettendolo in scena su uno sfondo neutro che ci lasciasse ampi margini di manovra (recuperate il bestiario immaginario qui). Altre volte quel vuoto lo abbiamo fisicamente portato a spasso per vedere che effetto facesse vestire le nostre storie in presa diretta con le cose del mondo (recuperate gli stencil narranti qui).

Oggi con quel vuoto giochiamo partendo dall’idea che la fantasia a volte sia una dispettosa impicciona, che non si accontenta di girare attorno alle questioni, ma ci vuole andare a fondo a tutti i costi. Oggi apriamo varchi, portali, buchi. 

Tranquilli, non rovineremo niente. La fantasia sarà pure impicciona, ma è molto rispettosa del mondo di cui si nutre. I buchi che andremo a creare saranno immaginari, ma non per questo meno pieni di storie. Come per altre occasioni in cui ci siamo messi a esplorare insieme, vi lascio qualche disegno da cui partire, ma vi invito anche ad inventarne di vostri (salvate e stampate il file in formato A4, divertitevi a fotocopiarlo anche in diverse dimensioni per rendere i buchi disegnati piccoli o giganteschi).

Dei buchi poi non ci accontentiamo: queste aperture sono veri e propri passaggi segreti che conducono verso nuove storie (vi ho suggerito sul mio file come potrebbero cominciare, avete altre idee?). Ecco perché ad ogni varco è associato un personaggio che sbuca fuori o si imbuca dentro (attenzione a ritagliarlo con cura prima di partire con l’esplorazione!).

Fuori o dentro? Questa è già una bella domanda. Se immaginiamo di entrare dentro a un oggetto (un libro, un albero, il cuscino, il pallone, la pentola,…) sicuramente la nostra storia sarà diversa rispetto a quella di chi da quell’oggetto è sbucato fuori. 

Potete procedere posizionando i vostri buchi sia all’aperto che in casa, vi basterà avere sottomano un po’ di nastro carta adesivo o di gommina adesiva removibile, insomma, cose che vi permettano di appicciare temporaneamente il vostro buco su diverse superfici senza rovinarle. Una volta trovato il posto giusto, scegliete angolazione e inquadratura per fotografare la vostra storia.

Per esempio, scegliete quali altri oggetti intorno dovranno essere compresi nell’inquadratura. Il mio coniglio viaggiatore del tempo è sbucato proprio vicino a una misteriosa chiave… sarà quella che gli permetterà di tornare nella sua epoca o che gli aprirà la porta verso nuove dimensioni? Il pigro orso lettore stava cercando da non so quanto tempo una tana in cui trascorrere il letargo coccolato dai suoi libri preferiti e l’ha trovata proprio sul tavolo della colazione… guarda caso, dentro a un goloso pacco di biscotti. Come vedete, i buchi e i personaggi sono in bianco e nero.

Potete lasciarli così e magari divertirvi a virare in bianco e nero la foto successivamente, per vedere come cambia l’effetto, oppure potete colorarli voi. La nostra cagnolina esploratrice sembra immersa in un’atmosfera da vero film di paura nella versione in bianco e nero, davanti a quel libro dalle proporzioni monolitiche che però, sono certa, scoprirà essere molto interessante!

Sbadiglia la Città: a caccia di storie sonnacchiose anti-noia

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
Con Marianna Balducci ci avventuriamo in una nuova attività anti-noia in giro per la città!

La nuova avventura anti-noia di Marianna Balducci, qualche tempo fa avevamo già immaginato un laboratorio che ci portasse a guardarci intorno, “educando lo sguardo“.

Con il freddo che ci circonda e ci intorpidisce e tutto il tempo trascorso tra le mura di casa, capita di sentirsi un po’ come gli animali in letargo. Le giornate iniziano ad allungarsi, ma ancora troppo poco, le occasioni per incontrarsi scarseggiano e, sempre più spesso, siamo costretti a dare forma a porzioni di tempo vuoto, pesante e, diciamolo, noioso… Proviamo con un’attività anti-noia, prima di cedere nuovamente alla sonnolenza invernale.

Proviamo per un momento a fare quello che facciamo di solito insieme in questo appuntamento: capovolgere il punto di vista.

Un’attività anti-noia: a caccia di sbadigli nella città!

Siamo sicuri di essere solo noi quelli annoiati? 

“Erano mesi che nessuno usciva più se non per necessità o per qualche rara eccezione. La Città era sempre più silenziosa, i cittadini impegnati a convivere con nuovi ritmi e presi da nuove preoccupazioni non le prestavano più le attenzioni di un tempo e si limitavano a lanciarle sonnolente occhiate dalla finestra o frettolosi sguardi al rientro dalle loro occupazioni, giusto il necessario per non inciampare in qualche imprevisto. 

La Città ci aveva pure provato a piazzarlo qua e là, qualche imprevisto: un sanpietrino fuori posto, una perdita nel rubinetto della fontana in piazza, un barile da osteria nel mezzo del vicolo… Ma niente. Nessuno notava più nien-te. 

È così che è iniziata ed è stata da subito contagiosa. No, per fortuna, non era un contagio pericoloso, ma di certo sembrava inarrestabile. Di cosa parlo? Di una luuunga, disteeesa, plaaacida, sonnacchiooosa catena di… sbadigli!”

Vi assicuro che questa storia è vera. Se non mi credete, uscite voi stessi a controllare. Vi servirà una macchina fotografica (o un cellulare), una certa conoscenza delle forme tonde e tondeggianti (come andate in geometria?) e una eroica resistenza agli sbadigli che, lo sapete, si appiccicano addosso appena li captiamo anche solo da lontano.

“La Città impigrita sbadigliava continuamente. Qualche volta sembrava accennare un piccolo sforzo a mettere almeno una mano davanti alle sue bocche, come vuole la buona educazione, ma quelle si spalancavano senza preavviso ad ogni angolo. 

Non la si poteva biasimare, in fondo. Non vedendo più nessuno in giro, aveva iniziato ad annoiarsi davvero tantissimo. Prima che i brutti pensieri prendessero il sopravvento (“E se mi avessero abbandonata per sempre?”), aveva deciso che un sonnellino magari le avrebbe fatto pure bene, che la siesta in certi paesi è quasi un’istituzione, che tanto aveva il sonno leggero e presto si sarebbe ripres….zzzzzzzz.”

Mi raccomando, fate piano. Quando vi muoverete per le strade a caccia di sbadigli, siate rispettosi.

A nessuno piace essere svegliato di soprassalto, neppure alle Città.

Il vostro campionario di sbadigli cittadini dovrà essere il più completo e scrupoloso possibile. Ci sono sbadigli di alto profilo come quelli delle facciate delle case piene di finestre, sbadigli tunnel che ti ci perdi dentro tanto sono profondi come quelli delle grondaie, sbadigli minimi come quelli dei tombini che non aprono troppo la bocca per non far cascar dentro qualcuno.

Schedate tutti gli sbadigli urbani che riuscirete a trovare, prendendo appunti su tipologia, qualità e intensità (non dimenticate di scrivere dove li avete incontrati).

Tornati a casa, stampateli per poterli archiviare al meglio e completate le fotografie aggiungendo occhi e dettagli e trascrivendo i vostri appunti. 

“La Città era sicura di aver sognato: un mucchio di piedini e diverse paia di occhi curiosi dotati di strampalati dispositivi l’avevano percorsa in lungo e in largo. All’inizio le erano sembrati molto invadenti e l’avevano fatta sentire un po’ in imbarazzo (sembravano lì a coglierla di sorpresa ogni singola volta che le scappava uno sbadiglio…), ma poi le erano sembrati anche così familiari. Le ricordavano dei cari amici che non venivano a trovarla da un po’. Si era perciò ripromessa che, una volta sveglia del tutto, anche lei si sarebbe guardata intorno con maggior attenzione, per poterli riconoscere e così ritrovare.”

Conoscere e raccontare la diversità in classe

in Attività di classe/Bisogni Educativi Speciali by
Marianna Balducci ci racconta come è andato il suo webinar sulla diversità e di come si può affrontare in classe.

Non molti giorni fa, in occasione di un webinar condotto assieme a Francesco Fagnani per il progetto “Più unici che rari” (Librì progetti educativi e Sanofi Italia) dedicato alle diversità e all’inclusione, davanti a una virtuale ma consistente platea di insegnanti, mi sono presentata con uno scheletro.

Contro ogni sensata accortezza per la prima impressione, ho pensato che non avrei certo potuto sfondare con lo schermo la porta di casa di così tante persone a mani vuote.

D’altra parte, non ho portato un cadeaux di poco conto: ho portato una larva convivialis (ne parlava in un bell’articolo Emanuela Pulvirenti sul suo didatticarte.it), una di quelle piccole sculture che nei tempi antichi venivano apparecchiate in mezzo alla tavola per ricordarci dell’esistenza delle nostre più oscure paure.

Ah già, ho portato anche il Babau (quello delle “Storie dipinte” di Dino Buzzati), nessuno mi aveva dato indicazioni se fossero proibiti o meno gli animali. 

Non fatevi un’idea sbagliata, io sono una fifona, ho tendenzialmente paura di tutto.

Forse proprio per questo, quando mi è stato chiesto di parlare di come la creatività potesse trasformarsi in uno strumento per conoscere e raccontare la diversità in classe, ho pensato di partire proprio dalla paura.

La paura è quella bestiaccia che si mette (e ci mette) sulla difensiva quando ci troviamo in una condizione sconosciuta e che, per qualche ragione (a volte ingiustificata), ci appare minacciosa.

A volte ci blocca, ci impedisce di comunicare, ci allontana dagli altri ma anche un po’ da noi stessi. 

Ma dentro ai confini ampi ed elastici dell’arte sospendiamo il giudizio e ci concediamo di essere sorpresi, emozionati, vulnerabili.

Quando ci cimentiamo in una pratica creativa (disegnare, fotografare, scrivere una storia), mettiamo sul piatto anche quelle pericolose tensioni che ci hanno fatto paura. A volte addirittura, sono loro a divenire la molla per generare qualcosa di nuovo.  

Durante questo appuntamento, abbiamo perciò apparecchiato le paure per dirci che possiamo individuare spazi in cui testare la nostra capacità di camminare insieme nell’ignoto e dargli un nuovo nome, se abbiamo molta immaginazione forse persino un nuovo destino.

Creare in classe la stessa zona franca che l’arte spesso rappresenta per l’artista, può aprire vie di comunicazione inaspettate.

Iniziamo con l’osservare assieme agli alunni un progetto creativo, smontarlo. Poi rimontiamolo insieme e proviamo a generarne uno “tutto nostro”.

Non è solo un mettere le mani in pasta (su certi materiali e certi temi), ma è soprattutto calarsi in una nuova modalità di pensare, di pensarci.

Proprio come gli oggetti del mio “La vita nascosta delle cose” (Sabir editore) possiamo permetterci di dire che ci siamo stancati di essere sempre gli stessi, di fare sempre le cose nello stesso modo.

Possiamo lasciare che sia l’immaginazione (a cui è concessa anche la più impossibile delle alternative) a darci il coraggio di innescare un cambiamento.

Ecco che, allora, da una storia siamo approdati in modo naturale a un esercizio ma con quell’esercizio possiamo aprire un’altra storia, la nostra.

(Ve l’ho raccontato nel webinar, e ve l’avevo scritto qui)

Dopo avervi apparecchiato scheletri e Babau, infatti, vi ritroverete faccia a faccia con molte storie che sono anche un po’ dei format: a volte è il modo in cui sono confezionate, a volte è la miccia che le ha generate… diversi sono i bandoli a cui possiamo risalire per riproporre quel tipo di percorso (con mezzi compatibili col nostro ambiente) e farne fare, almeno in parte, l’esperienza per sciogliere stavolta le nostre matasse.

Non tanto voli di fantasia nel senso astratto del termine, piuttosto molto “saper fare” pratico che si traduce in mappe geografiche ed emotive, leporelli autobiografici, modi per andare sulla luna, orsacchiotti malandati da intervistare.

Un consiglio: se state pensando di portare uno di questi esempi in classe, non perdete l’occasione di costruire l’attività testandola sulla vostra pelle.

Solo così andrete incontro alla spietata praticità dei tempi da gestire (quanto tempo mi serve per tagliare degli elementi da combinare piuttosto che portarli già tagliati?

Quanto quel tagliarli fa parte dell’esercizio ed è quindi un passaggio fondamentale da non fare al posto dei ragazzi?).

Solo così vi verranno in mente magari delle varianti. Prendiamo, a questo proposito, nuovamente in mano gli oggetti insofferenti dell’esempio precedente.

Se lavoriamo solo con oggetti composti da più parti (una moka divisibile in 3 pezzi, un cavo col suo alimentatore in coppia, una lampada composta da lampadina, cavo e struttura), possiamo spostare il ragionamento da un’altra parte.

Che succede se agli oggetti scomposti manca un componente? Sono rotti, non funzionano, ci dicono.

Ma se fotografiamo quei pezzi singolarmente e col disegno li poniamo al centro di una nuova scena, forse possiamo inventare per loro un nuovo ruolo.

Chi lo dice che le cose debbano per forza funzionare in un modo solo?

Se davanti alla realtà avete già una buona predisposizione a questo tipo di switch mentale, se volete conoscere qualche autore, libro, progetto artistico che vi accompagni e vi incoraggi a praticarne sempre di più, potete quindi seguirmi in questa densa chiacchierata.

Al termine, con un po’ di coordinate nuove per spingervi verso terre sempre più lontane, magari sarete in cerca di un’occasione in cui testare subito le idee che vi saranno venute in mente.

Allora vi torneranno utili le parole di Francesco Fagnani (che chiudono questo video e aprono verso il sito del progetto piuunicicherari.it) che introducono il concorso “Come stai? Dillo con l’arte” da portare in classe (in scadenza fra poche settimane).

Ci saranno diverse cornici tematiche all’interno delle quali collocare anche molti dei nostri discorsi e, sì, ora che lo scheletro lo avete anche digerito, sarete pronti anche per quella dedicata proprio alla paura!

Qui potete rivedere il webinar “Indizi e tracce per un’esplorazione foto-illustrata del mondo”

Esercizi foto-illustrati di design sovversivo

in Approcci Educativi/Attività di classe by
Insieme a Marianna Balducci, prendendo spunto dai grandi design e dagli Ikea Hackers per creare nuovi oggetti.

Molto spesso alcune forme di “saper fare” pratico si rivelano ottimi espedienti per applicarci in esercizi di creatività. Mi piace partire dal saper fare che interessa le cose di tutti i giorni, quelle che diamo per scontate; perché, ammettiamolo, non sempre ci chiediamo, quando usiamo una lampada o impugniamo una matita, chi abbia progettato il design quegli oggetti, perché li abbia fatti in quel modo, come è cambiato il nostro presente da quando li usiamo.

A volte invece i bambini e i ragazzi se lo chiedono (e magari ci mettono pure un po’ in difficoltà) e sono molto più bravi di noi adulti a valutare possibili scenari alternativi quando, di quegli oggetti, iniziano a osservare qualità estetiche, percettive, usi e applicazioni.

Eccoci quindi a scomodare il design. Ci sono due requisiti che gli oggetti di design devono avere per essere definiti tali: devono essere classificabili come “oggetti d’uso” quindi presupporre una precisa funzione che soddisfi un bisogno, risolva un problema, faciliti dei passaggi; devono poi essere oggetti riproducibili secondo il sistema industriale che del design ha decretato la nascita e permesso la divulgazione su ampia scala.

Ancora una volta, proveremo ad avvalerci della creatività come strumento sovversivo per giocare con le cose (e così impararle meglio), per spalancare nuovi scenari (utili o semplicemente piacevoli), per testare quello che fa l’immaginazione: generare nuovi problemi e andare a caccia di nuove soluzioni. Con l’attività foto-illustrata di oggi rovesciamo i requisiti base del design e lo facciamo prendendo in prestito due casi emblematici: un grande designer fuori dagli schemi e un blog pieno di piccole rivoluzioni domestiche.

Il designer Alessandro Mendini si definiva un “pasticcione”: accanto alla funzionalità, nei suoi oggetti occupava un posto importante anche la loro componente emotiva. “Per essere interessante, un oggetto deve contenere un errore” diceva, ed è grazie a quella dissonanza che il nostro sguardo cade su di lui e più facilmente tende a stabilire un rapporto di affezione autentico. Quell’oggetto, certo, ci serve, ma soprattutto ci rende felici e non ci stupisce che, tra i suoi oggetti più noti, ci siano utensili da cucina trasformati in veri e propri personaggi.

Per conoscere Alessandro Mendini più da vicino, sono disponibili dei saggi sulla sua vita o dei suoi scritti, come Scritti di domenica.

A ribaltare l’ordine razionale del design arriva poi un vero e proprio piccolo movimento, quello degli Ikea Hackers, sul blog ikeahackers.net [link https://www.ikeahackers.net/] che raccoglie modi alternativi di montare oggetti Ikea per farne un uso diverso da quello per cui sono stati concepiti. Il brand, che ha fondato la sua identità sulla linearità dei processi, si ritrova scombinato, hackerato appunto dagli utenti, proprio in nome di questa conquistata autonomia: lo monto tutto da me, quindi mi prendo la libertà di montarlo anche seguendo istruzioni tutte mie, perché non è detto che le cose debbano per forza funzionare in un modo solo.

Ecco cosa proveremo a raccontare oggi: per imparare a risolvere i problemi e progettare cose nuove serve creatività e spesso la creatività si innesca quando inventiamo nuovi problemi e ci poniamo in modo critico verso gli schemi già acquisiti, senza paura di capovolgere le regole. Sarà importante portare la classe dentro a questo argomento prima di dedicarsi all’attività. Mostrare esempi visivi dei due riferimenti citati – e farli riflettere su queste strategie di pensiero laterale – sarà un buon punto di partenza.

Forniamo poi a ciascun alunno la fotografia di un oggetto di design la cui funzione ed estetica sono ormai consolidate nel nostro repertorio visivo e mentale: una lampada da tavolo, una moka per il caffè, una penna biro, una sedia… Cerchiamo di reperire o realizzare foto con sfondo bianco o neutro, poi stampiamole in formato A4 o A3. Assieme alla foto, consegniamo anche un quadrato di carta bianca (possiamo farlo di 7x7cm, per esempio, se lavoriamo con foto in A4). Questa toppa quadrata sarà l’errore di cui parla Mendini, sarà la variabile che scombina l’equilibrio modello Ikea dei nostri oggetti.

Invitiamo ora a posizionare la toppa bianca sulla foto, facendo più prove, neutralizzando di volta in volta una parte dell’oggetto fino a scegliere il punto che più si preferisce per intervenire e hackerarlo. Scombiniamo gli equilibri visivi di una cosa creando questo vuoto inatteso, e a questo vuoto diamo la missione di cominciare una nuova avventura. Ciascuno dovrà, infatti, disegnare a partire dalla toppa bianca dei nuovi profili per il suo oggetto provando a inventare per lui una nuova funzione. Si può aggiungere un accessorio che ne potenzi la funzione di partenza oppure un dettaglio che la capovolga completamente o semplicemente qualcosa che lo renda “più bello”.

Chiediamo di agire come veri designer spiegando quindi, con una descrizione scritta o orale, la nuova funzione dell’oggetto contaminato, le sue nuove istruzioni d’uso, il suo nuovo nome. Al termine, tutti gli oggetti potranno essere raccolti in un catalogo di design sovversivo di classe.

Giochiamo con i ritratti scomposti

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
Una galleria di ritratti scomposti piena di tanti personaggi fantastici ed emozioni!

Chissà quante volte ci è capitato di imbarazzarci un po’ davanti all’obiettivo quando stavano per farci una foto. Anche se siamo disinvolti, non è scontato prendere subito confidenza con l’occhio fotografico, specialmente se siamo i soggetti di ritratti, di immagini che dovrebbero quindi coglierci a pieno e, in qualche modo, metterci al centro di un ideale palcoscenico, davanti a tutti.

Chi siamo quando veniamo fotografati?

Siamo un po’ noi e un po’ no. Siamo quello che abbiamo voluto mostrare e quello che non siamo riusciti a nascondere. Siamo quello che, a volte, nemmeno sapevamo di essere… ma che il fotografo ci ha rivelato.

Il ritratto fotografico non è solo un genere, è il frutto di un certo tipo di sguardo rivolto verso l’altro, a caccia di espressioni e peculiarità che rendano quel volto interessante. Quando guardiamo il ritratto fotografico di uno sconosciuto ci viene spontaneo iniziare a immaginare chi sia, che gusti abbia, cosa stia provando in quel momento. Iniziamo a familiarizzare con un’intimità immaginata, proprio come faremmo col personaggio di una storia.

Con la nostra ormai consueta pratica di mix tra disegno e fotografia, proveremo questa volta a giocare coi ritratti, mettendoci in scena come veri e propri personaggi, e lasciando che il disegno ci aiuti ad abbandonare le inibizioni e soprattutto a suggerire nuove storie.

Al bando le espressioni fisse e imbarazzate, esorcizziamo la compostezza (soprattutto quella che siamo comunque costretti a praticare, restando a distanza di sicurezza in questi mesi) e cimentiamoci nei ritratti scomposti! Ci trasformeremo in facce completamente nuove, ci mescoleremo i connotati, li ridisegneremo letteralmente per interpretare un ruolo nuovo e posare senza paura davanti alla macchina fotografica o al cellulare dei nostri compagni.

Non è la prima volta che vi invito a indossare quella che, in fondo, è una maschera ma, se in precedenza abbiamo chiamato in causa le maschere tribali e il loro potere evocativo, stavolta ci sarà più utile pensare a quelle del teatro antico.

Dal teatro greco al teatro Noh giapponese, le maschere avevano il compito di rappresentare le emozioni dei personaggi per renderli riconoscibili e leggibili anche a una certa distanza. Che ci fossero dietro uomini o donne non aveva più importanza, il personaggio diventava il fulcro assoluto dello sguardo, tragico o comico che fosse. Nel teatro giapponese addirittura era il modo in cui la luce ricadeva sui profili intagliati della maschera a generare le sfumature della messa in scena.

Come creare le nostre maschere

Proprio come nel teatro, anche nel nostro caso sarà importante esagerare quando affronteremo il primo step ovvero disegnare su uno o più fogli, con un pennarello nero, i connotati dei nostri personaggi. Esatto, non disegneremo maschere complete ma paia di occhi, compilation di labbra, collezioni di nasi: potete dedicare un foglio A4 a ogni pezzo (un foglio per gli occhi, un foglio per le labbra, uno per i nasi).

L’accortezza sarà non disegnarli troppo piccoli perché dovranno sovrapporsi ai nostri (se invece esagerate coi volumi, l’effetto sarà molto divertente!).

Vi lascio qualche foglio disegnato da me che potete stampare e usare per fare delle prove, se non sapete da dove cominciare. Occhi mostruosi, occhi dolci, occhi pazzi, labbra felici, bocche boccacce, nasi importanti, becchi adunchi…

Si potrà decidere anche di disegnare e poi fotocopiare, mescolare e infine distribuire casualmente i fogli con cui giocheremo. I singoli elementi andranno poi ritagliati (non è necessario essere troppo precisi, l’effetto finale sarà un po’ cubista ma comunque efficace) e dovremo scegliere finalmente quali indossare!

Basterà un po’ di nastro adesivo di carta (delicato sulla pelle e comunque da tenere per pochi secondi) da arrotolare dietro ai singoli pezzi che andremo a posizionare sulla nostra faccia… alla cieca! Niente buchi per gli occhi, il rischio di attaccarci sul viso occhi storti e nasi sghembi farà parte del gioco. Sarà lo scatto fotografico a rivelarci quale personaggio abbiamo messo in scena dopo il nostro collage pazzo.

E adesso… fotografiamoci!

Ci si fotograferà a turno (o con la complicità dei grandi coinvolti) e il mio consiglio è di convertire poi le foto in bianco e nero: il bianco e nero neutralizza quanto resta dei nostri connotati reali e ci aiuta a concentrarci sulle forme e sui nuovi segni che il viso ospita. Ne uscirà una galleria di ritratti scomposti a cui dovremmo naturalmente attribuire nomi, titoli e didascalie che potranno poi diventare protagonisti di storie tutte da scrivere o di una mostra di classe.


Approfondimento

Se ti interessa l’argomento e vuoi approfondire con degli strumenti, abbiamo pensato a una selezione per te.

Liberiamo le opere d’arte!

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
Insieme a Marianna Balducci, partiamo alla scoperta di un gioco educativo divertente e stimolante per liberare le più importanti opere d’arte dei musei di tutto il mondo.

Ecco un gioco educativo divertente e stimolante per liberare le più importanti opere d’arte dei musei di tutto il mondo!

Sono sempre stata convinta del fatto che la fantasia sia un potente meccanismo sovversivo (e l’ho raccontato anche in un altro articolo) e che le rivoluzioni sono fatte per scombinare, ricomporre e restituirci una nuova prospettiva sulle cose.

Le rivoluzioni che si scatenano in terre di Fantastica (per chiamarla come l’avrebbe chiamata Rodari) ci danno il coraggio di essere anche un po’ insolenti perché, per giocare come si deve e inventare cose nuove, dobbiamo sfrondare un po’ di “politicamente corretto” e osare.

C’è un’altra importantissima cosa di cui sono convinta: le rivoluzioni, anche quelle piccole e buffe che vi propongo di solito qui mixando disegni e fotografie, vanno fatte con criterio e con amore perché solo se conosciamo e vogliamo bene a qualcosa possiamo metterci le mani dentro e ribaltarla continuando a rispettarla.

Ed è con queste premesse che ci prenderemo il permesso di liberare le più importanti opere d’arte dei musei di tutto il mondo!

Ci hanno spesso educato a concepire l’arte come qualcosa di distante e altisonante, circondata da cornici preziose, congelata sulle pareti dei musei e protetta da allarmi e cordoni. Ma l’arte dovrebbe essere qualcosa di quotidiano, tanto quanto lo sono i giochi con cui ci intratteniamo a casa e, perché no, ogni tanto potrebbe funzionare proprio come quei giochi. Ma come?

Il la ce lo danno i grandi musei che in tempi recenti stanno sempre più creando ricchissimi archivi digitali con risorse libere per essere riutilizzate.

Sono le riproduzioni di alcune delle opere d’arte che custodiscono, catalogate per tipologia, autore, epoca… e fruibili attraverso sezioni apposite dei siti istituzionali.

Insomma, un vero e proprio museo virtuale da navigare in libertà e scegliendo il percorso che ci pare! Noi sceglieremo quelli che ci portano verso nuove storie da inventare e io ve ne suggerisco un paio.

Il primo: una storia dai contorni inaspettati!

Partiamo, per esempio, scegliendo l’archivio del MET (la sezione di contenuti liberi per il riutilizzo), dove ho trovato i due personaggi che compongono la mia nuova “opera d’arte”. Li ho stampati, ritagliati e usati come elementi protagonisti di un collage che, nelle sue parti mancanti, ho completato con il disegno.

Il disegno traccia i contorni interrotti delle parti di dipinto che ho scelto e arreda il resto della scena in base al tipo di storia che ho deciso di inventare.

In questo caso, la signora non sembra molto contenta del suonatore… sta facendo tanto di quel chiasso con il suo chitarrino elettrico che forse staccare la spina le consentirà di trascorrere il resto del pomeriggio in pace!

I due dipinti si sono trasformati in due attori: posizionati sulla scena nel modo più opportuno, ho dato loro una nuova funzione narrativa.

Potete scegliere di combinare due o più personaggi oppure un personaggio e un oggetto. Potete stamparne tanti e pescare a caso per rendere ancora più difficile la sfida. 

Se siete insegnanti, potete creare voi i mix di elementi e distribuirli (anche via mail) alla vostra classe per vedere quali storie inventeranno: teste mozzate, vasi con misteriosi fantasmi, corpi bislacchi, storie d’amore o di avventura…

Non ci sono limiti, basta che il disegno si accompagni a una breve storia perché ogni opera d’arte che si rispetti, nei libri come nei musei, ha una sua didascalia.


Per chi ha più manualità e non ha paura di invadere i confini, invece, c’è la seconda via, quella delle pittoresche interferenze! Stavolta, invece di fare un collage, prenderemo una sola opera tutta intera (a me piace sempre partire dai ritratti) e ci disegneremo sopra.

Potete usare dei pennarelli acrilici (ce ne sono anche a punta fine) che scrivono facilmente anche sulla carta più leggera senza bagnarla troppo.

Questa volta forse dovremo disegnare meno, ma sarà fondamentale scegliere dove e cosa perché quei pochi elementi potranno cambiare completamente la vita del personaggio e il suo destino!

Prima di disegnare, guardate bene quali sono gli spazi vuoti del dipinto che avete scelto: dietro ai vetri di una finestra, alle spalle del soggetto o tra le sue mani.

Il disegno sarà un’interferenza nell’opera d’arte originale, ma dovrà essere credibile e, ancora una volta, suggerirci una nuova storia.

Come dite? Quei ritratti hanno qualcosa di strano? Beh, forse… e confesso che ogni tanto mi diverto anche a inserire me stessa o i miei amici in questo gioco. Qui, per esempio, ci sono alcuni scrittori di libri per ragazzi e poi ci sono io. Mi riconoscete?

Per vedere quanti altri archivi online esistono, provate a navigare gli articoli della rubrica “Tesori d’archivio” di FrizziFrizzi.

Ci troverete segnalati tanti repertori interessanti!

Atlanti domestici, per partire alla scoperta di… casa!

in Attività di classe by
Marianna Balducci ci racconta come realizzare il nostro Esploratore Bianco e insieme a lui mettere in scena – in casa nostra – una grande avventura per realizzare degli Atlanti domestici.

“Oggi vi racconto una storia che parla di posti incredibili, degni di essere descritti negli atlanti più preziosi solo da chi ha avuto il coraggio di esplorarli. Sono luoghi vicinissimi, ma anche lontanissimi. Sono luoghi familiari, ma anche completamente nuovi. Non mi credete?

Tutto è cominciato quando sono uscito dal foglio e ho iniziato a camminare verso l’Albero Attaccapanni…”.

Il contenuto di questo articolo è un po’ diverso dal solito perché a raccontarvelo non sarò io direttamente e perché sarà necessario soddisfare un importante requisito, se vorrete cogliere l’invito e continuare questa storia.

Siete a casa? Allora preparate lo zaino, i fogli, le matite e un paio di forbici e, naturalmente, la consueta macchina fotografica (o fotocamera del cellulare).  

Diario di viaggio dell’Esploratore Bianco, giorno 1.

“Quando mi hanno disegnato non pensavo di essere portato per le grandi avventure, in fondo sono un tipo piuttosto semplice. Eppure serviva qualcuno per la missione e mi sono offerto volontario perché, in effetti, ho la dimensione giusta, non ho paura di niente (quasi…) e non soffro nemmeno di vertigini. Infatti non è stato un problema percorrere il filo per raccogliere le foglie dell’Albero Attaccapanni (servivano come campioni scientifici per descrivere la flora di questo luogo sconosciuto) anche se non ho mai capito se quell’uccello bianco mi stesse aiutando a reggere il filo o volesse tagliarlo via con un colpo di becco per sabotare la mia missione”.

Se pensate che casa vostra sia un posto noioso e senza misteri, provate a chiederlo all’Esploratore Bianco che si è lanciato in un’esplorazione domestica un po’ titubante e si è ritrovato a fare i conti con le avventure più insospettabili. Il vostro viaggio sarà sicuramente diverso dal suo, ma è dall’esperienza di grandi viaggiatori che si prende esempio, perciò iniziamo subito: disegnate su un foglio il vostro esploratore. Può essere maschio o femmina, può essere un animale o uno schizzo semplice: l’importante è che sia piccolo (magari come il palmo della vostra mano, così da poter esplorare anche gli angoli più reconditi della casa), che si possa ritagliare e che sia coraggioso.

Diario di viaggio dell’Esploratore Bianco, giorno 3.

Raggiungere la libreria non è stato difficile. Dall’Albero Attaccapanni ho calcolato la traiettoria del balzo da fare e… op! Certo non mi aspettavo di incappare proprio in uno scaffale infestato dai fantasmi. I libri sono porte molto strane: ne apri uno e subito ti sembra di essere in un altro posto”.

Per muovere il vostro esploratore attraverso le stanze di casa, dovrete davvero immedesimarvi in lui: come vi sembrerebbero gli oggetti se foste piccoli e vi comparissero davanti per la prima volta? Prima di collocare il vostro personaggio sulla scena, fate delle prove di inquadratura in cerca di anfratti, pertugi, svincoli. A seconda di come li guardiamo, gli oggetti e gli ambienti possono cambiare molto. Per esempio, dato che il nostro esploratore è molto piccolo, se fotografiamo qualcosa che sta sul pavimento, stendiamoci per terra perché il nostro punto di vista somigli il più possibile al suo.

Diario di viaggio dell’Esploratore Bianco, giorno 7.

“Temevo che dal tappeto non sarei più uscito. Quelle setole mi facevano avanzare con lentezza, quei disegni ipnotici mi hanno fatto smarrire almeno tre volte. Ma buttarsi era necessario: un mostro tentacolato stava attaccando la libreria e ho pensato non fosse sicuro restare… se la sbrigheranno i fantasmi! A pensarci bene, magari aveva solo voglia di prendersi un libro in prestito. Nel dubbio, meglio stare nascosti per un po’, in attesa che si calmino le acque.”

Quando avrete scelto gli angoli di casa perfetti per mettere in scena la vostra avventura, disegnate l’esploratore in tante pose diverse e ritagliatelo in modo da poterlo collocare nello spazio e farlo diventare l’attore protagonista di questo viaggio. Adesso è il momento di realizzare la scena definitiva, di replicare l’inquadratura fotografica che avete scelto ma con il personaggio al posto giusto. Per completare questa attività non dimenticate di scrivere il diario di bordo del vostro eroe (sarà fondamentale per chi, dopo di voi, vorrà seguire le sue orme) e disegnate una mappa per ricostruire il percorso fatto. Chissà quante strade alternative potrete trovare anche solo all’interno della stessa stanza e quanti segreti, grazie a voi, si potranno conservare nella storia dei piccoli ma audaci atlanti domestici.


Nota: per conoscere da dove vengono queste immagini e vedere la serie completa, potete sbirciare qui

Disegni al telefono!

in Approcci Educativi/Attività di classe/STEM ed Esperienze digitali by
Marianna Balducci ci racconta la sua iniziativa per questi giorni in cui siamo tutti a casa: disegni al telefono!
Cos’è il progetto Disegni al telefono?

Da questa specie di trincea, più o meno pericolosa e più o meno pericolante, che ognuno di noi si è costruito per sostenere il peso di questi giorni difficili, ho visto partire molti bellissimi segnali di vicinanza e di generosità. Alcuni sono già ben strutturati da chi si muove con scioltezza sui canali digitali. Altri sono più improvvisati, ingenui e non sempre efficaci ma comunque animati da ottime intenzioni.

Ora che abbiamo chiuso forzatamente le porte e aperto le finestre del web, c’è molto rumore…

E non sempre è facile orientarsi o filtrare quel che ci fa bene, godere di tutto quel che ci viene offerto.

Io stessa, che la rete la frequento spesso e mi ci muovo con criterio, sto accusando una certa fatica. Avverto la necessità di ragionare su una comunicazione che dovrà farsi, in futuro, più sostenibile.

Mi sono chiesta perciò se, in mezzo a questo mare magnum di contenuti magnifici, ci fosse bisogno di qualcosa di mio.

Per non tradire me stessa e trovare un compromesso anche con gli impegni lavorativi che continuano a tenermi impegnata (noi illustratori siamo abituati a lavorare da casa) ho pensato ai “Disegni al telefono”

Funziona così: ho messo a disposizione una finestra oraria (il sabato mattina, dalle 11 alle 12.30) per farmi chiamare su Skype, da qui fino ad aprile o comunque finché ci verrà chiesto di restare a casa.

Chi prende la linea ha a disposizione un po’ di tempo per una video-chiacchierata in cui io disegno in tempo reale per lui.

Condividendo lo schermo e avendo la tavoletta grafica adeguata, mi si può vedere dare forma al personaggio.

Di solito chiedo a chi mi chiama di pensare a un animale e a un colore) le cui caratteristiche spuntano mano a mano che il mio interlocutore si fa meno timido. 

“Mi chiami solo se ti va”, così ho scritto sui miei canali social dove ho lasciato circolare le informazioni sull’iniziativa.

Si crea perciò una sorta di contenuto “on demand”, confezionato solo se c’è qualcuno che ha ragione di chiedermelo.

Mi hanno contattata bimbi di tutte le età e di diverse parti d’Italia, ma anche adulti curiosi che seguono il mio lavoro da un po’.

Sono grata per la pazienza dimostrata: so che tentare e ritentare di prendere la linea è un po’ demodè, ma prendere prenotazioni come fossi un centralino snaturerebbe il senso dell’intera operazione e sono convinta che la logica del dono funzioni se si creano le condizioni giuste e non si impongono forzature.

L’iniziativa è totalmente gratuita, se a qualcuno piace quel che faccio e come lo faccio, lascio i miei canali social e le informazioni sui miei libri per seguire e sostenere il mio lavoro. Anche le mie energie in questo periodo sono scarse e l’umore non sempre alle stelle.

Aprire questa finestra e darle un ordine e un senso, ma anche un po’ di imprevedibilità, garantisce che ci sia davvero uno scambio. E soprattutto privilegia la comunicazione uno a uno in un momento in cui ciascuno ha bisogno di sentirsi abbracciato in tutti i modi possibili. 

Mentre si disegna, mi faccio raccontare in che modo si stanno trascorrendo queste giornate. I bambini mi parlano dei libri che stanno leggendo, delle attività con cui si tengono impegnati.

Spesso rimango piacevolmente meravigliata nel vedere quanta spontaneità c’è nel loro adattarsi a una condizione nuova (merito sicuramente anche di presenze adulte capaci di sostegno).

E penso che questa elasticità e questo entusiasmo da riversare anche sulle cose piccole sono qualità preziose che dobbiamo rimettere in allenamento anche noi grandi. 

A volte invece il personaggio disegnato lì per lì diventa il protagonista assoluto della telefonata.

Ci inventiamo un nome, la sua storia, i bambini si lanciano in appassionate descrizioni che magari, una volta chiusa la chiamata, diventeranno spunti per altre attività. Prolungando così un pochino questa piccola interruzione del quotidiano.

Così sono nati il cagnolino Lula che smista le lettere di Babbo Natale, il Drago Verde dei boschi che sfiderà presto il Drago Blu delle acque.

Ma anche il Coraggioso Cavallo Cavaliere e  il leggendario elefancorno.

Al termine della video-chiamata, spedisco via email il disegno e, a volte, ne ricevo in cambio un altro che i bambini, a loro volta, hanno fatto per me. 

Vi aspetto per le prossime sessioni, sabato 28 marzo e sabato 4 aprile.

Per eventuali variazioni o nuove date, rimando alla mia pagina Marianna Balducci Illustrator.

Costruiamo e giochiamo con le maschere autoritratto

in Attività di classe by
Marianna Balducci ci racconta un’attività coinvolgente: realizzare maschere speciali utilizzando gli oggetti che raccontano la nostra vita.

Quando ci viene chiesto di descrivere noi stessi, di farci un ritratto (che sia con le parole o con le matite), spesso si presuppone di doversi immergere in un momento di introspezione per guardarci con la maggiore obiettività possibile e restituire una rappresentazione “fedele” di come siamo. Giù la maschera, quindi, affrontiamo questo specchio più o meno metaforico e osserviamoci “seriamente”. Oggi no! Oggi vi dico: su le maschere!

Cambiamo strada! Ogni tanto capovolgere gli schemi e fare un po’ di disordine fa bene; e quando lo facciamo, si attivano cose nuove che possono sorprenderci.

Come sempre, il disordine è solo apparente e si tratta più di darsi regole diverse o di prendere in prestito modelli lontani da noi per conferire loro un senso nuovo.

Le maschere tribali

Per descriverci, pur nascondendoci dietro a una maschera, ci affideremo alle maschere tribali e, ancora una volta, alla combinazione di fotografia e disegno.

Le maschere fanno parte della tradizione di molte culture. Anche nella nostra ce ne sono tantissime e, anche se oggi le associamo perlopiù agli aspetti goliardici del carnevale, si portano dietro funzioni sociali e spirituali molto affascinanti. Ci sono maschere per esorcizzare, maschere per evocare, maschere per raccontare…

Spesso a indossarle sono gli sciamani o comunque coloro che conducono una qualche pratica rituale che segna un momento importante nella vita della comunità. Chi indossa la maschera si immedesima al punto tale da divenire un tramite tra la tribù e lo spirito (o i valori) che rappresenta. Ecco allora che, alla base del rapporto tra la maschera e chi la indossa, si individua una prima fondamentale prerogativa: l’empatia.

Le maschere autoritratto

Anche per la nostra maschera foto-disegnata è fondamentale, perché il compito sarà quello di costruire una maschera autoritratto, che parli di noi attraverso le cose che amiamo. La comporremo posizionando gli oggetti su un foglio bianco, in modo da costruire la fisionomia di un volto, che completeremo con il disegno una volta fotografato tutto dall’alto. Quali oggetti? Qui sta il primo step: scegliere. Invece di affidarci alle parole, lasceremo alle cose che ci sono care il compito di definirci.

Io ho optato per alcuni degli strumenti da disegno che uso quotidianamente, perché disegnare è il mio lavoro, la mia attività preferita, il mio modo di pensare ed esplorare il mondo.

Non è però fondamentale utilizzare oggetti riconducibili tutti alla stessa passione o a un hobby specifico. Possiamo anche solo affidarci agli oggetti a cui siamo più affezionati (perché ci ricordano qualcuno, perché li abbiamo sempre con noi, perché sono banalmente i nostri oggetti preferiti), possiamo anche includere cibi o cose raccolte (magari una foglia perché, per esempio, ci piace tanto la natura o stare all’aperto).

Gli strumenti

Un buon compromesso è muoversi tra un minimo di 3 e un massimo di 5 oggetti da portare in classe, dove si assembleranno per creare la base della propria maschera autoritratto. Sarà quindi importante che ciascuno abbia il suo foglio bianco (posizionato sul pavimento così da agevolare la visione e la foto dall’alto) su cui fare delle prove di composizione. Preparate dei fogli grandi: alcuni potrebbero portare oggetti piccoli simili ai miei, ma anche un pallone da calcio o il proprio paio di scarpe preferite!

Per incoraggiare la raccolta, trovate un momento per parlarne insieme, per stimolare la condivisione, per fare degli esempi, in modo che nessuno si senta a disagio e torni piuttosto a scuola con la voglia di mostrare ai compagni i suoi oggetti preferiti. Questi oggetti sono depositari di un legame emotivo a volte molto più profondo del semplice gusto estetico. Trasformarli nella materia prima per la nostra maschera sarà come offrire loro un palcoscenico e, attraverso di essi, offrire a noi l’opportunità di mettere in scena noi stessi senza paura.

Una volta trovata la composizione preferita, la si potrà fotografare e stampare in modo che tutti abbiano un foglio della stessa dimensione, possibilmente una dimensione tale da consentire la trasformazione di questa maschera in una maschera vera e indossabile. Il disegno ora interverrà per completare la fisionomia del volto, aggiungendo colori e forme. Concentriamoci su cosa non può mancare: gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie, i capelli. Alcuni di questi elementi probabilmente sono già stati suggeriti dalla composizione fotografica, altri dovranno essere disegnati.

Possiamo divertirci ad arricchire il gioco proponendo un repertorio di forme a cui attribuire un significato simbolico: nelle maschere africane, per esempio, gli occhi socchiusi rappresentano la pazienza, gli occhi piccoli l’umiltà, la bocca grande è sinonimo di forza. Potremmo farci ispirare dagli animali (con baffi, denti, orecchie) proprio come gli stregoni che addirittura attraverso le maschere di certi pericolosi animali ne incoraggiavano il superamento della paura (nel nostro caso potrebbero diventare elementi, ancora una volta, simbolici: invece dei capelli, disegno la criniera di un leone perché sono un tipo coraggioso).

Liberiamo la fantasia!

Liberiamo la fantasia per gli ultimi dettagli puramente decorativi e alla fine… indossiamo la nostra maschera autoritratto e facciamoci a vicenda delle foto! I nostri oggetti cari, tramutati in veri e propri talismani, ci coprono e ci scoprono, amplificano alcune parti di noi e ci incoraggiano a giocare con loro. Scattiamoci foto in cui, oltre alla maschera, posiamo proprio come nelle danze tribali. Lasciamo che siano i bambini a fotografarsi (magari a coppie o a gruppi): concordare insieme la posa giusta abbinata alla maschera sarà un’ulteriore occasione per rendere questi autoritratti inconsueti ancora più magici.

Le foto-illustrate: il passato che torna a vivere

in Arte, Musica e Spettacolo/Attività di classe by
Marianna Balducci ci racconta come attraverso le foto-illustrate possiamo riscoprire e far rivivere il passato.

Se fino ad ora le indagini foto-illustrate ci hanno portato alla scoperta del mondo per esercitarci a cambiare il nostro modo di guardarlo, adesso è il momento di recuperare una delle missioni più intime e personali della fotografia: la capacità di farsi depositaria della memoria.

Che si tratti di quello che ormai forse è il già un po’ antiquato album di foto di famiglia, che sia il più capiente hard disk su cui conserviamo file su file, che sia anche solo la memoria del nostro cellulare, questo flusso sempre più abbondante di frammenti di vita passata ci circonda e ci accompagna.

Il come sia cambiato il nostro modo di conservare la memoria fotografica del passato con l’avvento delle nuove tecnologie è un lungo e complesso discorso che potrebbe diventare uno spunto anche per lavorare con i più piccoli, ma qui partiremo da un interrogativo più semplice: come possiamo utilizzare questi reperti fotografici del passato (che ci possono riguardare più o meno direttamente) per raccontare delle storie?

Le tracce che ho sperimentato sono tante. Oggi vi parlo di quella che è approdata sui libri e che riguarda il recupero delle storie di famiglia, affrontato però in due modalità visive differenti che tengono conto dei vincoli imposti dal materiale ritrovato.

Da un punto di vista tecnico, si possono utilizzare fotocopie o stampe delle fotografie che decideremo di recuperare. Per arginare l’ansia di intervenire direttamente sulla foto, possiamo fornire fogli di carta da lucido (trasparente e un po’ opaca, adatta ad accogliere sia la matita che i rapidograph). La carta da lucido sovrapposta alla foto permetterà di sperimentare più modi di riempire lo spazio disegnabile proprio come se stessimo trattando un livello di Photoshop, ma analogico! Successivamente si potrà decidere se disegnare sulla foto con acrilici, gessetti o chine oppure optare per il collage (magari mantenendo la stessa carta da lucido).

Partiamo, quindi, dalla nostra storia che può essere la storia della nostra famiglia, ma anche della nostra città. Mi sono ritrovata a fare i conti con entrambe quando ho lavorato prima a “J anvud dla Marianna” (in dialetto riminese, “I nipoti della Marianna”, la mia bisnonna) e poi a “La bambina dal nastro rosso” (scritto da Stella Nosella, nipote della protagonista). Nel primo caso le foto provenivano dal mio archivio familiare privato, nel secondo invece ho lavorato sulle foto d’epoca della città di Portogruaro dove è ambientata la storia.

Si potrà quindi decidere di partire chiedendo a ciascun bambino di ripercorrere il passato della sua famiglia portando a scuola alcune foto che siano legate a un ricordo, anche non vissuto direttamente e solo riportato: quel bisnonno dall’aspetto distinto che carattere aveva? Ci sono aneddoti su di lui? Qual era il suo mestiere? Oppure: quella casa di campagna davanti alla quale posano tante persone dove si trova e chi ci viveva?

Trovare foto non in posa non sarà facile, ma consiglio di scandagliare album e archivi (fotografici ma anche mentali), lasciando che le storie ricomincino a circolare libere e spontanee (una cosa che, per esempio, a casa mia è sempre accaduta, specialmente nei momenti di condivisione come i pasti).

Si potrà altrimenti optare per un lavoro collettivo che apra lo sguardo sulla storia della propria città, cercandone tracce sui libri. In questo caso, con le insegnanti, si potranno attivare contatti con la biblioteca e l’archivio storico cittadini per richiedere l’accesso al repertorio fotografico di alcune epoche precise. Nel caso de “La bambina dal nastro rosso” la scelta ricadeva su un periodo critico: è infatti il Natale 1944 il periodo in cui si svolge la storia di Antonia (una bambina di 8 anni) che si ritrova a fare i conti con la guerra, la deportazione, la sua città che cambia.

Mentre nel primo caso gli archivi di famiglia ci regaleranno probabilmente molti volti attorno ai quali ridisegnare le storie da rievocare (come nel caso della mia bisnonna Marianna che si è rimboccata le maniche e ha trasformato una modesta osteria in un trionfo di sapori e accoglienza), in questo secondo caso un archivio collettivo pubblico avrà bisogno di “attori” per consentire alla storia di rivelarsi. Ecco perché Antonia è disegnata e si muove attraverso la città (seguendo i fatti narrati) permettendosi anche qualche licenza fantastica: Antonia non è “solo” una bambina, ma è anche una gigantesca eroina pronta a difendere la sua casa da tutto e tutti.

Lavorare sulle foto che ci ricordano qualcosa o qualcuno ci permette di trasferire su carta un processo che la nostra memoria compie istintivamente: riempire gli spazi vuoti delle immagini con il racconto, completare le storie incomplete e, laddove i pezzi del puzzle sono irrecuperabili, ricorrere all’immaginazione. La memoria è potente, la memoria è preziosa. Ridisegnare la memoria vuol dire permetterle di manifestarsi e riabituarci a tenerla in circolo, come un filo che ci lega e ci collega, come il prezioso nastro rosso di una bimba che diventa il pretesto per conservare la storia di una città intera.

Crediti immagine di copertina da ” J anvùd dla Marianna. Una vetrina sul Borgo San Giuliano”, di Roberto Balducci, illustrazioni di Marianna Balducci, Panozzo editore.

Crediti immagine centrale: a sinistra tratta da “J anvud dla Marianna. Una vetrina sul Borgo San Giuliano”, di Roberto Balducci, illustrazioni di Marianna Balducci, Panozzo editore. A destra tratta da “La bambina dal nastro rosso”, di Stella Nosella, illustrazioni di Marianna Balducci, L’Orto della Cultura edizioni.

La vita nascosta delle cose: trasformare con la foto-illustrazione

in Attività di classe by
Marianna Balducci ci racconta come ridare vita agli oggetti, trasformandoli con la foto-illustrazione.

Quando ci approcciamo alla foto-illustrazione con l’intento di trasformare un oggetto in qualcos’altro, attiviamo un doppio meccanismo: uno puramente formale che agisce sulle consonanze estetiche (quella cosa ha una forma analoga a…, assomiglia a…) e uno più narrativo che, più o meno consapevolmente, può trasformare quell’oggetto nello spunto per un discorso (una presa di posizione, una rivelazione, una storia da raccontare).

Nasce così “La vita nascosta delle cose” con la foto-illustrazione: una raccolta di oggetti quotidiani estrapolati dal loro contesto e fotografati su un set neutro per poi essere trasformati, attraverso il disegno (qui realizzato a china e poi concluso digitalmente), in nuove macchine impossibili.

Verrebbe da dire anche “inutili” per citare Munari, ma qui in realtà un’utilità si conserva pur nella surreale licenza che la fantasia ci concede ed è, ancora una volta, doppia (ed è proprio in quell’equilibrio che sta l’esercizio). L’oggetto fotografato resta riconoscibile, non viene mai alterato o coperto al punto tale da scomparire in favore del disegno; allo stesso tempo a quell’oggetto si sta attribuendo una funzione nuova, una missione fantastica, un imprevedibile destino.

Perché allora proprio “la vita nascosta delle cose”? Perché ogni tanto succede che gli oggetti si stanchino di essere quello che sono sempre stati e decidano di prendersi una vacanza. Alcuni forse aspirano a viaggi avventurosi in terre sconosciute, altri si accontentano di giocare con bimbi curiosi, mamme e papà coi pensieri leggeri, insegnanti con l’immaginazione scalpitante. Eccoli che sbucano fuori dai cassetti delle stoviglie, sgusciano via dalla scrivania e, con loro, desideri segreti, piccole paure, buoni propositi… E allora è un attimo che ti ritrovi a decollare a bordo del cavatappi, a smistare lettere d’amore con lo schiacciapatate, a salpare a bordo di un pennino.

Più l’oggetto è “banale”, di quelli che siamo abituati ad avere sotto gli occhi quotidianamente, più la sfida sarà ambiziosa. E se scegliamo un oggetto desueto (il pennino, per esempio), sarà bello vedere come indagare sulla sua originaria funzione, per poi poterla sovvertire, possa diventare un modo per riscattarne la memoria agli occhi dei giovanissimi osservatori. 

La foto-illustrazione in classe

Invitiamoli a scegliere un oggetto, vecchio o nuovo, che si trova proprio nelle loro case. La caccia potrebbe iniziare chiedendo ai bambini di fotografare quegli oggetti e discutere in classe l’esito di questa prima selezione per poi scegliere insieme il soggetto su cui ciascuno andrà a intervenire (e magari organizzare con l’insegnante dei veri e propri filoni tematici: le stanze, l’infanzia, i ricordi, persino spingerci a concetti più ambiziosi come il design). Una volta portato l’oggetto in classe, allestiamo un piccolo set neutro per la foto-illustrazione (basterà del cartoncino bianco o colorato e una lampada puntata contro l’oggetto) e facciamo più di uno scatto, girando e rigirando la nostra scelta in modo che diversi punti di vista suggeriscano diverse forme con cui giocare.

Intervistiamo l’oggetto e chiediamogli a cosa serve, chi lo usa, come è fatto e come funziona. Infine, interroghiamolo (e interroghiamoci) su cosa vorrebbe diventare, lasciando che siano proprio le sue forme a suggerirci un nuovo percorso (è un contenitore? che succede se lo capovolgo? guardandolo di profilo noto qualcosa che non avevo notato prima?). Per consentire più prove, possiamo dotare ciascun bambino di uno o più fogli di carta da lucido da sovrapporre alla foto per disegnare in trasparenza (con la matita, il trattopen, i pennarelli acrilici) prima di elaborare il proprio foto-disegno definitivo. Inserire uno o più personaggi potrà essere di ulteriore aiuto nel dare nuova forma al nostro oggetto e offrirà lo spunto per costruire vere e proprie storie.

Le cose, persino quelle che abbiamo sempre sotto gli occhi o quelle che ormai abbiamo dimenticato, sognano una vita segreta e, se siamo attenti e giuriamo di non dirlo a nessuno, forse saremo così fortunati da farcela raccontare.

Quando l’idea accende la lampadina, va messa in mostra

in Attività di classe by
Marianna Balducci ci invita a liberare la fantasia (e creare una mostra o un libro di classe) partendo dall’icona del colpo di genio, la lampadina!

Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione” cantava Giorgio Gaber. La percezione che abbiamo del modo in cui nascono le idee spesso è fuorviante: si tende a pensare che l’idea sia una sorta di illuminazione fulminea, di lampo nel buio, senza concentrarsi mai abbastanza sul serbatoio di energia necessario per accenderla. È vero, l’idea si manifesta a volte sotto forma di repentina e sorprendente epifania e ci dà una scarica di adrenalina grazie alla sua capacità risolutiva di un problema che ci affligge o alla rivelazione di una cosa che prima non c’era.

Ma se ci fermiamo a questo passaggio, che non è che l’ultimo stadio di un processo molto più articolato, finiremo anche col pensare che i creativi siano paragonabili a degli stregoni dai poteri paranormali e che la loro giornata consista nella passiva attesa di un qualche segnale straordinario, in arrivo da un momento all’altro. Se il mio lavoro fosse fatto solo di questo, sarebbe davvero terribile: non solo per la noia sconfinata tra un’idea e l’altra, ma soprattutto per la frustrazione nata dal constatare che tutto ciò che imparo, accumulo, assimilo, non serve poi a un granché davanti a questa sorta di divina illuminazione che non posso controllare.

Bruno Munari invece nel suo libro “Fantasia” prova a mettere un po’ d’ordine e a cambiare prospettiva, presentandoci la creatività come uno strumento più che una scienza infusa e quindi, in quanto tale, sensibile a miglioramenti, esercizi, potenzialmente alla portata di tutti. Anche l’immaginazione è uno strumento strategico e le idee somigliano molto più a dei progetti che a dei temporali. Questo non vuol dire sacrificare la freschezza del guizzo creativo, ma vuol dire piuttosto rendersi conto che quel guizzo, se è partito, è frutto delle connessioni innescate (più o meno consapevolmente) tra tutte le informazioni che nel tempo abbiamo archiviato. Più elementi abbiamo nel nostro archivio e più i collegamenti diventeranno interessanti (e le idee “geniali”!), allo stesso modo per cui se ho visto tante immagini o rappresentazioni di una cosa (fosse anche solo il sole o un albero, per riprendere ancora una volta un esempio munariano) poi la saprò disegnare meglio e in modo meno stereotipato. 

Ma allora cosa sono davvero le idee? Come sono fatte? Come funzionano? A cosa servono? Dato che siamo partiti dall’esigenza di restituire maggior concretezza all’astratto, prendiamo quella che è diventata l’icona per eccellenza dell’idea (mutuata anche dal linguaggio del fumetto): la lampadina. Prendiamola veramente, fotografiamola, materializziamo questa idea da accendere davanti agli occhi dei nostri studenti pensanti e sfidiamoli a creare, tutti insieme, una sorta di libretto delle istruzioni che ne sveli i segreti.

Iniziamo un brain storming collettivo partendo proprio da quelle domande. Proviamo a raccogliere le suggestioni alla lavagna, magari già cercando di organizzarle per categorie: da una parte le risposte più riconducibili alla descrizione di un’idea (geniale, sorprendente, improvvisa, bella,…), dall’altra quelle inerenti il suo funzionamento proprio come se fosse una macchina (serve a… risolvere un problema, inventare una cosa nuova, diventare famosi,…). In questa fase non esistono stimoli sbagliati, lasciamo che escano anche le risposte più politicamente scorrette (che magari diventeranno spunto di riflessione in seguito). Le domande poste alla classe potranno costituire un primo criterio di organizzazione dei contenuti, ma dal brain storming potrebbero emergere anche nuove piste. Diamoci un tempo limitato, lasciamo sedimentare la cascata libera di contributi per un pochino, godendo anche del divertimento di questa fase più libera di raccolta. Verrà poi il momento di selezionare collettivamente le risposte che più ci convincono per costruire, pagina dopo pagina, questo libretto d’istruzioni pensato per spiegare a chi non lo sa che cosa vuol dire avere un’idea: descrizione delle caratteristiche (magari degli ingredienti!), modalità di funzionamento, circostanze di applicazione,… potrebbero essere questi i capitoli da illustrare. Dividiamo quindi i compiti assegnando a ciascuno la foto di una lampadina vuota da riempire con un disegno che racconti uno dei concetti emersi. Otterremo una compilation di immagini che, pur partendo dalla stessa base (la lampadina fotografata), rivela approcci (concettuali e grafici) molto diversi. Forse qualcuno trasformerà la lampadina nel viso di un personaggio (l’inventore!), altri lavoreranno al suo interno, altri ancora nello spazio vuoto attorno. Il disegno metterà in scena i concetti emersi e la nostra galleria di lampadine sarà una luminosa cordata di pensieri (da rilegare in un libro di classe, da esporre in una piccola mostra collettiva). Le idee sono patrimonio di tutti, le belle idee sono il premio di chi persevera nell’osservazione attiva e profonda del mondo. E i disegni, come dice Bruno Bozzetto (ricordando proprio un bambino che ha incontrato), non sono che idee con intorno una linea.

A caccia di storie: cosa ci raccontano gli strumenti di lavoro?

in Attività di classe by
Obiettivo (della macchina fotografica e della nostra immaginazione) puntato sugli strumenti di lavoro: sono proprio “le cose” a guidarci in questa esplorazione.

Per chi ha ingranato fin da subito e chi ancora ha bisogno di un po’ di tempo per carburare, settembre ha segnato, come ogni anno, un nuovo inizio, specialmente tra i banchi di scuola. È tempo quindi di mettersi all’opera, è tempo di mettersi al lavoro. Da bambina, da adolescente ho sempre visto la scuola come “il mio mestiere” (un po’ il corrispettivo del dovere dei miei genitori) che, se ero fortunata e capace di prendere dal verso giusto, si sarebbe anche potuta trasformare in un piacere (come alla fine è stato in molte occasioni). Non ho mai avuto le idee chiare su cosa avrei fatto di lavoro per davvero una volta diventata grande però, come tutti i bambini, ho avuto le mie “fasi”, i miei innamoramenti, le mie più o meno tormentate sfide per capire in quali panni mi sarei potuta trovare in futuro.

Mi piacevano i libri compilativi in cui si elencavano i mestieri più disparati, mi piaceva avere in casa un babbo che era medico (con un mondo professionale molto strutturato intorno, con grandi responsabilità) e una mamma pittrice (con un mestiere fatto di grande passione, tempi non convenzionali, tanta emotività). Da adulta mi è piaciuto scoprire come dietro a mondi di cui si ha spesso un’idea molto stereotipata (come la moda, per esempio) ci sia un cosmo di professionalità e competenze diverse. Le professioni, quelle più antiche e quelle che nascono grazie alle opportunità che i cambiamenti del mondo ci offrono, sono testimonianze dense di fascino e di informazioni sulla nostra civiltà, la nostra cultura, la sua storia e le sue ambizioni. 

Per allontanarci allora dall’approccio astratto che a volte tendiamo ad adottare ed entrare invece nel vivo di questo “saper fare” così ricco che ci circonda, fotografia e disegno ci vengono in aiuto. L’obiettivo (della macchina fotografica e della nostra immaginazione) sarà puntato sugli strumenti di lavoro: che si tratti di professioni che richiedono specifici attrezzi più artigiani, che sia invece il caso di un lavoro più intellettuale dove libri e matite la fanno da padroni, saranno “le cose” a guidarci nell’esplorazione. 

Spesso, quando capiamo come sono fatte le cose, capiamo anche come funzionano e capiamo meglio persino come funzioniamo noi.

Spesso sono gli oggetti e il design con cui sono progettati a farsi depositari di indizi preziosi, a darci un’occasione per avvicinarci alle storie. In questa serie di foto-illustrazioni mi sono ritrovata a raccontare la professione del geometra per conto del Collegio dei Geometri della mia città, in corrispondenza di un anniversario importante. Parlando con i professionisti che mi hanno interpellata, abbiamo individuato proprio negli strumenti di lavoro il principale gancio visivo che celebrasse la complessità di questo settore dove si progetta, ma si sta anche a stretto contatto con i cantieri e, negli ultimi tempi, ci si dota anche delle più moderne tecnologie. Tradizione e innovazione convivono all’interno del medesimo scenario, superando lo stereotipo del righello e del tavolo da disegno per aprirsi a più complesse e partecipate dinamiche. Un vero e proprio lavoro di squadra in tutti i sensi, insomma!

Illustrazioni di Marianna Balducci

Gli oggetti scelti sono stati individuati come quelli che potessero rappresentare simbolicamente al meglio le principali aree di azione della professione geometra. Sono stati fotografati singolarmente e poi in una composizione corale per rimarcarne anche i pesi e le proporzioni reciproche. Il disegno è stato l’espediente attraverso il quale trasformare questi strumenti in mondi da abitare, in territori vivi di esplorazione.

Siamo capaci di stravolgere le regole della realtà attraverso la fantasia solo se abbiamo fatto nostre quelle regole e, quindi, se abbiamo attentamente osservato, toccato, indagato. Allo stesso tempo, la ricerca di analogie e consonanze con ciò che conosciamo ci aiuta a rendere giocoso persino l’approccio al complicato e pesante teodolite di cui prima ignoravamo completamente l’esistenza, ma che sembra proprio un quartier generale futuristico.

Illustrazioni di Marianna Balducci

In tutto questo non dimentichiamo mai il primo passaggio: parlare con chi di quel mestiere ha esperienza diretta. Lasciando ai bambini il compito di esplorare i mestieri per trasformarli in nuovi scenari foto-illustrati, si dovrà quindi partire da una prima consegna: individuare una persona (anche della famiglia) a cui fare domande sul suo mestiere e da cui farsi dare un oggetto rappresentativo o comunque quotidiano nell’ambiente di lavoro. Potrebbe essere una semplice matita per il disegnatore oppure una calcolatrice per il ragioniere, ma anche una paletta per il giardiniere, una chiavetta usb per l’informatico. Chiediamo quindi il permesso di portare questi oggetti a scuola e allestiamo un piccolo set in cui ciascuno fotograferà il proprio. Meglio optare per un set neutro, ricreato con dei cartoncini bianchi o colorati tinta unita e una semplice lampada da puntare contro il soggetto.

In una fase in cui si sta osservando, è bene avere la possibilità di avere almeno 3 scatti per ogni oggetto così da fotografarlo da angolazioni diverse e consentire ai piccoli disegnatori di scegliere quello che più preferiscono quando dovranno metterci mano. Una prima fase di confronto collettivo sarà utile per avere un quadro generale della situazione e per far appuntare a ciascuno le caratteristiche del proprio oggetto: cos’è? chi ce lo ha dato? come si usa? come è fatto?

Una volta stampate le foto degli oggetti si potrà pensare a come trasformarli riempiendoli di personaggi. I piccoli esploratori potranno disegnare loro stessi alle prese con questi nuovi mondi e magari disegnare anche la persona che ha prestato l’oggetto e gliene ha parlato. Come sempre, i disegni sulle foto possono essere realizzati con pennarelli acrilici oppure con la tecnica del collage (disegnando i personaggi a parte e incollandoli in un secondo momento). I miei sono stati realizzati in digitale, il filo dorato che li lega viene dall’esigenza di festeggiare la connessione fra questi micro-ambiti del medesimo settore nel tempo, culminata in un evento dedicato in cui le illustrazioni sono state esposte e inserite nell’albo commemorativo, dono della serata a soci e ospiti.

Ma quanti percorsi si possono impostare in questo modo, per esempio esplorando le professioni del passato (recuperando quindi le foto degli oggetti attraverso il web e le biblioteche) per riscoprire anche come si sono evolute o trasformate nel tempo. Quanto lavoro, quanti lavori! Non resta che rimboccarsi le maniche.

Saluti da Monte Conchiglio: c’è una cartolina per te

in Attività di classe by
Marianna Balducci ci invita ancora una volta ad andare oltre lo sguardo quotidiano e in questa occasione lo fa con una… Cartolina!

Che si appartenga al resistente manipolo di nostalgici che ancora le manda per posta o ai più che fanno viaggiare i loro “saluti da…” attraverso la rete, la cartolina (o comunque l’idea che ne è alla base) resta impigliata nell’immaginario, efficace, immediata da interpretare per chiunque. Un’immagine testimonia il nostro passaggio in un certo luogo, poche parole (un tempo dettate dall’economia delle spedizioni) indirizzano il nostro pensiero a una persona cara. In quelle cartacee, in particolare, mi piaceva quando, oltre ai saluti, ci trovavo o ci annotavo caratteristiche del luogo (il clima, il cibo, un aneddoto). Mi piaceva trovare la misura perché tutto restasse privato e affettuoso, pur esponendo le parole alla mercé del postino, perché il testo sul retro non godeva della protezione della busta.

Una cosa mi piaceva più di tutte e cioè il pensiero che potesse anche trattarsi di un grande bluff: comprare il cartoncino nella località di passaggio che non è proprio quella del soggiorno perché si era di fretta, inscenare false partenze o falsi ritorni spedendo tutto in differita quando si è già di nuovo a casa, peggio ancora, oggi, rubacchiare un’immagine in rete per far credere che si è gente di mondo (e c’è chi lo fa, ve lo assicuro). Ma c’è un altro tipo di bluff che mi interessa di più ed è quello che, passando per la grammatica della fantasia (per dirla alla Rodari), è capace di far viaggiare ancora più lontano, laddove si annidano le storie. 

E allora “saluti dal…” mare? Così sembrerebbe visto che qui ho un mucchio di conchiglie e sassolini ritrovati sulla battigia e un cartoncino screziato di azzurro (che mi sono divertita a realizzare con un tutorial trovato in rete perché l’acqua era difficile da catturare). Partiamo quindi da una prima fase di raccolta di cose ma anche di suggestioni (come le bolle riprodotte sulla texture del cartoncino) che ci ricordino il posto in cui le abbiamo trovate. Andranno bene allora sia i reperti che il mare mi consegna, sia l’idea di mare che mi sono fatta e che sono in grado di riprodurre. Lavorare con i pattern utilizzando anche gli stessi oggetti trovati intinti nel colore a tempera come fossero timbri può essere un modo interessante di ricreare effetti grafici tutti da scoprire.

Credits: Marianna Balducci

Però vi ho promesso una cartolina bugiarda e dispettosa perciò non sarà dal mare che manderò i miei saluti.

Bruno Munari sarebbe d’accordo, lui che la bugia l’ha portata fin dentro alle teche del suo museo impossibile di “oggetti trovati”, un campionario di reperti raccolti in modo apparentemente arbitrario e presentati come fossero le tracce di un’antica civiltà, come testimonianze interessanti della vita che accade e della natura che agisce. Lui che ha visto un sasso che però “da lontano era un’isola”, proprio lui mi ha spinta a pensare che forse, anche quando mi sembra di stare in un posto solo, in realtà sono potenzialmente in tanti altri posti diversi e incredibili. Guardo il mio mare in scatola e penso al suo opposto: le conchiglie diventano fronde di alberi antichissimi, colline arse dal sole, montagne dal cucuzzolo perlato. E poi ce n’è una, con strani buchi, somiglia al becco di un rapace… Ormai è chiaro, non sono stata al mare, sono alle pendici di Monte Conchiglio. 

Capovolgere lo sguardo è quindi il secondo esercizio: partire dal luogo di ispirazione e spingerci mentalmente quanto più lontano possibile. Sono stata al mare? Allora la mia cartolina dispettosa vi parlerà di montagne. Sono stata al parco? E chi lo dice che in realtà non fosse il suolo di un pianeta inesplorato? Non ci sono limiti alla messa in scena del meccanismo di ribaltamento che molto verrà aiutato dall’osservazione di quanto si è raccolto. Prima di decidere che sarà davvero una cartolina di montagna, mi guardo il mio mare in scatola da tutti i versi, penso con la testa e con le mani, rigirando e componendo sul foglio gli oggetti in piccoli assembramenti per assecondare le loro forme e distaccarmi, piano piano, dall’idea del posto a cui originariamente appartengono. Lavorando con un gruppo di bambini può essere interessante concentrarsi sul medesimo luogo di raccolta (magari effettuando la caccia al reperto tutti insieme) e poi lasciando che ciascuno inventi il suo “non-luogo” con quanta più fantasia possibile. La sfida è generare spaesamento e arrivare a confezionare una cartolina che, pur nella sua assurdità, sia assolutamente credibile.

Una volta disposti gli oggetti a ricreare il nuovo orizzonte desiderato, bisognerà fotografare ciascuna composizione e stamparla in un formato uniforme (magari un 13×18 cm che conserva l’idea delle cartoline postali ma ci lascia un po’ più di spazio rispetto al più vincolante 10x15cm standard). È arrivato il momento di disegnare gli elementi mancanti per rendere la nostra cartolina dispettosa davvero completa. Può essere utile stampare più copie per consentire ai disegnatori di effettuare più prove. Si può disegnare con la matita una traccia e poi procedere con pennarelli acrilici e indelebili o confezionare piccoli disegni da incollare. Non servono tanti colori, anche solo il bianco e il nero potrebbero essere sufficienti visto che interveniamo su una foto già molto ricca di elementi. E poi servono i saluti e pensarci mentre si sta disegnando aiuterà l’uno e l’altro processo: se mi trovo a Monte Conchiglio dovrò spiegare perché, dovrò descrivere chi ho incontrato e come ci sto. E allora, ancora una volta, il disegno segue a ruota le idee che sarà divertente stimolare osservando insieme le foto su cui lavorare mescolando anche gli spunti dei compagni. Io a Monte Conchiglio mi sono trovata benissimo e magari la prossima volta ci torniamo insieme.

Educare gli studenti a vedere: a caccia di volti nei muri!

in Attività di classe by
volti cover mangiacavi - occhiovolante
I disegni sono dispositivi parlanti: basta allenarsi a sintonizzarli sulle frequenze giuste per riuscire a intercettare persino le più flebili voci nascoste tra le crepe dei muri. Marianna Balducci, illustratrice, ci aiuta a riconoscerle

I disegni sono dispositivi parlanti: a volte descrivono, a volte raccontano, altre volte svelano. In tutti questi casi, non si può prescindere da un po’ di allenamento della mano, certo, ma prima ancora dello sguardo perché il disegno ci chiede innanzitutto di scegliere. Solo alcuni di quei segni che l’occhio registra saranno l’alfabeto del nostro discorso e avere chiaro in testa quel che vogliamo dire sarà ancora più importante del saper disegnare “tanto” o convenzionalmente “bene”. Mescolare fotografia e disegno mi piace da sempre proprio perché mi costringe a esercitare questa misura: il risultato finale è più riuscito quando il segno è entrato in sintonia con l’ambiente già immortalato, non si è lasciato viziare dal virtuosismo bensì si è inserito solo nello spazio necessario a scatenare in chi guarda un moto di meraviglia. Si lavora perciò più in togliere che in aggiungere, come gli investigatori si va a caccia di indizi da rivelare, ogni volta con una nuova piccola “missione”.

Quando ho lavorato al progetto “Lettimi illustrato” la mia era quella di rivelare uno spazio dimenticato: il giardino cinquecentesco di Palazzo Lettimi di Rimini, abbandonato per lungo tempo e riaperto in occasione del festival di musica e teatro “Le città visibili” che mi ha coinvolta in questa operazione di sensibilizzazione disegnata.

Mi sono avventurata tra le crepe e i rampicanti, tra i cavi aggrovigliati degli allacci di corrente e le grate foderate di muschio. Mi sono appellata alla Signora Pareidolia, quella burlona responsabile del fenomeno per cui il nostro cervello tende a individuare, in un accrocchio di forme e segni casuali, delle forme conosciute (spesso dei volti) e ho trovato quelle che sarebbero diventate le nuove voci del giardino Lettimi.

marianna balducci succhiacavi lettimi illustrato

Non tutte si sono lasciate guardare subito. La missione di esplorazione fotografica di uno spazio deve darsi certamente delle regole (e io ero a caccia di volti, di personaggi), ma la fantasia ci chiede anche un po’ di respiro, un po’ di spazi vuoti in cui insinuarsi. In questa prima fase perciò ho fotografato tanto, anche dettagli che non subito avevano chiaro il loro destino. Per chi non è abituato a usare la macchina fotografica (o il cellulare), una prima fase di osservazione può essere fatta con l’ausilio di un piccolo passepartout bianco (una cornice di cartoncino) che ci costringa a isolare delle porzioni di spazio per poterle guardare e poi eventualmente catturare con il vero obiettivo.

Tornata a casa con un consistente bottino di crepe, cortecce, pareti, buchi, è iniziata la selezione. In questo caso non ho capovolto o girato gli scatti per osservarli da un’altra prospettiva e ho lasciato che ciascuna immagine restasse col medesimo orientamento con cui l’occhio l’aveva catturata. Questo accorgimento è stato utile quando, al termine del progetto, le tavole sono state esposte nel giardino durante il festival, invitando i visitatori a ritrovare sul posto, come in una caccia al tesoro, i dettagli su cui avevo lavorato. I disegni sono stati realizzati in digitale, ma spesso mi è capitato di lavorare su supporti fotografici stampati disegnandoci sopra con rapidograph, pennarelli acrilici, matite bianche o gessetti.

Mano a mano che i volti venivano svelati, anche il temperamento di ciascun personaggio si delineava sempre più chiaramente: c’è chi gli ha dato un nome, chi ha immaginato un tono di voce,… con pochi segni, quel luogo zittito ha iniziato a diventare tutto fuorché silenzioso agli occhi dei suoi visitatori!

Quanti luoghi silenziosi ci sono nella nostra città, nello spazio che abitiamo o frequentiamo quotidianamente? Magari non tutti nascondono personaggi che lamentano necessariamente mancanze di attenzione come nel mio giardino abbandonato, ma di sicuro custodiscono storie o aspettano che qualcuno ne inventi per loro. Altri forse invece gridano perché sono feriti, perché portano i segni di una storia pesante.

I disegni sono dispositivi parlanti: basta allenarsi a sintonizzarli sulle frequenze giuste per riuscire a intercettare persino le più flebili voci nascoste tra le crepe dei muri.

Credits: tutte le illustrazioni sono courtesy of © Marianna Balducci

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